I Re Magi. Ricordate? Per noi bambini di una volta – totalmente digiuni di robots, transformers, gormiti e quant’altro – erano troppo belle quelle statuine, troppo belle per la loro “diversità”: in genere più grandi, imponenti, regali, fantasiose. Personaggi di colore, con cavalli e cammelli, che in noi assumevano un fascino particolare. Personaggi che non potevano assolutamente mancare, già da subito, nei nostri presepi: magari lontani dalla grotta, su una strada che spuntava dal nulla, ai margini della composizione scenica: ma che soddisfazione poi, il mattino dell’Epifania, poterli finalmente posizionare al loro posto, di fronte alla culla del divino Bambino, rivalutando così la loro dignità regale, riconoscendone ufficialmente il ruolo di protagonisti. Era un rito questo dei magi: una liturgia “ante litteram” quella di collocare sulla tragica povertà di una grotta, frequentata dai soli pastori di Betlemme, il fascino prorompente di personaggi stranieri e potenti che, avvolti nel fantastico, misterioso e prodigioso, si rivelavano invece i concreti annunciatori del valore universale del natale di Gesù. La storicità dell’evento e dei personaggi, allora, non ci interessava: e neppure oggi ci deve condizionare più di tanto.
Quello che dobbiamo cogliere è invece il vero messaggio del Natale che Matteo, attraverso queste immagini, vuole oggi farci capire: Dio, l'Altissimo, scende da lassù e viene sulla terra, perché tutte le creature che vi abitano sono degne di vita e di amore, perché tutte portano impresso in sé un raggio della stessa Luce divina. Un messaggio incredibile, fratelli, che solo Dio, incarnandosi, poteva portare.
Ecco perché per noi credenti il Natale, oltre a celebrare Dio che nasce uomo, ci ricorda un impegno vitale: l’uomo che rinasce “Dio”: in altre parole significa che ciascuno di noi è chiamato a far nascere dentro di sé quel Bambino Divino, quel Gesù che purtroppo in noi troppo spesso è nascosto, sepolto, abbandonato, ignorato: è compito nostro, compito di tutti, compito principale di tutta la nostra vita, quello di farlo emergere, di tirarlo fuori, di farlo appunto “nascere”.
Come? La Parola di oggi ci prospetta due possibilità; possiamo percorrere due strade opposte, possiamo prendere due posizioni nette e distinte: quella di Erode o quella dei Magi, i nostri simpatici personaggi.
La prima si disinteressa di Gesù, anzi lo vede come un nemico, un pericolo, lo vuole "uccidere". La seconda è disposta a mettersi in gioco, "lo cerca", perché trovandolo sa di raggiungere vita e felicità.
A questo punto dobbiamo scegliere, fratelli: entrambe le vie presentano pro e contro. La prima è sicuramente più facile ma alla fine porta alla tragedia interiore; la seconda, difficile e tortuosa, finirà invece nella gioia e nella pace.
Possiamo stare con Erode o con i Magi, fratelli miei: dipende soltanto da noi; ma dobbiamo assolutamente fare una scelta! L’indifferenza è la morte dell’anima. Il Bambino c'è per tutti. Tutti hanno qualcosa di sacro e di divino da far nascere in loro, perché Dio è in tutti; tutti, indistintamente, abbiamo scolpita nell’anima la sua immagine. E Dio aspetta la nostra decisione.
Su quale via? Guardiamo Erode: lui non si mette in cerca, lui rimane a Gerusalemme. Lui non fa nessuna fatica; lui non si muove, lui non è disposto a compiere nessun viaggio e per questo non troverà proprio nulla. Perché chi non viaggia non trova niente. Eppure, come non riconoscere, fratelli, che anche noi, sotto sotto, ci illudiamo di trovare Dio, di vivere nel regno della felicità e dell'amore, di obbedire alla nostra vocazione così, senza far nulla, sopravvivendo tranquillamente, senza problemi e senza alcuna fatica. Abbandonati mollemente alla deriva, pensiamo che un bel giorno, improvvisamente, ci arriverà dal cielo l'illuminazione che aspettavamo, un raggio divino ci cadrà addosso e allora tutto sarà chiaro, tutto si risolverà e capiremo su due piedi il da farsi. Ma non è così, fratelli, lo sappiamo perfettamente. È pura follia, questa, che non può nemmeno sfiorarci.
Vogliamo invece trovare Dio? Trovare il “nostro” Bambino Divino? Cerchiamolo! E cerchiamolo con tutte le nostre forze, con il massimo impegno. I Magi partono da lontano. E non a caso partono dall'Oriente: perché è dall'Oriente che sorge il sole, la luce, l'illuminazione. Per trovare la luce, l'illuminazione bisogna quindi fare un lungo viaggio, un viaggio faticoso, un viaggio che risponde all’esigenza intima del cuore, al desiderio che ogni anima ha di trovare Dio. Un viaggio che è ricerca, ansia, speranza, continuità, fede, fermezza. Un viaggio che è ricerca di ciò che sazia pienamente l'anima, di ciò che rende autenticamente felici, di ciò per cui vale la pena di vivere e di morire.
