«Venne a Nazaret, dove era cresciuto,
e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere…»
(Lc 1,1-4; 4,14-21).
Gesù,
dopo il battesimo nel Giordano per mano del Battista, dopo il suo ritiro di
preghiera nel deserto, inizia la sua predicazione per le strade della Galilea,
ottenendo un grande successo; da ogni paese la gente accorre a lui, suscitando voci
entusiastiche, consensi e lodi.
Passa
anche nella sua città di Nazaret e quel giorno essendo un sabato, entra nella
sinagoga, “secondo il solito” (Lc 4,16);
il che significa che Gesù non soltanto in quella occasione, ma ogni sabato
frequenta la sinagoga, come ogni buon ebreo. Egli però, a differenza degli
altri, ci va non per partecipare semplicemente al culto, ma per insegnare:
proprio per questo, nella sua attività pastorale, Egli deve fare i conti con un
fatto quantomeno singolare, incredibile: perché ogni volta che Egli predica alle
persone pie e religiose, queste sistematicamente tentano di farlo fuori, di ucciderlo;
quando invece si presenta ai lontani, ai delinquenti, alla feccia della
società, questi lo ascoltano devotamente. I luoghi sacri, con chi li frequenta,
sono dunque quelli più pericolosi per Gesù: Egli infatti per tre volte tenta di
insegnare nelle sinagoghe: la prima lo interrompono malamente (Mc 1,21); la
seconda e la terza decidono e tentano di assassinarlo (Mc 3,1; Lc 4,16-30). Ma
la zona di massimo pericolo per Lui, rimane il Tempio. La “Casa di Dio” è il
posto più pericoloso per Gesù: delle 12 volte che Giovanni usa il verbo “uccidere”
(apokteino), per ben 6 volte lo fa quando
Gesù insegna nel Tempio (Gv 7,19.20.25; 8,22.37.40); delle 8 volte, poi, che
usa il verbo “arrestare” (piazo), la
metà è anch’essa legata alla sua presenza nel Tempio (Gv 7,30.32.33; 8,20): è
quindi incredibile, come i frequentatori del luogo più sacro e religioso, il
luogo consacrato a Dio, siano proprio quelli che cercano di “uccidere” il
figlio di Dio. E lo fanno in nome di Dio. Ciò succede, purtroppo, perché la
gente che ostenta pubblicamente pietà e familiarità con Dio, in realtà spesso non
lo conosce, vive seguendo una propria idea di Dio, alla quale peraltro rimane
rigorosamente ancorata.
Sono
persone che nel proprio cuore, in profondità, non hanno mai sperimentato veramente
Dio, e si limitano a seguirne un proprio surrogato, costruito su idee e regole
personali che esse, come giudici inflessibili, difendono ottusamente contro
ogni evidenza.
Chi al
contrario “ha conosciuto” Dio, chi ha avuto un personale incontro con Lui, sa molto
bene che Lui è amore, vitalità, perdono, gioia, compassione, tenerezza,
rispetto e apertura verso chiunque.
Gli
uomini normali, quando peccano, si pentono e e si ravvedono: guardano alla
vita con occhi rinnovati e propositivi. Gli uomini troppo religiosi, i duri e puri,
continuano invece a vedere peccato e male in ogni cosa: non perché sia così, ma
perché sono loro che non riescono a staccarsene; il peccato, che essi vedono
ovunque, altro non è che la proiezione negativa nella vita, delle loro “ombre”,
del loro malessere interiore.
Ma
torniamo al testo: “gli occhi di tutti
nella sinagoga stavano fissi sopra di lui” (Lc 4,20).
La
sinagoga è piena di gente: e di questo il capo della sinagoga ne sarà stato
sicuramente contento, perché in genere se non si raggiungeva il numero “legale”
di almeno dieci maschi adulti, necessario allo svolgimento della liturgia, egli
era costretto a convocarli a pagamento (minyan).
Oggi con
Gesù ce ne sono in abbondanza: ma perché lo vogliono far fuori? Per un motivo
semplice: Gesù, anziché leggere la lettura del Rotolo di Isaia, fissata per quel
sabato, ne cerca, (eurisko) un’altra;
è Lui che stabilisce il testo da leggere, e questo sconcerta i presenti, sia perché
le regole liturgiche erano ferree e sacre, sia perché la pagina da lui scelta
riguarda in particolare la sua persona e la sua missione: si tratta di un
passaggio del capitolo 61 di Isaia che parla dell’investitura dell’unto dal
Signore (il Messia): “Lo Spirito del
Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha
mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai
prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli
oppressi e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19). E fin qui ancora tutto bene: ma Gesù, nel commentare queste parole, adatta la profezia di Isaia a se stesso e alla sua
missione: “Io sono qui per questo; Dio mi ha mandato per questo”. E qual è allora
la prima preoccupazione di Dio? È l’umanità sofferente: è annunciare ai “
poveri” il “lieto messaggio”, il suo
vangelo (Lc 4,18): Gesù quindi non è venuto per radunare attorno a se un esercito di combattenti per liberare il territorio dal nemico oppressore; né tanto meno per fondare dei gruppi di
preghiera, o dei movimenti carismatici; ma è venuto per togliere la povertà, ogni povertà,
in particolare la povertà dei cuori, la dilagante povertà di amore fraterno.
