«Gesù, pieno di Spirito Santo,
si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per
quaranta giorni, tentato dal diavolo» (Lc
4,1-13).
Il
vangelo di oggi parla delle tentazioni di Gesù: ha da poco ricevuto il
battesimo, e sente ancora dentro di sé tutta la forza del riconoscimento di Dio:
“Tu sei il mio figlio prediletto, in te
mi sono compiaciuto”.
Ed è proprio
quando si sente forte, proprio quando è “pieno
di Spirito Santo”, che arriva la tentazione: lo Spirito lo “conduce” nel deserto, ossia nella solitudine assoluta, nel profondo del proprio
io, dove nessun altro può entrare.
Vedremo
che anche satana lo “conduce”: ma nella
tentazione, in quelle situazioni in cui egli può sferrare il suo attacco e
indurre al male. Il termine ebraico “nahas”,
con cui la Genesi indica il serpente tentatore,
colui che ha sedotto Adamo, deriva infatti dal verbo “nahoh”, che vuol dire appunto “condurre,
accompagnare”.
Per
noi il serpente è sempre stato simbolo del peccato e del male: quando l’uomo è
solo con se stesso, sovente in preda allo sconforto a causa delle sue miserie,
è lui che entra in azione cercando con tutti i mezzi di indurlo, approfittando della
momentanea debolezza, al totale e definitivo allontanamento da Dio.
“Nahas” infatti, oltre che “condurre”, vuol dire anche “barriera,
ostacolo”: è quella “prova” cioè che
dobbiamo affrontare con decisione, quella tentazione che dobbiamo superare con
forza, anche se spesso richiede grande impegno e fatica, quel fiume che dobbiamo oltrepassare per poter continuare
il cammino che ci assicura la presenza di Dio in noi e l’unione al suo Amore
misericordioso.
In
greco “tentare, mettere alla prova”
si dice “peirasmos”, che vuol dire “verificare”. Scopo della tentazione, pertanto,
è quello di “verificare”, di fare cioè
chiarezza su chi realmente siamo, sulla sincerità delle nostre scelte, stabilire
se la nostra vita spirituale è solo di facciata, oppure se poggia saldamente sulla
solidità della nostra fede; ci rivela, insomma, chi siamo noi per davvero, per consentirci
di correre ai ripari e poter eventualmente sistemare quelle falle, fortificare quelle
debolezze, che piacciono tanto a Satana, sempre pronto a minare e distruggere
il nostro habitat interiore.
La
Bibbia conferma questo concetto, quando dice: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto
percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e per metterti
alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore” (Dt 8,2).
In
questo senso i profeti, i santi, sono stati tutti tentati, tutti hanno dovuto
fare i conti con le tentazioni. Tentazioni che non sono affatto un male, non
sono un peccato, ma al contrario sono un bene, poiché ci mettono in condizione
di dimostrare a Dio e a noi stessi la piena coerenza con i principi che
professiamo. Diventano un male esclusivamente nella malaugurata sorte che noi stoltamente
le assecondiamo.
In
passato l’ordine tassativo era: “Evitate le tentazioni!”. E così la gente si
sentiva in colpa già nel fare un qualche pensiero men che nobile, magari un po’
cattivo, perverso, di odio, di rabbia, di impudicizia. “Non si devono fare
pensieri del genere”, ci dicevano, “guai a chi li fa!”. Ma in realtà le
tentazioni non si possono evitare.
La
tentazione si limita a dire: “Controlla quanto sono profonde le tue radici.
Guarda su quali forze puoi contare. Verifica bene se la persona che credi di
essere, è vera, autentica”. Le tentazioni sono insomma il nostro momento di
verità, di libertà.
Nel
deserto Gesù esercita infatti la sua libertà e dice “no” ai modi di vivere e di
pensare prospettatigli da satana; e dice “sì” ad un altro stile di vita, quello
per cui era venuto nel mondo. Un vangelo dunque, questo di oggi, che decisamente
ci conforta, perché ci dice che anche Gesù subì il fascino del potere,anche Lui
sentì l’attrazione di usare per sé e per la propria immagine tutto il suo
carisma: ma ci conforta ancor più il fatto che la scelta finale fu soltanto sua,
coerente con la sua missione, decisamente contraria alle seducenti prospettive
dei suggerimenti di Satana.
