giovedì 10 marzo 2016

13 Marzo 2016 – V Domenica di Quaresima

«Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?» (Gv 8,1-11).

Probabilmente le prime comunità cristiane hanno faticato ad accettare questo vangelo, apertamente in contrasto con la loro rigida mentalità in fatto di leggi matrimoniali.
Gesù si trova nel tempio. Ciò che avviene è sconcertante: siamo nella casa di Dio e gli esperti di Dio vogliono uccidere una donna. Scribi e farisei entrano nel tempio e gli conducono una donna. Praticamente hanno già le pietre in mano: la prima pietra della lapidazione (era l’usanza ebraica) spetta infatti a coloro che colgono la peccatrice in flagrante.
La donna è accusata di adulterio. Le parole “donna” e “adulterio” confermano il suo stato matrimoniale e per questa colpa era prevista la pena di morte. Il testo non dice se sia già stata processata: in ogni caso la stanno già conducendo fuori dalla città per lapidarla.
Ma Gesù le salva la vita. Se le cose fossero andate come da programma, ciascuno avrebbe scagliato la sua pietra. Nessuno avrebbe “ucciso”, però alla fine la donna sarebbe morta. Nessuno si sarebbe sentito colpevole dell’assassinio, anche se un assassinio sarebbe stato appena compiuto.
Di chi è la colpa dell’inquinamento dei mari e dell’aria, del buco dell’ozono, della deforestazione? Di chi la colpa di chi muore per mancanza d’acqua o di cibo o delle più elementari medicine? Io? Tu? Lui? Nessuno! Eppure la gente muore... Anche quella donna sarebbe sicuramente morta. E nessuno l’avrebbe uccisa.
Ai farisei e agli scribi in realtà non interessa la donna: il loro vero obiettivo è Gesù.
Se Gesù infatti si schiererà a favore della donna, automaticamente si porrà contro la legge. Lui che si dichiara il Messia non può porsi contro la legge dei Padri. Se si schiererà contro la donna si contraddirà, condannandola a morte: solo i Romani, peraltro molto liberali in materia sessuale, potevano infatti condannare a morte. Quindi scribi e farisei avrebbero avuto il pretesto per accusarlo di fronte all’autorità civile.
Tutti la condannano: nessuno si chiede i motivi, il perché si sia spinta a comportarsi in quel modo. Cosa cercava? Forse il marito la picchiava; forse il marito la respingeva; forse il marito la umiliava; forse il marito la teneva come una schiava; forse il marito aveva un’altra.
Nessuno si è fermato a riflettere sul perché è successo tutto questo. È successo: quindi, uccidiamola!
Come mai nessuno si è chiesto: “E l’uomo dov’è ora? Perché non prendiamo anche lui? Perché dev’essere colpevole solo la donna? L’adulterio si commette in due, perché qui c’è solo lei?”.
I farisei si rifanno alla Legge di Mosè, a ciò che è scritto nei codici e nei manuali di teologia. I farisei non hanno cuore, sono dei rigidi esecutori, sono dei formalisti.
Il loro criterio è la legge: “Il catechismo dice così, la legge comanda questo, la legge lo vieta o lo permette!”.
Ma “la legge non giustifica!”, dice san Paolo. È troppo semplice rifarsi alla legge, all’esterno. Il bambino può giustificarsi: “Lo dice la mamma! Papà mi ha detto che si fa così!”. Ma l’adulto, no: da grandi non dobbiamo più fare le cose solo perché ce lo dice qualcuno. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, dobbiamo fare le cose solo se crediamo in esse, altrimenti evitiamo di farle. “Ma gli altri fanno così; tutti fanno così; la legge stabilisce questo; si poteva fare!”: non possiamo più accampare scuse. Siamo noi gli unici responsabili delle nostre azioni.
