«Il primo giorno della
settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora
buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro» (Gv 20,1-9).
Oggi festeggiamo
la Risurrezione di Gesù, una solennità che costituisce il fulcro della nostra
fede. In genere però le persone non amano molto questa festa: è difficile da
capire. Il Natale è più semplice: l’idea di un bambino che nasce, infatti, è subito
chiara a tutti. E poi il Natale si festeggia con i regali, con i cenoni in
famiglia, con un nuovo anno che inizia, e quindi la gente è più incline ad
amare questa festa. La Pasqua invece è più ostica, più complicata, più difficile
da comprendere e da vivere. Per esempio cosa intendiamo noi per “Risurrezione”?
Il significato più comune è di “ritorno in vita dopo la morte”, facendo
riferimento soprattutto alla vicenda di Cristo, il quale, morto e sepolto, è
appunto “risuscitato”, dopo tre giorni di permanenza in una tomba.
Viene
naturale quindi pensare, anche per noi cristiani, che la resurrezione riguardi
uno che è morto e che poi torna a vivere. Ma non è proprio così! Perché nei
vangeli la risurrezione non è esattamente questo. Se leggiamo attentamente quello
che scrivono in proposito i rispettivi autori, notiamo che nessuno di essi usa
in maniera esplicita il termine “morte” riferito a Gesù: tutti e quattro evitano
di proposito di usare il verbo “morire”; dice infatti Matteo: “Gesù, emise di nuovo un forte grido, ed
esalò lo spirito” (27,50); così Marco: “Gesù,
emesso un grande grido, spirò” (15,37). Stessa cosa Luca: “Gesù, gridando a gran voce, disse: Padre,
nelle tue mani consegno il mio spirito. Detto questo spirò” (23,46). Infine
Giovanni: “Chinato il capo, spirò” (19,30). Tutti dunque parlano non di
“morire” ma di “spirare, rendere lo spirito”.
Un verbo,
spirare, che ha preso il significato
che noi oggi gli diamo (quello di “morire”), solo più tardi, facendo
riferimento proprio alla morte di
Gesù; prima di allora non significava affatto il decesso di una persona, ma semplicemente
“trasmettere lo spirito”, restituire a
Dio lo spirito immortale. Quindi, a ben vedere, con la sua “risurrezione”
lo spirito di Gesù, vivo e mai morto, si è nuovamente calato nel suo
“contenitore” umano. Per questo nel pensiero dei vangeli, degli apostoli, di
Paolo, della prima Chiesa, la risurrezione, riferita alla nostra vita
cristiana, non è un evento che ci riguarda tanto dopo la morte, quanto da vivi.
Pertanto nella sequela di Cristo, noi dobbiamo sì “risorgere” con il corpo alla
fine dei tempi, ma anche e soprattutto da vivi, durante questa vita terrena. E
questo perché Dio dona con la sua grazia all’uomo debole, morto col peccato, una
qualità di vita così grande, così potente (è la vita divina) che è più forte di
qualunque morte. I primi cristiani, che vivevano risuscitati in Cristo, non vedevano infatti la fine della vita
terrena come una morte, ma solamente
come un passaggio definitivo a quella
Vita piena, a quella Vita divina, che avevano già sperimentato con Gesù qui in
terra.
Allora
la vita eterna non deve essere considerata come premio futuro per i buoni e per
quelli che si sono comportati bene, ma un “modo di essere, un modo di vivere”
già sperimentabile nel tempo presente. In questo senso San Paolo dice: “Non sono più io che vivo, è Cristo [risorto]
che vive in me” (Gal 2,20).
In
effetti, che la resurrezione riguardi non i morti, ma i vivi, è sicuramente un presupposto
assolutamente consolante per noi, un presupposto che ci riguarda direttamente: e
ci riguarda oggi, ora, perché è in questa vita che dobbiamo risorgere: parola
del vangelo!
Vediamo
allora in cosa consiste esattamente questa risurrezione,
cosa dobbiamo fare per risorgere ora, finché siamo ancora in vita.
Se prendiamo
in mano i vangeli e leggiamo il racconto della risurrezione, possiamo chiaramente
cogliere alcuni elementi comportamentali che ci suggeriscono qual è la via più
facilmente percorribile.
Prima
di tutto è il movimento, la dinamicità. Le donne, Pietro e Giovanni,
lasciano di buon mattino case e cenacolo per andare quasi di corsa al sepolcro.
Il che indica anche per noi la necessità di muoverci,
di prendere l’iniziativa; non possiamo stare una vita piantati nella nostra ombra,
perdendo tempo; dobbiamo andare avanti, progredire, verso nuove conquiste
personali, verso nuove emozioni: non possiamo vivere a ricasco degli altri. Purtroppo
a noi piace molto esibire la nostra debolezza, la nostra stanchezza; piace
moltissimo piangerci addosso, fare le vittime, lamentarci di tutto, senza mai
muovere un passo. Certamente tutti abbiamo dei problemi, tutti abbiamo delle difficoltà;
non siamo gli unici al mondo a soffrire. Quindi non drammatizziamo, non sentiamoci
vittime fuori luogo di un destino che ce l’ha con noi. La vita è movimento, è energia:
se la nostra vita non ci piace, se ha qualcosa che non va, invece di piangerci
addosso, muoviamoci, cambiamola, rivoluzioniamola: in una parola, “risorgiamo”!
Mi fa
sempre sorridere (e soprattutto pensare) la storiella di quell’uomo che ogni
sera pregava Dio di farlo vincere al Superenalotto. E questo per una sera, due
sere, una settimana, un mese, un anno. Ad un certo punto Dio, sfinito dalla caparbia
insistenza dell’uomo, gli dice: “Va bene! Io ti farò anche vincere, ma tu,
almeno, gioca la schedina!”. Non pretendiamo sempre tutto, senza da parte
nostra fare nulla. Dio è sempre disponibile, è vero, ma tocca a noi per primi fare
qualcosa, tocca a noi muoverci, tocca a noi fare il primo passo! E questo è
“risurrezione”.