Come affrontare questo viaggio? Vi sono altre motivazioni o indicazioni per farlo?
È sempre la Parola che ci corre in aiuto.
1. Guardarsi dentro. I magi erano maghi, erano coloro che consultavano le stelle. Erano astrologi. Gli astrologi guardavano le stelle del cielo. Era la psicologia del tempo. Guardare “fuori” era a quel tempo il modo per guardarsi “dentro”. Per arrivare al Bambino bisogna pertanto guardarsi dentro e scrutare i propri cieli e le proprie stelle. Non c'è altra possibilità! Ma che succede quando un uomo fa questo? Cosa succede quando si inizia la ricerca dentro di sé? Perché molti farebbero di tutto pur di non guardarsi dentro? È semplice: perché quando ci guardiamo dentro scopriamo che non siamo come pensavamo di essere, che ciò che chiamavamo amore non è affatto amore, anzi; scopriamo dolori, pianti e grida che non vorremmo né sentire né affrontare; scopriamo che la realtà non è quella che vediamo, perché c'è tutto un mondo che non vogliamo vedere e che, nascosto in qualche armadio ben chiuso a chiave, c'è tutto un mondo sconosciuto, lunare, sotterraneo. E che facciamo? Già, che facciamo? È molto più facile dire parole religiose, preghiere, rosari, fare pellegrinaggi, piuttosto che mettersi sinceramente a nudo e guardarsi per quello che realmente si è… sì, fratelli, questo è proprio difficile. Ma una cosa è certa: non si può fare il viaggio verso Dio se non facciamo il viaggio verso noi stessi.
Diciamo: "Io la amo", ma non è vero. La vogliamo per noi, per possederla. Siamo gelosi e abbiamo paura di perderla.
Diciamo: "Io non faccio niente di male", ma non è vero. È che non scaviamo dentro di noi. Non vediamo niente perché non abbiamo il coraggio di tirare su la coperta e di vedere cosa c'è sotto.
Diciamo: "Io voglio bene alle persone", ma non è vero. È che abbiamo paura di rimanere soli; vogliamo bene solo se gli altri pensano e fanno come noi; il nostro voler "bene" è "paura di stare da soli".
Diciamo: "Io mi conosco". Ah sì? e perché allora siamo sempre così nervosi? Perché siamo così aggressivi? Perché non siamo mai soddisfatti? Perché pretendiamo sempre l'approvazione indiscussa degli altri? Perché non sappiamo stare in silenzio?
Guardiamo Erode: lui non si guarda dentro; lui chiede agli altri: ai Magi, ai sommi sacerdoti, agli scribi. Lui non ha il coraggio di guardarsi dentro, perché lui ha paura di ciò che vedrà.
2. È un viaggio personale. Nessuno cioè può farlo al posto nostro. O lo facciamo noi o nessun altro potrà farlo per noi. Possiamo leggere libri, sapere un sacco di cose su di noi, sullo spirito e su Dio. Tutto questo ci aiuta, ma non serve. La cosa decisiva è prendere ed uscire. Questo dobbiamo farlo noi. Gli altri ci possono incoraggiare, gli altri possono dirci un sacco di cose: "Ma guarda che ne vale la pena!; guarda che si soffre un po', ma poi si sta benissimo; dai provaci!; dai, che ce la fai!; osa!; hai un sacco di doni dentro di te: tirali fuori, ecc". Ma alla fin fine sta a noi decidere se partire o se rimanere. Solo a noi.
I Magi sono partiti da lontano, sono montati sui loro cammelli e hanno intrapreso il loro viaggio. Erode? Erode non è uscito da Gerusalemme. Troppa paura!
Ma qual è il beneficio del viaggio? È scoprire i propri doni. I Magi portano al Bambino oro, incenso e mirra e sappiamo il loro valore simbolico: ma i nostri, i nostri doni, quali sono? Quali sono i doni che abbiamo in dote? Quali sono le risorse della nostra vita? Su che cosa possiamo contare? Quali sono le nostre ricchezze? Invece di invidiare gli altri, sviluppiamo i nostri doni e offriamoli alla Vita. La grande povertà è quella di credere di non avere nulla: ma tutti abbiamo qualcosa che nessuno può dare per noi. Tutti abbiamo qualcosa che è solo nostro. Tutti abbiamo dei doni che possiamo far vivere. La vita è un dono: cioè, ciò che ci rende utili, significativi, importanti, è vedere, scoprire, che qualcosa di noi (i nostri doni) servono agli altri e al mondo. Allora ha senso il nostro esserci! Allora scopriamo i nostri doni, e offriamoli!.
