Siamo durante l’ultima cena. Il brano del vangelo di oggi è uno stralcio del lungo discorso di Gesù, pronunciato in tale occasione e riportatoci da Giovanni. Finita la cena, durante la quale lava i piedi ai presenti, quasi in segno di addio, Giuda esce frettolosamente per consegnare il Maestro ai suoi nemici. Tutti sono preoccupati, presagiscono che sta per accadere qualcosa di molto grave; sono sconvolti dalle parole di Gesù (il verbo greco tarasso indica una profonda agitazione, una tempesta interiore); si sentono perduti. A questo punto mille domande sorgono impetuose dal loro cuore: “Che ne sarà di noi? Cosa ci succederà? Dove andremo a finire? Finirà tutto? Ci siamo sbagliati a credere in Gesù?”. E lo assediano di domande, di chiarimenti; vogliono avere certezze.
Gesù risponde con dolcezza: “Non abbiate paura. Abbiate fiducia in me e in Dio. Vado a prepararvi un posto”. Cosa vuol dire esattamente? È un semplice invito a sperare, una frase di cortesia, o si fonda su qualcosa di concreto? Gesù quindi li rassicura: “Abbiate fede in me, ci rivedremo, state tranquilli. Vi ho mai lasciato?”. Le sue parole sono rassicuranti, danno fiducia, perché si fondano su tutto quello che Lui ha fatto in precedenza. Non sono chiacchiere, promesse a vuoto: il suo è amore, che richiede da parte nostra soltanto una fiducia solida in Lui: percepiamo dalle sue parole un qualcosa di certo, di forte, di solido; e le esperienze che abbiamo vissuto ci dicono che possiamo fidarci e lasciarci andare, anche se non capiamo il perché.
Purtroppo nella nostra vita non è facile avere la “sicurezza”, contare su basi “solide”, provare un amore “indistruttibile”: hesed (amore fedele), in ebraico, significa letteralmente “roccia”, un amore quindi incrollabile sul quale possiamo piantare la nostra esistenza, sapendo che terrà, che non cederà mai.
Esiste per caso un qualcosa di sicuro su questa terra? Assolutamente no. Per esempio quando ci sposiamo, e ci diciamo: “Per sempre”, non esprimiamo una certezza, un dato di fatto: è un nostro impegno, è un desiderio, un programma che intendiamo realizzare. Così pure per le amicizie, per i rapporti, per i legami, per il lavoro, per le convinzioni religiose, per le scelte fatte: il nostro “per sempre”, non esprime una realtà, un dato già acquisito, già consolidato, solo perché ci siamo detti “per sempre”; è un progetto tutto da costruire. Su questa terra non esiste nessuna certezza eterna, perché tutto è passeggero, tutto è transitorio. Anche se per noi è difficile accettarla, la verità è questa: “panta rei”, tutto passa, tutto diviene, nulla rimane, nulla è certo.
Ma è proprio vero che “tutto” passa? È proprio vero che nulla rimane “per sempre”? Nossignori: una cosa c’è che rimane: è “l’a-more” (dove l’a privativa e mors, morte, indicano appunto la non-morte): è l’amore, in assoluto l'unica forza in grado di oltrepassare ogni “limite”, di superare ogni “separazione”, anche il distacco della morte. Un giorno tutto sparirà (ma proprio tutto): solo ciò che è amore rimarrà, perché l’amore è eterno: dura oggi, domani, dopodomani, “per sempre”. Ecco allora che dove non c'è amore, non c'è neppure il “per sempre”, e non c’è neppure la fedeltà: poiché è l'amore che fonda la fedeltà, non la fedeltà che fonda l'amore.
Questo è in sintesi il senso del “Discorso di Addio” pronunciato da Gesù nell’ultima cena e riportatoci da Giovanni (14,13-17): “Io vi amo. Voi fidatevi del mio amore”. La forza dei discepoli e della Chiesa si basa infatti su questi due elementi: l’amore da una parte, la fiducia dall’altra.
Perché i discepoli possono fidarsi di Gesù? Perché hanno visto, sentito, sperimentato il suo amore. Le rassicurazioni umane non servono a nulla: “Ti amerò per sempre; non ti lascerò mai; io per te ci sarò sempre; puoi contare sempre su di me”; certo, sono parole confortanti, ma l'unica cosa che ci permette veramente di fidarci è il “sentire” intimamente che l'altro c'è, che ci ama, che non ci abbandonerà mai: una certezza maturata nell’esperienza di ogni giorno.