Un
altro elemento, complementare al precedente, è la disponibilità al cambiamento: la Maddalena va al sepolcro, afflitta
e triste, per piangere Gesù morto; ma trovando la tomba vuota, il suo sconforto
si tramuta immediatamente in gioia, e torna indietro, certa, in cuor suo, che
Lui è vivo. Nella vita le cose sono spesso diverse da come noi le pensiamo o le
programmiamo: una volta che ci siamo “mossi”, dobbiamo anche essere disponibili a cambiare idea, a dare
nuove opportunità ai nostri sforzi, alle nostre emozioni. La nostra
Risurrezione è poter dire: “Mi do tanto da fare, ma forse il modo in cui vivo non
va bene; ecco, ricomincio da capo”. Essere aperti mentalmente. Dobbiamo fare cioè
come le donne e gli apostoli: essi, quando partono, non hanno alcun dubbio,
sono sicuri: Lui è morto, tutto è finito. Ma poi si rendono conto che non è
così. Erano certi di una cosa, ma poi tutto cambia: e ripartono entusiasti da
lì. Non possiamo vivere con una mente immobile, statica, in costante simbiosi solo
con le nostre convinzioni, con le nostre certezze. Dobbiamo aprirci, dobbiamo
capire che solo uscendo da noi stessi, scendendo dal nostro piedistallo,
possiamo acquisire nuovi elementi per diventare migliori. “Loro possono, perché
credono di potere” scrive Virgilio. Ed è così! Perché Dio ci viene sempre in
aiuto infondendoci una forza prorompente tale da superare qualunque ostacolo. È
vero o no che gli apostoli cambiarono il mondo? Eppure chi l’avrebbe mai detto!
Quindi, “Risurrezione” per noi deve essere: “Posso migliorare, posso diventare
diverso da quel che sono! Lo credo, ne sono certo; lo voglio!”.
Un terzo
elemento, sempre legato al movimento, è uscire
fuori da noi stessi: donne e discepoli vanno al sepolcro: ma l’incontro con
il Risorto li butterà fuori nel mondo. Stessa esperienza per i discepoli di
Emmaus: tristi, sfiduciati, rinchiusi in loro stessi, avevano abbandonato
Gerusalemme per tornare a casa loro: ma dopo l’incontro si trasformeranno,
abbandoneranno le loro paure interiori, e torneranno entusiasti in città per
operare nel gruppo degli apostoli. Stessa sorte anche per questi ultimi: chi
erano infatti gli apostoli? Pietro lo aveva rinnegato bestemmiando; Giuda lo
aveva tradito; Giacomo e Giovanni cercavano posti di potere e di prestigio;
tutti, quando lui ne aveva più bisogno, si sono addormentati, lo hanno abbandonato,
sono scappati. Non si può certo dire che fossero gente affidabile! Eppure, dopo
l’ultimo incontro con Cristo, usciti prepotentemente da loro stessi e dal
cenacolo in cui si erano rinchiusi, quei Dodici hanno cambiato il mondo!
Ebbene,
il mondo ha bisogno anche di noi. Cosa aspettiamo? Usciamo dal nostro rifugio
di comodo, gridiamo al mondo la nostra fede; tiriamo fuori tutte le nostre
capacità, le nostre risorse. “Ma noi non sappiamo come fare, non abbiamo
conoscenze, siamo gente umile”. Non importa: quel poco che siamo, quel poco che
sappiamo, mettiamolo gratis a disposizione del mondo, a disposizione di chi
soffre, di chi sta peggio di noi! Certo, dobbiamo fare anche i conti con la nostra
fragilità umana, col nostro egoismo: “Cosa me ne viene in cambio? Cosa ci
guadagno?”. Risorgiamo! Usciamo da questa mentalità piccina. Vogliamo essere
felici? Il modo migliore per esserlo è far felici gli altri. Seneca diceva: “Se
vuoi essere amato comincia ad amare”. Se vogliamo guarire le nostre ferite,
guariamo le ferite degli altri. Se vogliamo essere ricchi, doniamo il poco che
abbiamo. Mettiamo le nostre doti, i nostri talenti, il nostro tempo, le nostre risorse,
a disposizione dei fratelli più bisognosi. Sì, perché per noi tutto questo è “risurrezione”.
Infine,
ultimo presupposto, è “vivere”; vivere
la Vita, vivere il Risorto, vivere la Luce dell’amore: perché, scrive Giovanni,
in Lui c’è la vita e la Vita è la luce degli uomini (Gv 1,4). Chiediamoci spesso: “Cos’è che mi fa vivere? Quand’è che mi
sento veramente vivo?”. Certo, respirare, campare, non è vivere; godersi la
vita nell’ozio, non è vivere; consumarsi per accumulare sempre più ricchezze,
onori, riconoscimenti, non è vivere. Vivere significa essere felici, essere
innamorati, essere pieni di gioia nel donare, sentirsi avvolti dalla grazia
divina, sentirsi in pace con Dio, con noi stessi e con il mondo intero; in
questo modo noi non solo viviamo, ma
siamo vitali, siamo cioè portatori di
Vita, siamo insomma dei “risorti”, e come
tali non “moriremo” mai più: perché, da “risorti”, noi seguiamo la Vita, amiamo la Vita, viviamo la Vita. Amen.
A TUTTI AUGURO UNA
SERENA E FELICE PASQUA DI RISURREZIONE!