«Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo».
Siamo all’inizio del “tempo ordinario”, tempo liturgico che è un invito forte a costruire la nostra “ferialità”, non nella banalità, ma nella novità introdotta col Natale. È infatti nello scorrere quotidiano e feriale dei nostri giorni che dobbiamo vivere lo stupore dell’Emanuele, del Dio-con-noi; che dobbiamo vivere la novità e la bellezza del Volto di Dio: un tempo in cui costruire e adeguare la nostra “somiglianza” a quella “immagine” di Dio, che Egli stesso ha impresso nell’uomo creandolo, e che Gesù, umanizzandosi, ci ha rivelato.
Il Vangelo di oggi ci ripropone ancora una volta la figura di Giovanni, il battezzatore: non il solito burbero e scontroso profeta penitenziale, ma un Battista vinto dall’evidenza, più dolce, più umile che, in veste di testimone oculare, addita ai presenti il personaggio chiave della umana redenzione, rivelandone pubblicamente la vera identità: l'«agnello di Dio che toglie il peccato del mondo». Una definizione solenne e plastica, che contiene l’assoluta e sbalorditiva novità di Gesù, vittima sacrificale: una novità che il Battista, senza tanti preamboli, mette subito in chiaro davanti ai nostri occhi. A differenza della tradizione ebraica, secondo cui è l'uomo che si deve offrire a Dio attraverso varie forme di sacrifici, il Battista ci presenta qui un Dio che capovolge completamente le parti! È Lui – Dio – l’Agnello, la vittima che si immola per noi, che si dona e si consegna. Una autentica rivoluzione, fratelli, uno stravolgimento di valori che introduce nuove verità: l’uomo non deve conquistare nulla, non ha nulla da “meritare”; deve semplicemente accogliere la mano tesa di Dio come dono, un dono destinato a cambiargli la vita; un potente antibiotico contro l’innata piccineria umana che pretende l’aiuto e l’amicizia di Dio come contropartita di iniziative puramente esteriori, senza alcun coinvolgimento del cuore, e per questo sterili e inutili; si, sterili e inutili perché preoccupate più dell’apparire che dell’essere. Dio, fratelli, non è un contabile che sta seduto dietro ad una scrivania per registrare e tenere il conto delle nostre buone azioni e dei nostri sacrifici quotidiani! Soprattutto se fatti senza vero amore. C’è un novum fondamentale, un novum che sta proprio qui: Gesù è la vittima sacrificale; è Lui che affronta la morte "per noi"; è attraverso la sua vita e il suo morire, che noi scopriamo la commovente verità che Egli è Amore assoluto; un Amore ben più grande di tutti i nostri peccati, anche di quelli più tremendi.
È proprio così, fratelli: Dio è l’Amore fedele nei secoli; e di Lui ci si può completamente fidare.
Quando guardiamo la croce, noi vediamo la vittima immolata e ostesa: l'Agnello di Dio crocifisso, Colui che ci libera da ogni schiavitù, da ogni peccato, da ogni colpa. Per quanto possiamo sbagliare nella nostra vita, Dio è più forte del nostro male: perché Egli è l’Amico, il Guaritore, l’Amore che riempie e consola il nostro cuore. Scriveva Giacomo Leopardi in una lettera al fratello: "Io non ho bisogno di gloria, né di stima, né di altre cose simili, ma ho bisogno soltanto di amore". Verità sacrosanta: Dio soddisfa in pieno questo nostro bisogno. Nella nostra vita umana siamo soggetti a sofferenze, angosce, malesseri di qualunque tipo; ma se permettiamo a Lui di entrare nel nostro cuore, di stare con noi in noi, allora sentiremo di avere un amico, un sostegno, una nuova forza, prorompente; sentiremo il conforto di avere uno che ci ascolta, che ci sorregge prontamente se vacilliamo, un rifugio sempre aperto in cui sentirci sicuri e amati. Completamente. E, fratelli miei, quanto bisogno abbiamo veramente tutti di sentirci amati!
