«In quei giorni, dopo quella
tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle
cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora
vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria» (Mc
13,24-32).
Il
vangelo di oggi è uno di quei testi che viene preso come l’annuncio della fine del
mondo. Ci sono dei gruppi, come i testimoni di Geova o i gruppi religiosi
apocalittici, che parlano moltissimo di “prepararsi”, di “vegliare”, di “essere
pronti”, di “fine del mondo”, vedendo segnali premonitori in ogni dove.
Ma questo
passo del vangelo, come tanti altri dello stesso tenore, non alludono affatto alla
fine del mondo. Parlano della fine di “un
mondo”, è vero; ma non della fine “del mondo”.
Penso che
il bisogno di attaccarsi alla “fine del mondo” risponda soltanto ad una loro
esigenza interiore, inascoltata, di far finire un loro mondo, a cui sono molto attaccati e da cui non riescono a
staccarsi. Sperano che accada dal di fuori , e dall’alto, ciò che loro non
riescono a fare personalmente nel loro intimo.
Bene:
il testo di oggi inizia dunque col v. 24 del capitolo 13 di Marco. C’è un
antefatto: al primo versetto dello stesso capitolo un discepolo, uscendo con
Gesù dal tempio, gli dice: “Maestro
guarda che pietre e che costruzioni” (Mc 13,1): di fronte a tanta bellezza,
a tanta maestosità e potenza del tempio di Jahweh, il poveretto rimane rapito. Non
per nulla tutti erano convinti che se Gerusalemme si fosse trovata in
difficoltà, Dio sarebbe intervenuto in prima persona proprio lì, nel tempio, per
salvarla.
Ma
Gesù gli risponde: “Vedi queste grosse costruzioni?
Non rimarrà qui pietra su pietra che non venga distrutta” (Mc 13,2). E più
avanti, ribadendo il concetto, dice: “Ciò
sarà il principio dei dolori” (Mc 13,8): in realtà il testo greco dice: “sarà
il principio delle doglie”; cioè: sarà doloroso, come il partorire, ma che
Gerusalemme venga distrutta, è un bene, è un fatto positivo, poiché questo tempio
impedisce la comunione tra Dio e gli uomini.
Già
dall’inizio del capitolo 13 si parla quindi di cadute di elementi ritenuti simboli
di certezze, elementi indistruttibili. “Infatti sorgeranno falsi cristi e falsi
profeti i quali daranno segni e prodigi per sedurre, se possibile, gli stessi
eletti (Mc 13,22). È un avvertimento.
Ma vediamo
cosa segue subito dopo. Gesù (siamo al vangelo di oggi), prosegue:
“In quei giorni, dopo quella
tribolazione (cioè la distruzione del tempio) il sole si oscurerà e la luna non
darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a cadere” (Mc 13,24).
Cosa vuol
dire qui Marco? Egli utilizza semplicemente delle espressioni dell’Antico Testamento,
in cui il sole, la luna, gli astri erano oggetti di culto, venivano adorati dalla gente.
Noi,
quando parliamo di religione ebraica, pensiamo subito ad una religione
rigidamente monoteista, una religione cioè che adorava un unico Dio. Ma se
andiamo a vedere non è stato sempre così: all’inizio anch’essi credevano nel
sole, nella luna e in tante altre divinità; soltanto con il tempo sono arrivati
a credere in un solo Dio. C’è stato, cioè, nel corso dei secoli un lungo processo
di purificazione, anche se in certi periodi la religione politeista cananea riprendeva
il sopravvento.
Allora
cosa sono questi “astri” che cadranno dal cielo? Qui, lo ripeto, la fine del mondo non c’entra
niente: nessuna calamità, nessun giudizio, nessun sconvolgimento cosmico. Lo
sconvolgimento e la catastrofe riguardano solo le entità celesti (gli dei) che
abitano nei cieli, non la terra.
In
altre parole, tutte queste divinità pagane sono destinate a cadere giù
definitivamente: un certo tipo di religione pagana finisce, perde il suo
splendore e l’idolatria entra in crisi. Ma prima è necessario che “il vangelo sia proclamato a tutte le genti”
(Mc 13,10). Cioè: quando il vangelo
sarà accolto da tutti, queste divinità pagane finiranno, perché di fronte al
vangelo tutta questa religiosità scompare.
