mercoledì 3 febbraio 2016

7 Febbraio 2016 – V Domenica del Tempo Ordinario

«Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”». 
(Lc 5,1-11).

Gesù raduna attorno a sé un primo gruppetto di discepoli per un motivo molto semplice: lo devono seguire; perché? Perché devono osservare, devono guardare con attenzione quello che Lui fa e come lo fa, devono imparare il suo modo di agire, devono capire bene quello che Lui dice, per poi essere in grado di comportarsi esattamente come Lui.
Un giorno infatti manderà anche loro per le strade del mondo: “Andate, predicate e guarite” (Mc 3,14; Lc 10,1-20)
In qualunque scuola di vita, non è possibile rimanere eternamente discepoli. Ad un certo punto bisogna diventare maestri, diventare adulti, crescere, e muoversi in autonomia.
Non è possibile continuare per tutta la vita a chiedere ogni cosa a Dio o agli altri; non possiamo essere soltanto passivi; non possiamo sempre aspettare; non possiamo vivere facendo finta di non avere doti e capacità; non possiamo pretendere di rimanere sempre bambini. Dio ci chiama e manda anche noi a compiere la nostra missione.
Il vangelo non è un circolo chiuso: il vangelo è andare appunto nel mondo per cambiare il mondo. Il vangelo è missione, è portare la vita, la passione, il fuoco, la luce, la verità, dove non ci sono. 
Il vangelo è come la scuola: si studia per tanti anni e ci si specializza in una determinata disciplina, non per il piacere personale di studiare e basta, ma per diventare un domani degli esperti professionisti! Allo stesso modo dobbiamo andare a scuola di Gesù non per rimanere sempre dei bambini piccoli che hanno bisogno di ricevere tutto, ma per diventare degli altri Gesù, degli adulti che lo rappresentano e lo fanno conoscere al mondo intero.
Ed è normale: noi abbiamo ricevuto una grande gioia, come possiamo tenerla per noi? Abbiamo scoperto un tesoro meraviglioso: come facciamo a tenerlo nascosto? Abbiamo scoperto ciò che ci fa vivere: e noi vogliamo che tutti possano scoprire la vera Vita, perché tutti si appassionino e si riempiano di questa “meraviglia”!

Il vangelo di oggi ci descrive dunque la chiamata dei primi quattro di questo gruppetto: i due fratelli Pietro e Andrea, pescatori, e i due fratelli Giacomo e Giovanni, anch’essi pescatori, ma di un livello sociale più elevato (avevano, diciamo, un’impresa di pesca).
Siamo sul lago di Genèsaret: il lago indica la condizione di vita di questi pescatori. La superficie del lago è liscia, immobile, tranquilla, esattamente come la loro vita, una vita di “superficie”. Non sono cattivi, non è gente di malaffare, tant’è che concedono a Gesù di usare la loro barca. Pensano che la vita sia tutta qui. Pensano che questo sia l’unico modo di vivere. Neppure sanno come si può vivere fuori dal loro ambiente!
Forse non si sono mai posti, come del resto neppure noi, la vera domanda, quella dura, quella a cui non si può scappare: “Ma io sono davvero felice della mia vita?”. C’è fuoco, c’è passione nel mio agire? C’è luce nei miei occhi? C’è sole nel mio viso? C’è profondità nelle mie parole?” Sono domande che anche noi forse non ci siamo mai poste, preferiamo ignorare il problema e la sua soluzione, e dobbiamo ammettere: “Maestro abbiamo pescato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”. Come a dire: “Facciamo tante cose, corriamo in lungo e in largo, tanto e sempre, ma dentro di noi non rimane nulla, non si pesca, le reti della nostra anima sono sempre vuote.
La realtà è che se continuiamo a vivere nella superficie, non potremo mai essere felici: lì, a quel livello, non prenderemo mai alcun pesce.
I quattro apostoli, dopo una nottata infruttuosa, stanno lavando le reti: stanno cioè esaminando la loro situazione; e ascoltano la voce di Gesù. Improvvisamente sentono una vibrazione che li tocca dentro; sentono che quelle parole ridestano emozioni “nuove”, emozioni che ridanno vita; sentono in cuor loro che la via che Gesù mostra loro è quella “vera”; sono parole che li spingono ad osare. E che fanno? Accettano e lo seguono. Fanno umilmente tutto ciò che Lui chiede loro.
Sì, perché nella vita, prima o poi, arriva il momento in cui dobbiamo deciderci: la barca è pronta, l’equipaggio c’è, l’occorrente per la pesca pure. Dobbiamo soltanto sciogliere la corda, staccarci dalla riva e inoltrarci nel mare. O andiamo o stiamo fermi. Non ci sono vie di mezzo. O ci fidiamo di lui e andiamo, oppure continuiamo a rimanere fermi lì, per sempre.
Ad un certo punto dobbiamo rischiare, dobbiamo osare, dobbiamo andare. La nostra adesione si chiama semplicemente fede: ci fidiamo e andiamo. Non sappiamo dove ma ci fidiamo di Lui. “Cosa succederà? Che fine faranno quelli che noi amiamo? Perderemo qualcuno? Soffriremo? E se poi ci sbagliamo?”: domande legittime, certo. Ma se ascoltiamo i dubbi, la paura, non prenderemo mai il largo.
Gesù non fa mai tanti discorsi: seguirlo o non seguirlo non è questione di essere convinti o meno; ma di amore e di fiducia. Non lo seguiremo perché ci ha convinti, ma perché ci siamo innamorati di Lui, di ciò che con Lui possiamo essere e vivere.
Le proposte di Gesù sono sempre grandi, larghe, profonde, di ampie visioni: ci costringe cioè a metterci completamente in gioco. Gesù ci fa andare là dove mai avremmo pensato di poter andare e ci fa vivere ciò che neppure pensavamo esistesse. Quelli che lo incontravano per le strade della Palestina gli dicevano: “Tu sei la Vita”: perché Lui effettivamente faceva vivere!