3. Mettersi in gioco. Sarà un viaggio liscio? Sarà semplice? Sarà come ce lo siamo programmato? Neanche per sogno! I Magi non sapevano cosa sarebbe successo, non sapevano dove sarebbero andati e cosa avrebbero trovato. Si sono fidati della loro stella e sono andati. Abbiamo un'intuizione? C'è qualcosa che ci "prende", che ci appassiona? Seguiamola! Maria ha seguito una illuminazione (Un sogno? Una visione interiore?): l'annuncio dell'angelo. Giuseppe ha seguito un sogno. I Magi hanno seguito una stella (e di certo non era solamente al di fuori, astronomica!). Diamo fiducia a ciò che sentiamo dentro; fidiamoci dei nostri sogni interiori e diamo spazio ai nostri sogni. Tutti questi personaggi hanno fatto ciò che hanno fatto perché hanno avuto il coraggio di seguire l'impulso interiore. In noi c'è tutta la saggezza che ci basta e che ci serve: crediamo a ciò che c'è dentro di noi!
Hanno dovuto lasciare le loro certezze. I Magi erano gli esperti, gli scienziati, gli studiosi del tempo. Hanno dovuto perdere le loro certezze per seguire l'ignoto. Se vogliamo trovare "Dio", quante idee dovremo cambiare; e quante cose, che prima dicevamo "verità", dovremo scoprire che sono illusione, falsità; e a quante cose che dicevamo "io", dovremo dire: "Non ero io, ma la mia maschera"!; e da quante persone dovremo distaccarci per non essere più dipendenti!. Perché questo è un viaggio che vuole trasformarci, farci diventare figli di Dio, farci diventare ciò che possiamo essere.
È un viaggio in cui ci si può anche perdere. Per i Magi è stato così: hanno perso la loro stella e non sapevano più dove andare. In certi giorni ci verrà da dire: "Non serve a niente; ma chi me lo fa fare?; basta, è tutto un bluff!, ecc". Dobbiamo convincerci che bisogna perdere per trovare: bisogna lasciare le proprie idee di partenza per trovarne di più profonde. Bisogna perdere le proprie credenze per trovare la verità. Bisogna perdere gli amici di un tempo per trovare gli amici del cuore. Bisogna perdere la propria immagine di sé per trovare il proprio vero Sé. Bisogna perdere il controllo sulla propria vita per sperimentare che solo Lui è il Maestro. Chi non si perde non si può trovare. Prima di ritrovarsi bisogna perdersi.
La paura uccide. Sempre. Erode o i Magi sono ciò che noi possiamo essere: ma per strade completamente diverse. Quant’è desolante quella di Erode! Egli cercherà di uccidere quel Bambino, che altro non è che la parte divina di se stesso; i Magi, invece, troveranno il Bambino e lo adoreranno. Dov’è la differenza? Erode ha paura e si lascia vincere da essa. Anche i Magi ce l'hanno, anche per loro è un partire verso l'ignoto, ma non si lasciano bloccare e vanno avanti lo stesso. Psicologicamente, spiritualmente, Erode "non ha fatto nessun viaggio" verso di sé, non si è sviluppato. Quello che fa e quello che si vede non è lui è la sua maschera. Erode non si è mai raggiunto, non ha mai iniziato il cammino verso di sé e verso la Vita. Erode è il terrore incarnato. Uccide ogni possibile avversario reale o immaginario che sia. Sentita la voce della nascita del Messia, la strage degli innocenti è una soluzione ovvia per lui. È un uomo pieno di paura: e la paura diventa diffidenza, manipolazione, giudizio, perfidia, falsità. Lui non fa un passo per cercare: e quando uno è più preoccupato di quello che fanno gli altri che di sé stesso, vuol dire che ha rinunciato a compiere il proprio viaggio; ha rinunciato al proprio cammino di vita. La differenza fra Erode e i Magi? Nessuna; se non un "viaggio".
Ma è quel viaggio che fa di ogni uomo un Erode infido o un sapiente Mago, un figlio delle tenebre o un figlio della luce, una creatura ignorante e primitiva oppure evoluta, un diavolo o un santo.
Il libro del Siracide (15,16-17) dice: "Il Signore ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua; là dove vuoi, stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà".
Ecco, fratelli: possiamo scegliere Erode (nessun viaggio) o i Magi (il viaggio), la morte o la vita. Ma ricordiamo: siamo sempre e solo noi che scegliamo, siamo sempre e solo noi gli artefici della nostra felicità o dei nostri guai! Amen.
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