Gesù si rifà alla legge inscritta nel cuore di ogni uomo, nel profondo di loro stessi. Noi possiamo anche uccidere la donna; possiamo anche accusarla e giudicarla colpevole ed essere in regola con la legge umana; ma non lo saremmo per la legge di Dio. Se una legge permette una cosa, non vuol dire che sia anche giusta.
Se ci chiediamo: “Cosa dice la legge?”, allora abbiamo già condannato la donna, e stiamo eseguendo la sentenza. Ma se ci chiediamo: “Cosa dice la mia coscienza, il mio cuore?”, come facciamo a condannarla? “Ma si è sempre fatto così, mia madre e mio padre hanno sempre fatto così, io ho imparato questo, le istituzioni stabiliscono questo!”. Nessuna giustificazione: “Tu non hai la tua coscienza? il tuo cuore? Che ne hai fatto?”.
Gesù rimette tutti di fronte alle proprie responsabilità: “Scagli per primo la pietra contro di lei chi è senza peccato!” (8,7). E nessuno lo fa’, non perché non si ritenessero giusti (non lo erano, ma loro ne erano convinti!), ma perché nessuno di loro è in grado di prendersi le proprie responsabilità.
Prima di parlare dobbiamo pensare bene a ciò che vogliamo dire. Le persone troppo spesso parlano di nascosto, dietro le spalle, gettano volentieri fango, insinuano, malignano: sono irresponsabili, non hanno personalità!
Fanno come i farisei che chiacchierano, spettegolano, malignano, accusano, insinuano e svergognano la donna. Non vedono l’ora di mettere in piazza il suo peccato, l’errore, lo sbaglio. Comunque lo definiscono immediatamente “peccato” e non vedono l’ora di annunciarlo per primi, di diffonderlo: “Flagrante adulterio” (8,4).
Gesù, chiamato in causa, non dice assolutamente nulla; non guarda neppure la donna, china solo il capo, profondamente amareggiato per il trattamento, maligno e incivile, riservato alla poveretta. Contrariamente ai suoi accusatori, Egli rispetta quella donna, capisce la sua vergogna, la sua umiliazione nell’essere messa alla berlina come una puttana, davanti a tutti, nell’essere additata come la peggiore e la più detestabile delle cose.
Molta gente si diverte a insinuarsi nella vita privata degli altri, a pubblicizzare maldicenze, a creare gossip inesistente, costruito e preordinato a tavolino, a malignare su ipotetiche avventure sentimentali; ci ricama sopra scientificamente, ricavandone lauti guadagni. È la storia quotidiana dei nostri giorni: i vari giornali e periodici spazzatura gareggiano nell’imbecillità; la quasi totalità di emittenti televisive intontiscono gli spettatori con trasmissioni idiote, in cui conduttori e conduttrici, con il supporto di opinionisti altrettanto idioti, fanno a gara nel farsi compatire per lo squallido voyerismo assunto come unico sistema di intrattenimento: vivono e guadagnano sulla nostra ottusità, costruendo continuamente falsi scoop in cui la maldicenza, le illazioni, le supposizioni, il perbenismo ipocrita, ne costituiscono le linee guida essenziali.
Una società che passa il tempo a rincorrere tanto pattume è una società che il più delle volte, non trovando vitalità in se stessa, cerca sussulti di emozione e di vita nelle notiziole scandalistiche, che evidenziano solo una tragica morte dello spirito. È una società vuota, in cui le persone, deprivate di ogni vita interiore, non fanno altro che vivere negli altri, cibandosi solo dei rifiuti e degli scarti della cronaca quotidiana.
A Gesù non interessa il peccato della donna: Egli, nella sua sensibilità, si preoccupa piuttosto di quello che lei in quel momento sta provando. I farisei la trattano come un oggetto; per loro quella donna è nessuno: non si rendono assolutamente conto che lì dietro c’è una storia, un volto, una vicenda, una persona con i suoi sentimenti, con le sue difficoltà, con i suoi problemi, con la sua onorabilità calpestata.