A Simone dunque Gesù dà due ordini, semplici, decisi e chiari.
Il primo: “Prendi il largo” (5,4). Una richiesta che non ha bisogno di molte spiegazioni. Vuol dire: parti verso l’ignoto, esci fuori dai tuoi soliti schemi, dai tuoi soliti modi di pensare e di fare, e inoltrati nella vita. “Ma io ho paura, è rischioso!?”. Lo so. Ma quando è necessario farlo, si fa; quando si deve andare, si va. Il treno passa una volta nella vita: tocca a noi prenderlo: nessuno può farlo per noi. O noi o nessun’altro.
Quante persone si esimono dicendo: “Non è per me; sarebbe bello, ma bisogna essere realisti; non ne sono capace” e si convincono di questo. In realtà dovrebbero più onestamente ammettere: “Ho paura”.
Viviamo sempre negli stessi posti, frequentiamo sempre le stesse compagnie, il solito giro di conoscenze che ormai non ha più nulla da offrirci? “Prendiamo il largo!”. Frequentiamo i soliti amici e colleghi con cui parliamo soltanto di lavoro, di sport, di donne, di soldi? “Prendiamo il largo!”. Continuiamo a frequentare sempre quel certo ambiente molto “sofisticato”, anche se è opprimente e carico di pregiudizi, di occhiate taglienti, di sguardi velenosi, di invidie, di maldicenza? “Prendiamo il largo!”. Abbiamo sete di ricerca della verità, di scoprire i valori autentici della vita, di capirne a fondo i perché? “Prendiamo il largo!”. Non accontentiamoci delle risposte preconfezionate, classiche, di parte, ma immergiamoci con decisione nel cuore della Vita.
Non per nulla l’altro invito che Gesù rivolge a Simone è: “Cala le reti”. Cioè: “Vai dentro al problema; vai a fondo; immergiti nel mistero della Vita”. La Vita infatti non è una disciplina scolastica che va insegnata: si possono al massimo indicare dei percorsi, fornire delle indicazioni, piantare dei “paletti”; ma la Vita, per conoscerla, bisogna sperimentarla; bisogna viverla, bisogna necessariamente “immergersi” in essa: non per caso il battesimo (baptizein) vuol dire proprio “immergersi”.
Non basta sapere che Gesù era Figlio di Dio: Sì, certo, è già un bel passo in avanti! Ma con questa conoscenza saziamo soltanto il nostro cervello, la nostra intelligenza, ma non il nostro cuore. Per saziare la nostra sete di amore, dobbiamo scoprirlo noi personalmente cosa vuol dire “Figlio di Dio”! Entriamo dentro il suo cuore e scopriremo “come” era Figlio di Dio.
Sappiamo pure che anche noi siamo figli di Dio. Certo che sì! Ma saperlo non basta, non risolve nessuno dei nostri problemi e non ci cambia la vita. “Prendiamo il largo”, entriamo dentro, immergiamoci in Lui, e capiremo finalmente tutta la forza, la potenza, la dignità di essere figli suoi.
Egli ci ha “chiamati” a compiere la nostra missione: ma come? Ognuno lo deve scoprire dentro di sé. Dobbiamo tutti entrare dentro di noi: non c’è altra strada.
Del resto tutto ciò che è grande e vero, avviene “dentro”. Il bimbo inizia la sua vita dentro la madre; la gioia, il dolore, la rabbia, sono sentimenti che nascono dentro di noi, nel nostro cuore, nella nostra mente; il sangue che è vita, scorre dentro il corpo, dentro le vene; la linfa, è dentro l’albero; l’amore, è il sentimento interno con cui accettiamo l’altro o veniamo accettati e accolti per quello che siamo; la fede, è una percezione interiore; Dio, è un mistero da penetrare, da conoscere, da entrarci dentro; lo Spirito, è Dio dentro di noi; il corpo di Cristo,l’Eucaristia, lo mangiamo e va e finire dentro di noi; così per ascoltarci, dobbiamo entrare dentro di noi; la vera intimità, è l’incontro interiore delle anime e dei cuori di due persone.