Gesù è l'agnello che toglie il “peccato”: il “peccato”? di che peccato parliamo? Cosa è oggi ancora peccato? Che importanza diamo al peccato? Che percezione ne abbiamo? Poca, fratelli miei. Anzi pochissima, quasi nessuna. Del resto noi oggi sentiamo ripetere continuamente che Dio è misericordioso, che ci ama incondizionatamente, che nulla può interferire con il suo Amore, che è Lui che ci rincorre: allora perché preoccuparci? Anche se tutto questo è vero, non dobbiamo in alcun modo abbassare la guardia, sottovalutando l’entità delle nostre debolezze. Sbagliamo di brutto quando giustifichiamo qualunque nostra decisione pensando: “Tanto Lui è buono, se pecchiamo ci perdona!” Sbagliamo quando non pensiamo affatto allo sconquasso che la nostra ingratitudine provoca nel cuore innamorato di Dio. Continuiamo a sbagliare quando diciamo: “ma che peccati posso mai fare?”. Se esaminiamo la nostra vita alla luce del solo decalogo, forse possiamo anche sentirci tranquilli: andiamo a messa, non ammazziamo nessuno, facciamo le nostre elemosine, non bestemmiamo… ecc. Ma abbiamo mai pensato in quanti altri modi possiamo peccare contro l’infinita bontà di Dio? Pensiamoci attentamente fratelli miei: perché noi purtroppo pecchiamo, e pecchiamo sul serio, ogni volta che non vogliamo maturare nel cuore, quando non vogliamo crescere spiritualmente, quando preferiamo restare così come siamo, tiepidi e indifferenti, senza crearci alcun problema. Pecchiamo quando non vogliamo guardare in faccia la realtà e chiudiamo gli occhi facendo finta di niente: quando non ci accorgiamo dei nostri fratelli che timidamente ci mandano richieste di aiuto, talvolta anche disperate; quando non vediamo (e come ci sta bene non vederle!) le esigenze, gli stati d’animo, le sofferenze di chi ci sta vicino: di nostra moglie, di nostro marito, dei figli, dei nostri confratelli, delle nostre consorelle; quando non ci accorgiamo che dovremmo prendere quella particolare decisione importante che rinviamo sempre; quando sappiamo che c'è un problema col nostro prossimo e facciamo finta che non ci sia, che tutto vada bene. Siamo inoltre nel peccato quando la vita spirituale non circola più in noi ed è come se fossimo morti: non siamo più toccati da nulla, siamo insensibili, niente ci commuove, niente ci emoziona, ci appassiona o ci fa piangere; quando non siamo più disposti a metterci in gioco, ad osare, per nessun ideale o sogno; oppure quando, stupidamente iperattivi, non vogliamo fermarci per riflettere sulle conseguenze della nostra condotta donchisciottesca. Peccato è voler rimanere ignoranti, non voler conoscere le cose "per non crearci troppi problemi", preferire il buio mentale alla luce. Peccato è il vittimismo con cui ci chiudiamo in noi stessi: "Nessuno mi ama; tutti ce l'hanno con me; nessuno mi regala niente; non ci si può fidare di nessuno; io faccio tanto per gli altri, ma poi...". Peccato infine è credersi senza difetti, senza macchia, l’essere convinti che "Sì, le solite piccole debolezze, ma niente di grave". E non ci accorgiamo delle tante ferite, anche se piccole, e non mettiamo anche quelle nelle mani di Dio: ma le lasciamo marcire in fondo al nostro cuore, fino ad infettare la nostra anima e il nostro spirito, fino a corroderla e ad ucciderla.
Peccato, male, morte, è – dunque – non esprimere pienamente la vita che ognuno ha dentro. Perché dove c'è vita non c'è morte; dove c'è espressione non c'è depressione; dove c'è amore non c'è chiusura; dove c'è il bene non c'è il male. Nella nostra vita non possiamo scegliere di non fare il male. L'unica scelta possibile è invece quella di fare soltanto il bene. Di farlo sempre, impegnandoci su tutto il fronte.
Ogni domenica, quando andiamo in chiesa, sentiamo il sacerdote ripeterci: "Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". E Gesù, il Liberatore, ci sussurra: "Se vuoi, io vengo per portarti un po' di pace, un po' d'amore, di speranza, di perdono e di positività. Mi lasci entrare? Mi apri la porta?". Noi che rispondiamo? “Agnello di Dio vieni nel mio peccato e liberami dal mio male” oppure “No grazie, non mi interessa”?
La comunione, fratelli, non è un dovere, non è un precetto, non è un obbligo: ma è un riconoscere umilmente di aver bisogno di Dio, di aver bisogno di coraggio e di forza. La comunione è la possibilità che abbiamo di far entrare nel buio del nostro cuore un po' di luce; di portare nel mondo conflittuale della nostra anima un po' di pace e di perdono. È una possibilità concreta che ci viene offerta. Ma allora perché tanta gente va in chiesa e non fa la comunione? È tanto distratta e indifferente da non porsi neppure il problema? Non vuole farsi coinvolgere troppo? Crede di non meritare l'amore di Dio? È proprio difficile capirlo, fratelli. Perché è come andare dalla propria amata e non darle un bacio, entrare in casa di un amico e non salutarlo. È come andare ad un pranzo e non mangiare. Perché? Perché rinunciare alla cosa più buona, a quella che fa più bene, a quella più dolce? Eppure quando siamo innamorati di una persona, siamo pronti a far di tutto per incontrarla, vogliamo stare soli con lei ad ogni costo!
Per concludere: evitiamo tassativamente di pensare che tanto Dio fa tutto Lui. “È talmente buono… capirà”. No fratelli: nel cammino della fede e della conversione del cuore non esiste la gratuità assoluta: non ci sono bacchette magiche, né anestesie mistiche. L'azione di Dio in noi richiede sempre la nostra diretta collaborazione, l'investimento di tutta la nostra libera volontà. Siamo noi che dobbiamo muoverci: dobbiamo scegliere di stare con Lui, di lasciarci salvare, di farci raggiungere nel nostro cuore. In una parola siamo noi che dobbiamo mettere tutto nelle sue mani. Si fratelli, perché questa è l'unica scelta che non ha mai deluso nessuno. Ripeto: mai!. Amen.
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