Nel
deserto inoltre Gesù digiuna. Purtroppo oggi noi non capiamo il grande valore
del digiuno e per questo non lo pratichiamo più. Il digiuno non consiste solo nell’astenersi
dal cibo, nel non mangiare carne (astinenza) o nel sacrificarsi per chissà
cosa. Praticare il digiuno è questione soprattutto di mettere da parte, di liberarci
dalla nostra fatua esteriorità, dalla nostra superficialità, dalle nostre
stupide impuntature, dalla nostra ricerca di adulazioni, per “autenticarci”,
per rendere cioè la nostra vita vera, autentica, coerente, sincera.
Noi mettiamo
molto impegno nel curare il nostro benessere materiale, il nostro aspetto
esteriore; ebbene: altrettanto, e ancora più, dobbiamo metterne per accrescere,
per salvaguardare il nostro benessere spirituale: purtroppo però noi accantoniamo
volutamente il problema, cerchiamo di neutralizzarlo, di soffocare, di ignorare
le nostre voci interiori, le sollecitazioni della nostra coscienza che ci
scuotono dentro.
Oggi,
purtroppo, per calmare queste tensioni interne, molti ricorrono addirittura alla
droga: la cocaina, per esempio, è molto diffusa ed in continuo aumento, perché
offre ad una esistenza infelice e disperata, una parvenza di felicità; altri si
buttano nel bere e nell’alcool per annegare tutto il disagio che sentono
dentro; si riempiono di cibo per non sentire la fame di amore che bussa al loro
cuore. I più, invece, per dare importanza e senso ad una vita senza senso, si immergono
completamente nel lavoro, nelle occupazioni esteriori; tutti, insomma, hanno bisogno
di ricorrere ad eccessi, a provocazioni, al chiasso, alla sazietà, per non
sentire le urla di ribellione di una vita interiore ormai moribonda.
Fuggono
dal deserto, fuggono dal silenzio, dalla solitudine interiore; hanno il terrore
di scoprire la triste realtà che inesorabilmente emerge nel confronto interiore
con noi stessi.
Ma è
un fuggire invano: lo Spirito, come ha fatto con Gesù, ci spinge, anzi talvolta
ci caccia a spintoni, nel nostro deserto. Non abbiamo alternative, è là che dobbiamo
andare; è là che dobbiamo scendere per fare i conti con la nostra coscienza. È
Dio che lo vuole. Perché se non ci decidiamo di affrontare con coraggio i nostri
demoni interiori, non ne verremo mai fuori, saremo sempre in loro balia: perché
satana gioca sull’illusione. Egli cerca con grande astuzia di staccarci dalla
nostra realtà, di farci evadere. Cerca di insinuare sempre il dubbio sulla
bontà delle nostre scelte. Ci riempie di falsi miraggi; di eventualità
praticamente irrealizzabili, di possibilità inesistenti, che non ci sono.
Anche
Gesù, come ci descrive il vangelo di oggi, ha subito questi attacchi di satana:
la prospettiva cioè di ottenere tre soluzioni molto accattivanti, legate soltanto
a tre “condizioni”: “Se tu sei figlio di
Dio (4,3); se ti prostri dinanzi a me (4,7); se tu sei figlio di Dio (4,9)”.
Sono le
tre tentazioni di Gesù che costituiscono in qualche modo, il modello, la
sintesi operativa di tutte le tentazioni.
La
prima tentazione è: “Trasforma questa
pietra in pane” (4,3): riguarda il piacere;
tutto deve contribuire a soddisfare i nostri desideri, i nostri scopi. Per
raggiungere il benessere, per trarre il massimo godimento da questa esistenza, ogni
mezzo va bene: aiutiamo gli altri solo per essere ammirati; utilizziamo la nostra
posizione per soddisfare il nostro orgoglio, per sentirci “più” degli altri;
sfruttiamo parenti, amici, conoscenti per sentirci “qualcuno, per la gioia di sentirci
ammirati, invidiati, sempre al centro dell’attenzione di tutti.