La Vita vera, insomma, scorre dentro! La vita che osserviamo all’esterno è solo il riflesso della vita che abbiamo dentro.
Luca, a differenza degli altri evangelisti, descrive in maniera singolare la “chiamata” dei quattro: a lui interessa in particolare la figura di Simone: è sulla sua barca infatti che Gesù si siede, invitandolo ad allontanarsi dalla riva e dalla ressa della folla. Ed è sempre su Simone che Luca focalizza l’attenzione.
Quando infatti Simone si rende conto di come può vivere seguendo le direttive di Gesù (la rete è piena, stracolma di pesci!), viene assalito immediatamente dalla paura: “Allontanati da me perché sono peccatore”. Cosa avrà voluto dire con questa espressione?
Prima di tutto che lui non si sente degno: è convinto di non poter vivere così, di non essere all’altezza. “Sarebbe bello, mi piacerebbe tanto, ma non ce la faccio! Non ne sono capace!”. La gente troppo spesso ha paura di essere felice.
Secondo poi, che si sente in colpa per aver sprecato tanto tempo (una notte intera) per non pescare nulla. Una delle sensazioni più amare della vita è quella di renderci conto di averla completamente sprecata: un bel mattino ci svegliamo felici e contenti scoprendo quanto sia inebriante e meraviglioso vivere; e constatiamo amaramente di non aver mai vissuto in tale stato di grazia! Pensavamo che la nostra fosse “vita” e invece era solo un “vegetare”. E questo ci fa veramente male.
In terzo luogo Pietro si rende conto del suo “peccato” di valutazione: gettandosi in ginocchio riconosce di aver chiamato “vita” ciò che era “morte”. Per poter trovare la strada giusta, dobbiamo accettare di aver sbagliato. Perché se ci ostiniamo a percorrere una strada sbagliata, non arriveremo mai al traguardo che ci eravamo proposti. Dobbiamo essere umili. Quando una cosa è sbagliata, quando non ci offre ciò che dovrebbe, ammettiamo semplicemente di aver sbagliato, lasciamola da parte, e incominciamone una nuova”.
Qui Pietro ha toccato, ha sentito, ha sperimentato cosa vuol dire incontrare il Signore: la sua vita era vuota, come la rete tirata su nella notte: ma con Gesù, improvvisamente, si è riempita di pesci fino a traboccare. Prima era pieno di paura, ma Gesù gli ha insegnato quanto sia bello mollare gli ormeggi e prendere il largo. Prima si accontentava di sopravvivere, ma Lui gli ha insegnato a raggiungere la vera Vita. Una Vita per la quale valeva la pena di lasciare tutto, di rischiare, di osare.

Ora capiamo perché Pietro si è comportato così; capiamo perché Andrea, Giacomo e Giovanni hanno fatto altrettanto. Cos’altro avrebbero potuto fare? Erano morti; ma sono stati “pescati” da Lui e riportati in vita; cos’altro avrebbero potuto fare se non diventare loro stessi pescatori di vita?
Comunicare Dio agli altri è molto più semplice quando noi stessi abbiamo incontrato il Signore: perché è sufficiente raccontare ciò che abbiamo sperimentato e vissuto personalmente: ognuno infatti trasmette agli altri con profitto soltanto quello che conosce molto bene, quello che appartiene alla sua esperienza, quello che appartiene alla sua vita.
Infatti, nessuno può insegnarci a “pescare” nel mondo, se non Colui che conosce magistralmente questo mestiere; come pure nessuno può insegnarci il Vangelo, se non Colui che per primo lo ha annunciato e lo ha vissuto personalmente. Andiamo allora umilmente, come Simone, a scuola da Colui che è la Vita; impariamo da Lui, facciamo quello che Lui ci suggerisce: solo così potremo passare agli altri ciò che noi siamo, ciò che viviamo, e la nostra “pesca” sarà miracolosa. Amen.



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