Gesù la chiama semplicemente “donna”: lo fa con rispetto, con amore, quasi con umiltà, restituendole con una parola la sua dignità, rivivendo con lei il suo dramma interiore.
I farisei però insistono, vogliono da lui risposte chiare, soluzioni definitive, leggi forti. Ma Gesù, in un silenzio assordante, continua a scrivere per terra; prende tempo. Loro vogliono una risposta immediata, lui non gliela dà. È pieno di rabbia e, nel silenzio, vuol scaricare tutta la sua indignazione: vuole essere nuovamente calmo, lucido, obiettivo nel rispondere.
“Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra” (8,7). Lapidariamente Egli ripropone ciò che l’usanza ebraica imponeva per coloro che si presentavano come accusatori: l’essere cioè totalmente immuni da ogni colpa, da ogni errore, da ogni peccato.
“Siete proprio sicuri che nulla vi riguardi? Ne siete proprio certi? Pensateci bene! Non avrete magari tradito vostra moglie, ma siete proprio certi di non aver mai desiderato in cuor vostro altre donne? Siete proprio sicuri di non aver mai avuto fantasie sessuali? Non vi succede mai di essere egoisti, di pensare solo al vostro piacere e non a quello della vostra compagna? Non vi succede mai di usare il sesso come vendetta o come arma di potere per ottenere ciò che volete? Non vi succede mai di essere aggressivi? Quello che imputate a quella donna non vi riguarda? Pensateci bene!”. Gesù li mette di fronte alla loro personale verità: “Chi di voi può dirsi immune dal peccato e da questo peccato?”.
Gesù non giustifica la donna e non le dice: “Brava, hai fatto bene!”. Le dice: “Và e d’ora in poi non peccare più” (8,11). “Forse hai sbagliato e forse hai fatto qualcosa di cui neppure tu ora sei soddisfatta. È successo, ma adesso non condannarti più. Adesso lascia stare, perdonati e sappi che tu puoi essere diversa, nuova!”. Questo è meraviglioso in Gesù: Egli fa leva sulle forze nascoste e profonde della donna: il suo è il vero amore. Non sottolinea il peccato, che probabilmente c’era ed era vero; sottolinea solo la sua possibilità di uscirne fuori, le sue risorse per costruirsi una vita migliore, per essere diversa. Gesù le dice: “Tu puoi. Non è vero che sei così e che sarai sempre così: non crederci! Puoi essere diversa; puoi essere migliore; puoi cambiare: io lo so, io ci credo!”.
Gesù non mette in risalto il suo errore. Anche lei sapeva di aver sbagliato! Egli sottolinea il positivo. Fede è semplicemente aver fiducia nell’altro. Ma non si può fingere: bisogna crederci! È credere che ce la possa fare; che abbia delle altre forze dentro di sé; che possa essere migliore. Gesù ama la donna perché le dice: “Sì avrai anche sbagliato, ma io credo in te”.
È meraviglioso quando qualcuno crede in noi, nelle nostre forze, nelle nostre possibilità, in ciò che siamo. È meraviglioso quando qualcuno sa andare oltre i nostri errori o i nostri limiti e ci dà fiducia. È meraviglioso quando qualcuno ci ama così tanto che ti fa sentire grandi, potenti: in una parola che ci fa sentire noi stessi.
L’amore dà fiducia. L’amore dei fratelli fa sì che noi possiamo ritrovare la fiducia in noi stessi.
Perché le persone guariscono con certi trattamenti? Cos’è che le fa guarire o cambiare o diventare se stesse? La competenza di chi insegna o guida? No! Un percorso terapeutico fatto bene? No! Ciò che li fa guarire è che trovano qualcuno che crede in loro e che ha fiducia in ciò che loro possono essere. È solo l’amore infatti che ci fa vedere quello che non siamo, quello che possiamo essere e che, se ci crediamo, senz’altro diventeremo. Amen.




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