La
seconda tentazione, “se ti inginocchi,
tutto sarà tuo” (4,6), riguarda il
possesso; vogliamo possedere tutto e tutti, per raggiungere emozioni sempre
nuove. Poiché conosciamo la nostra debolezza, la nostra fragilità, tentiamo di
sottomettere gli altri, per dimenticare la nostra vulnerabilità, il nostro
essere feriti, la nostra debolezza endemica. Quante volte sentiamo il bisogno
di sottomettere chi ci è vicino, di dirigerlo, di tenerlo in pugno, per sentirci
forti, invulnerabili, superiori a tutti! Ma pur ostentando sicurezza,
padronanza delle situazioni, delle persone e delle cose, finiamo sempre per
essere fagocitati dalla nostra fragilità, dal nostro essere in fondo tante
nullità.
La
terza tentazione: “Buttati giù dal
pinnacolo perché gli angeli ti sosteranno” (4,9-11): riguarda la potenza, il credere di poter fare tutto.
È soprattutto una tentazione religiosa: usiamo Dio per i nostri scopi, ci sentiamo
onnipotenti, ci sentiamo altrettanti Dio. Quante persone giustificano, come “volere
di Dio”, leggi e precetti che sono solo degli uomini. Quante guerre, quanti
sensi di colpa, quante umiliazioni e condanne sono state inflitte all’umanità
con la scusa di fare la volontà di Dio!
Nessuno
può permettersi di discriminare un fratello accusandolo di essere un peccatore
recidivo, di non vivere in unione, in “grazia” con Dio. Mai ergersi a giudici: tantomeno
gli educatori, che nel loro ministero pastorale usano un potere che non è il
loro! Non usiamo mai Dio per dimostrare la nostra forza, il nostro potere; non
usiamo Dio per i nostri scopi, per le nostre finalità, neppure per quelle
positive. Dio non si usa: si deve solo amare e seguire. Non facciamo dire a Dio
quello che ci suggerisce il nostro orgoglio. Troppe persone sono convinte di
essere onnipotenti: per il fatto che possono gestire milioni di euro,
influenzare banche, creare e dirigere flussi finanziari, si sentono altrettante
Dio, sono convinte che tutto dipende da loro e che possono permettersi qualunque
cosa. Per questo cercano insistentemente il massimo consenso, l’approvazione
generale, la notorietà: i fratelli non sono più persone, ma merce da sfruttare e
da sottomettere al loro delirio di onnipotenza. Purtroppo, non si rendono conto
che questo tipo di “potere”, questa superiorità assoluta, questo coro unanime di
riconoscimenti, peraltro tributati spesso per interesse, portano inevitabilmente
all’ubriacatura della ragione e del buon senso; e quel che è peggio, inducono a rimuovere qualunque necessità di “deserto”,
annullando conseguentemente la possibilità di un esame, critico ma salutare, con
la loro coscienza. Farsi
come Dio, è stato il grande peccato di Satana, di Adamo ed Eva: volevano infatti diventare ciò che non avrebbero mai potuto diventare.
Il
vangelo si conclude infine con l’annotazione che “esaurita ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da Gesù
per tornare al tempo fissato” (4,13). Che in altre parole vuol dire: attenzione,
non illudetevi che, superata una prova importante della vita, tutto sia definitivamente
risolto: a tempo “debito” altre prove torneranno, altre tentazioni puntualmente
si presenteranno. Sarebbe bello dire: “Questa cosa l’ho affrontata, ora sono a
posto”. Invece, a livelli sempre diversi, saremo continuamente sotto esame. Ed
è bene che sia così perché ogni prova superata, ci fortifica, ci radica sempre
di più nel mistero di Dio e della Vita.
Penso
infatti che la più erronea tentazione sia quella di fuggire le tentazioni, di
evitarci cioè un’esperienza, difficile e spesso dolorosa, ma fortificante e
gratificante. Darsi alla fuga davanti ad una tentazione, pur sembrandolo, non è
mai una soluzione: perché nessuno può evitare il proprio “deserto”; anzi, bisogna
rimanerci dentro tutto il tempo che serve. Amen.