«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino»
Venuto a conoscenza dell’arresto di Giovanni, Gesù abbandona Nazareth e il deserto di Giuda, e si rifugia più a nord della Galilea, precisamente nel territorio di Zàbulon e Nèftali, abitato dalle omonime tribù di Israele. Un territorio di frontiera che i puri di Gerusalemme a quei tempi guardavano con molto sospetto, luogo in cui si mischiavano credenze e riti, culture e lingue, luogo imbastardito, meticcio, perduto. Basti pensare che proprio da quei territori proveniva il movimento estremista degli zeloti, e che dare del "Galileo" a qualcuno equivaleva definirlo "terrorista".
È proprio da questo luogo che Gesù inizia la sua predicazione, dai confini della storia. Dio è sempre così, preferisce i lontani, quelli con una vita difficile, a quelli che vivono tranquillamente, senza grossi problemi. Gesù sceglie di abitare, di condividere tutto, con questi abitanti, porta la luce, dona testimonianza.
È un primo segno molto importante per noi, fratelli: anche noi, con la nostra fede, dobbiamo uscire dalle nostre case, dalle nostre chiese; Dio è stanco di rimanere solo, abbandonato nei tabernacoli, e di non riuscire ad entrare nella nostra società, nella vita quotidiana di tutti; è stufo di essere tirato in ballo nei momenti e nei luoghi "sacri" e di essere estromesso dai luoghi dell'economia, della politica, del divertimento, della cultura. Ecco allora che il motivo per cui noi discepoli ci raduniamo ogni domenica per gioire nel Signore, deve essere quello – una volta usciti di chiesa – di trovare la forza per annunciare e testimoniare Cristo nel quotidiano, nel vissuto, nel “vero” di ciascuno! Come fare?
«Convertitevi!» è l'invito bruciante che ci raggiunge oggi: «Convertitevi perché il Regno si è fatto vicino». Sì, Matteo scrive proprio così: che vuol dire? Che è il Regno ad essersi avvicinato, è lui, Dio, che prende l'iniziativa; quindi ora tocca finalmente a noi di accorgercene, di girare lo sguardo (di convertirci, appunto). Dio non esordisce con qualche reprimenda morale, con qualche paternale bonaria, con qualche discorso indorato e mellifluo, teso a suscitare in noi il pentimento e il cambiamento di condotta. Nossignori: Lui agisce, lui per primo si offre, si dona, rischia tutto. Ci dice: "Io ti sono vicino, non te ne accorgi? Tu che fai?" Dove “accorgersi” significa mollare tutto, lasciar andare i molti affari, le molte cose inutili che ci affannano, per recuperare l'essenziale, come Pietro, come Andrea, che diventano – finalmente – pescatori di uomini, consapevoli del loro ruolo, della loro missione.
«Convertitevi!»: è un ordine secco, immediato; Gesù ci invita, ora e subito, a metterci in discussione, a cambiare mentalità, a buttare via le speranze ingannevoli e a cercare la Speranza che non inganna. In questo non dobbiamo temere di affrontare prove, sconfitte, delusioni: perché nel momento stesso in cui ci crollano addosso le nostre aspirazioni, in cui i nostri progetti umani vanno in frantumi, è proprio in quel momento che Dio trova in noi il terreno ideale. Quando cadono le sicurezze umane, è l'ora della sicurezza di Dio, perché Dio ci aspetta proprio là, sulla strada della contestazione di noi stessi: fratelli miei, non è al termine dei bei ragionamenti, delle auto incensazioni (“ma come sono bravo, come sono furbo, come sono intelligente!”) che incontriamo Dio; ma quando viviamo nell’umiltà il nostro essere niente, attenti, aperti e disponibili, all'incontro con Lui, che è il solo Signore della nostra vita. Checché ne pensiamo!
Purtroppo, oggi più che mai, non tutti arriviamo a capire la vera portata di questo «convertitevi»: una realtà che invece è molto evidente e chiara per quanti l'hanno già sperimentata. È proprio così, fratelli: perché se noi accettiamo l’invito di Gesù, se noi ci fidiamo ciecamente di Lui, se veramente “cambiamo strada”, allora scopriremo una vita davvero meravigliosa, una vita completamente diversa, ricca, intensa, profonda (il Regno, appunto). E ci diremo: "Ma dove abbiamo vissuto finora? Come abbiamo fatto a vivere così miseramente fino ad oggi? Eppure Dio era così vicino!”. Capiremo allora che quel «convertitevi» non ha nulla a che fare con impegni moralistici di facciata, nulla a che vedere con pii esercizi ascetici e con preghiere a ruota libera. «Convertirsi» vuol dire semplicemente: "Accorgiamoci che dobbiamo cambiare radicalmente vita!”; “rendiamoci conto seriamente che Dio, nella sua bontà, ci vuole vicini a Sé": che aspettiamo?; chi è convinto di questo, non potrà mai più essere lo stesso. Per questo i monaci, abbracciando la vita monastica cambiavano il loro nome: perché dopo aver incontrato Cristo, non potevano essere più quelli di prima!
Ovviamente ciò richiede un nostro impegno iniziale: ciascuno deve fare una scelta personale, una scelta che è soltanto sua. Di nessun altro.