Il “lieto
messaggio”è dunque la fine di ogni “povertà”. Lui, il Messia, è venuto per questo: per darci
ciò che ci manca. E fin qui, ripeto, nulla in contraddizione con le aspettative
messianiche. Il testo di Isaia però, a questo punto, continua con l’annuncio di
“Un giorno di vendetta del Signore” (Is
61,2): il Messia cioè avrebbe vendicato con la forza i soprusi e le
violenze patite dal popolo. Ma Gesù questo versetto non lo legge; e ciò non fa
che aumentare il malcontento dei presenti, già indispettiti per la sostituzione
iniziale della lettura: essi si aspettavano quantomeno che la spiegazione di
Gesù confermasse queste loro attese messianiche, soprattutto in quelle parole
del profeta che promettevano “il tempo
della rivincita, della vendetta sui nostri nemici”.
Noi
che, a posteriori, non diamo alcuna importanza politica a queste parole, difficilmente
riusciamo a capire perché a questo punto la gente si scateni e pensi di uccidere
Gesù: “Cosa avrà mai fatto di tanto sconveniente?”. Non capiamo. Ma Nazaret è
in Galilea. E la Galilea all’epoca era un ambiente di nazionalisti fanatici. In
quella regione succedeva spesso, infatti, che la gente si sollevasse contro il
potere romano, invocando appunto la venuta del Messia. Per cui quando veniva
letto il primo versetto sulla sua investitura, tutti si aspettavano
immediatamente la proclamazione del versetto successivo che confermava a loro, poveri, schiavi e
prigionieri, la vittoria sui nemici e la liberazione dalla loro oppressione.
Ma,
come dice il vangelo, Gesù chiude il suo intervento, riavvolge il rotolo di
Isaia, lo consegna all’inserviente e si siede. Le persone rimangono sconcertate:
una lettura della Bibbia, fatta in questo modo, per loro è mutilata, blasfema, sacrilega,
irriverente. “Gli occhi di tutti nella
sinagoga stavano fissi sopra di lui” (Lc 4,20). Nell’aria si respira, oltre
alla delusione, una tensione incredibile, un disappunto generale: il
comportamento e le parole di Gesù, non sono in linea con le loro attese, con le
attese della tradizione, con le attese dei capi religiosi: è un pazzo! E quando
conclude: “Oggi si è adempiuta questa
scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc 4,21) si scatena il
putiferio, il finimondo! Il messaggio che è passato, in sostanza è questo: “Quello
che da secoli aspettavate, quello che da sempre avete pregato e invocato, il
vostro desiderio più grande, è qui davanti a voi: io sono l’unto; io sono il
Messia; io sono l’aspettato”. Ora, che Gesù si dichiari l’Unto, possono anche sopportarlo;
ma che il loro Messia sia proprio Gesù, questo no; questo non lo possono
assolutamente accettare! Il Messia, il Salvatore, l’Unto, che tutti si
aspettano, è di tutt’altra levatura, di tutt’altro carisma: “solo un mentecatto
come questo Gesù può definirsi tale; mettiamolo a tacere!”. E nel vangelo di
domenica prossima sentiremo come andrà a finire.
Questo
in sintesi è quanto accaduto quel sabato nella sinagoga di Nazaret.
Due
cose però vanno evidenziate nel comportamento di Gesù: due particolari sui
quali vale la pena fermare la nostra attenzione.
Prima
di tutto la sua ferma e incrollabile convinzione di essere il Messia, l’Inviato: questa sua certezza ci deve
insegnare molto: anche noi dobbiamo essere certi della nostra chiamata;
dobbiamo avere sicurezza, autostima, conoscenza di noi stessi e delle nostre
possibilità; dobbiamo essere pienamente consapevoli, di fronte a tutti e in
ogni situazione, di essere dei “chiamati”, di essere scelti e “inviati” nella
Vigna di Dio. Certo, la fiducia in Dio è essenziale: nondimeno la fiducia in noi
stessi costituisce la base, le fondamenta su cui costruire l’opera che Dio si aspetta da noi; anzi la base di ogni nostra opera, l’esecuzione di ogni nostro
progetto, l’attuazione di ogni nostro sogno. Una casa non sta in piedi senza le
fondamenta: e senza una radicata fiducia in noi stessi, non possiamo iniziare nulla, né realizzare
alcun sogno.
L’altro
particolare che merita la nostra attenzione, è quell’oggi detto da Gesù: un “oggi”,
un “adesso”, che chiude definitivamente
il tempo dell’attesa. Una indicazione che vale soprattutto per noi: ogni nostro
progetto deve compiersi oggi; basta posticipare, basta rimandare, basta sperare
che domani accada chissà cosa. Dobbiamo farlo oggi: c’è un “ti chiedo scusa”
che dovremmo dire a qualcuno? Facciamolo “oggi”; c’è una scelta difficile che
dovremmo fare? Facciamola oggi: prendiamo il coraggio e scegliamo; c’è un’abitudine,
una “prigione” da cui dobbiamo uscire? Qualunque sia il costo, facciamolo oggi;
c’è un qualcosa, un fatto, che dovremmo esaminare o ammettere? Smettiamola di tergiversare,
di trovare scuse, facciamolo oggi; c’è un “sì” che dovremmo dire a qualcuno?
Anche se abbiamo paura, diciamolo oggi; c’è un “no” che dovremmo dire a
qualcuno? Anche se ciò comporta conflitto e tensione, diciamolo oggi. Ci accorgiamo
che la vita ci sta sfuggendo? Dobbiamo cambiare oggi. Domani, in genere, significa
“mai”. “Domani” è solo un’illusione per dirci un “no” rivestito da “sì”. Il
nostro “anno di grazia del Signore”, che siamo chiamati a proclamare e a
testimoniare, è “oggi”, qui, ora, subito. Inutile rimandare “sine die”, a quando non avremo più tempo: solo l’oggi,
solo la nostra azione immediata, è in grado di cambiare la direzione della
nostra vita. Amen.