Lo stesso è successo con i discepoli: come mai ad un certo punto non hanno avuto più paura? Che molla è scattata in loro, per cui dal terrore, dalla fuga, sono passati a seguirlo, a difenderlo apertamente?
Perché dopo la passione e la risurrezione di Gesù, in loro è pian piano maturata una nuova “visione” di Gesù e delle sue parole: ora lo “rivedono” nelle sue apparizioni con altri occhi; lo sentono vivo in cuor loro, lo sentono come fuoco, passione, vita, coraggio, presenza in loro.
Tommaso e gli apostoli, la Maddalena, Paolo, subiscono ciascuno un “trauma” dall’incontro personale con Gesù. Non credono in Lui perché qualcuno glielo ha detto o comandato: credono in Lui, hanno piena fiducia in Lui, perché hanno visto, sperimentato, toccato.
Ciò che ha cambiato e stravolto la loro vita non è stato l'incontro con Gesù il Maestro per le strade della Palestina (già questo li aveva sconvolti abbastanza!) ma l'incontro con il Gesù Risorto. Improvvisamente si sono accorti di averlo dentro di loro: il Maestro, la passione, la forza, la vita, che prima trovavano in Gesù fuori, ora ce l’hanno dentro. Gesù Risorto è in loro. Per questo vanno dovunque gridando: “Lui vive! Lui è risorto!”. E ne sono convinti, perché lo hanno incontrato, visto, identificato da risorto. Nei vangeli infatti la resurrezione non è mai un discorso ma sempre un incontro tra il Risorto e la persona. Tutti i discepoli che lungo la storia hanno seguito il Signore, lo hanno fatto perché ad un certo momento lo hanno incontrato. È stata un'esperienza personale (nei vangeli è un'apparizione) che ha cambiato la loro vita, l'ha sconvolta; un’esperienza che ha dato, che ha creato nei loro cuori quella scintilla che li ha spinti a seguirlo dovunque la sua Voce chiamasse.
Ecco: il nostro incontro con il Risorto deve essere anche per noi una “bomba nucleare” che ci cambia la vita, ci sconvolge, ci rende diversi. Quando si parla di “fede” la gente pensa a un qualcosa di posticcio, uno smussare, un addolcire, un aggiustare il nostro carattere, un diventare un po' più gentili, più buoni con gli altri, più amabili: insomma una specie di restyling personale. Ma l'incontro con il Risorto è un uragano che spazza via tutto e ci fa completamente diversi. Perché quando lo sentiamo presente e Vivo dentro di noi, è impossibile rimanere come prima. E se non siamo cambiati, se siamo sempre uguali, vuol dire che non lo abbiamo ancora incontrato. È così. Fede è cambiare vita, è fare un incontro decisivo con Uno, dopo il quale non possiamo mai più essere gli stessi.
Per questo non dobbiamo avere timore, o provare imbarazzo, nel proporre ai nostri fratelli, ai nostri amici, incontri alti, forti, profondi, duri, intensi con Gesù: non dobbiamo vergognarci di dire alle persone che la fede è questo, altrimenti pensano che la fede sia una preghiera, una buona azione, un gesto d'amore. La fede al contrario è un incontro che ci cambia la vita; è un incontro con l’Amore che ci fa vivere la vera Vita.
Ci sono tante vie per arrivare a Dio, siamo tutti diversi, e ciascuno deve fare il “suo” incontro; c'è chi arriva a Dio attraverso la parrocchia, chi arriva attraverso le sofferenze della vita, attraverso le malattie, le disgrazie; c'è chi arriva aiutando le persone e facendo della propria vita un servizio per gli altri; c'è chi arriva con una vita contemplativa e monastica, c'è chi arriva passando per una vita mondana; c'è chi arriva consacrandosi solo a Dio, c'è chi arriva dedicandosi alla famiglia.
Ma c'è anche chi non arriva mai ad incontrare Dio: non ha interesse, è sordo, sta bene così; pensa che siano solo “panzane” destinate a persone psicolabili, poco furbe: è convinto di essere felice così com’è; ma si accorgerà che è solo una temporanea illusione. E poi, tranquilli: non vuole incontrare Dio? Sarà Dio che incontrerà lui: perché Dio prima o poi, con il suo amore arriva a tutti. È solo questione di forma e di tempo. Amen.
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