Invece capita anche a noi di non pensarci neppure di cambiare, di metterci in gioco; ci sentiamo già a posto. Per questo diventiamo intransigenti, duri, rigidi, aggressivi, maldicenti: verso gli altri ma soprattutto verso chi, come Gesù, ci invita a spostarci dalle nostre posizioni. Perché cambiare ci fa paura. Sempre. È un andare verso l’ignoto, verso ciò che non conosciamo e che ancora non siamo. Per farlo bisogna fidarsi, ciecamente. Invece siamo ancora dei “malfidati”. E continuiamo per la nostra strada.
Se ci guardiamo intorno vediamo che molti vanno in chiesa da tanti anni e sono sempre uguali: anzi, “siamo” sempre uguali! Magari fingiamo di essere buoni e bravi ma, in fondo in fondo, siamo sempre i soliti calcolatori! Dovremo chiederci allora: “A che mi serve frequentare tutti i gruppi di spiritualità, da don x a don y, dai neocatecumenali ai movimenti carismatici o di rinnovamento dello Spirito, se poi in pratica non cambio mai?. Quand'è che crescerò?” Siamo convinti di cambiare, ma al contrario razionalizziamo, intellettualizziamo il messaggio di Gesù. Sappiamo un sacco di cose, partecipiamo a corsi di approfondimento teologico, a settimane di spiritualità, siamo dotti e assidui frequentatori della Parrocchia, siamo attivi, sempre interessati, ma… lo siamo solo di facciata. In verità ci adattiamo, dissimuliamo, perché cambiare è difficile, è doloroso e fa paura. Preferiamo darci sempre “con riserva” (il che equivale a non darsi). Facciamo “qualcosa” ma mai “troppo” per non lasciarci coinvolgere del tutto. Cerchiamo di mostrare che ci proviamo, e se non ci riusciamo, beh, non è colpa nostra, ci abbiamo almeno provato! In una parola ce la stiamo raccontando! Ci rifugiamo nelle scuse del lavoro, degli impegni di casa, dell’ufficio, dei figli ecc. per crearci un alibi; tutto serve per giustificarci, per sottrarci al compito fondamentale di interessarci della nostra vita interiore, di noi, del nostro spirito, della nostra anima, di diventare ciò che dovremmo diventare.
«Convertitevi». Altro che essere – come spesso siamo – semplici consumatori di culto: dobbiamo essere persone vive che hanno sentito la chiamata; non gente mossa da abitudini religiose, ma annunciatori vivi, entusiasti del Regno di Dio, cioè di Gesù Cristo. In una parola dobbiamo “convertirci” nelle “convinzioni”.
«Convertitevi» infatti – in greco metanoèite, da metànoia – implica un “cambiamento di pensiero” (noeo): quindi non si tratta tanto di cambiare l'atteggiamento esterno: di sorridere di più o di essere più bravi o più servizievoli; di pregare di più o di sforzarsi di più ad essere dei bravi cristiani. Questo è senz’altro tutto ok, ma non è fondamentale! Bisogna cambiare dentro, nell'anima, nel modo di pensare, di sentire e di vivere. Esserne convinti!
Non bisogna essere “di più”, ma “diversi”. Altrimenti, fratelli, non c'è nessun cambiamento: non si tratta di dare una verniciatura nuova ad un muro vecchio, ma di cambiare totalmente il muro, dalle fondamenta. L'apostolato cristiano non è una gara vanitosa a chi fa di più: ad avere la Chiesa più piena, le cerimonie più belle, il coro più intonato, ma è soprattutto una “vita” nuova: la vita della carità, nell’apertura e nell’ascolto di tutti; è la vita di Dio in noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità. Se la nostra vita pastorale, le nostre opere, non nascono dalla carità vissuta, sono fatiche a vuoto, non servono a niente: sono gesti sterili che non porteranno mai dei frutti perché sono staccati da Dio. Soltanto su queste premesse potremo far parte dei “chiamati”. Si, perché c'è un altro particolare molto interessante: Gesù a tutti chiede di “convertirsi” ma solo ad alcuni chiede di “seguirlo”. Perché? Semplice: perché soltanto chi è entrato veramente nell’ottica del “cambiare” Gesù lo ritiene idoneo alla chiamata e quindi a “seguirlo” tra i suoi collaboratori più stretti.
Ecco, questo è il Regno di Dio, fratelli! Questo è seguire Dio, questo è seguire Gesù.
E concludo: noi, che - penso - ci riteniamo dei “chiamati”, siamo pronti a seguire Gesù? ad essere suoi autentici collaboratori, sudditi convinti e impegnati del suo Regno? Lo seguiamo con tutto il nostro entusiasmo? Abbiamo piena coscienza di questa responsabilità? Pensiamo seriamente a quello che Paolo ci dice nella seconda lettura, riferendosi alla comunità cristiana di Corinto: “una Chiesa divisa non annuncia Cristo, ma è una smentita di Cristo”? La nostra prima risposta alla “chiamata” deve essere dunque un “si”, incondizionato e generoso, costi quel che costi; dobbiamo essere all’altezza di questo popolo “nuovo”, un popolo “cambiato” che vive l'amore, la misericordia, il perdono. Ripeto: ogni altra nostra esperienza – sia essa movimento, parrocchia, spiritualità, comunità – è semplicemente “strumento”, un mezzo, e non esaurisce assolutamente il Regno. Il Regno è oltre! Molto oltre.
Ringraziamo Dio allora, fratelli, di farne almeno parte, nel nostro piccolo! Viviamo soprattutto l’amore: perché Cristo vuole questo da noi: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gi altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri». Amen.
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