Ecco
perché “gli astri si metteranno a cadere”
(Mc 13,25: il verbo indica un cadere
continuo): non è una pioggia di asteroidi, di stelle, di pianeti, ma
semplicemente la caduta progressiva e inarrestabile delle divinità celesti di
quel tempo; inoltre anche i potenti, i principi, i re, cioè tutte quelle persone
che si ritenevano “divine”, di fronte all’annuncio e all’espansione del vangelo,
subiranno la stessa tragica fine .
Per
capire ancora meglio dobbiamo riferirci al profeta Isaia: “Come mai sei caduto dal cielo, astro mattutino, figlio dell’aurora? Come mai sei stato steso
a terra, signore dei popoli?” (Is 14,12).
Questo
“astro del mattino” (identificato con Lucifero, precipitato dall’alto dei cieli)
altri non era che il re di Babilonia, che si arrogava il rango divino, era “salito
in cielo” diventando, oggi diremmo, una vera “star”, era cioè convinto di
essere Dio, una divinità. E cosa dice Isaia di lui?
“Eppure
tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio, innalzerò il trono, dimorerò
sul monte dell’assemblea, nella parti più remote del settentrione. Salirò sulle
regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo. E invece sei stato
precipitato negli inferi (=sotto terra), nelle profondità dell’abisso” (Is 14,13-14); il potente re di
Babilonia, che si credeva un Dio, è finito anch’egli in una tomba (lett. nell’Ade/Sheol,
nel regno dei morti)! Così sulla tomba di Alessandro Magno hanno scritto: “Basta
questa terra (un metro per due!) all’uomo a cui non bastava il mondo”. Ecco dov’è
finita tutta la sua potenza!
Dunque: “le potenze nei cieli saranno sconvolte”
(Mc 13,25). Sono tutte queste pseudo divinità (potenti, governanti, false
divinità, ecc.) che finiranno saranno sconvolte!
“Allora si vedrà il Figlio dell’uomo
venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (Mc 13,26). “Venire sulle nubi”: le nubi non sono il mezzo di
trasporto di Dio, ma indicano la realtà di Dio, come avviene nella trasfigurazione
in cui nella nube la voce dice: (cfr. la
nube della trasfigurazione e la voce: “Questi
è il figlio mio prediletto” (Mc 9,7). Cioè: gli “astri” cadono, mentre il
Figlio dell’uomo “sale”.
Qui c’è
una regola valida in ogni tempo: ogni volta che cade un regime ingiusto, un
potere disumano, la dignità, l’Uomo, si afferma (il Figlio dell’uomo = la vera
umanità). Ogni caduta di un sistema oppressore o di un’idea iniqua, qualunque
esso od essa sia, è una liberazione per l’uomo.
Allora
non c’è una venuta fisica del Figlio dell’uomo: ma è il risplendere di Dio in noi,
nella nostra cultura, nella nostra società, nelle nostre relazioni, nel nostro
vivere personale e sociale.
“Ed egli manderà gli angeli e
riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino alle
estremità del cielo” (Mc 13,27).
“Manderà gli angeli”: chi sono questi angeli? Per Marco
è addirittura una persona, il Battista: “Ecco,
io mando il mio “ànghelon”, il mio messaggero, davanti a te” (Mc 1,2). Per
cui gli angeli sono quelle persone che diventano “messaggeri” di pienezza di
vita; sono i messaggeri umani di Dio. L’angelo non trasmette una dottrina ma un’esperienza:
questi angeli non sono quindi nient’altro che le persone che hanno già
conosciuto, che hanno già sperimentato Dio.
Saranno
essi che “riuniranno gli eletti” (Mc
13,27), riuniranno cioè tutti coloro che hanno vissuto per il bene dell’uomo.
Cioè: mentre le potenze dei cieli (gli oppressori), coloro che hanno combattuto
contro la Vita, cadranno, tutti quelli
che hanno combattuto per la Vita
verranno fuori e vivranno.
Concludo:
cosa può dire a noi questo vangelo?
Dobbiamo
saper valorizzare ciò che ci succede, sia esso un dramma, una tragedia oppure
un’occasione da non perdere, altrimenti in nessun altro modo avremmo potuto
fare ciò che non volevamo o temevamo di fare.
Cadono
il sole, la luna, gli astri: crollano cioè tutti i nostri punti di riferimento;
può sembrare la fine, ma al contrario può essere la venuta del Figlio dell’uomo
in noi, cioè la nascita di una parte di noi molto più vera, una parte di noi che
altrimenti, in nessun altro modo avrebbe potuto nascere.
Noi
tentiamo di controllare tutto: decidiamo, pianifichiamo, progettiamo, facciamo
delle previsioni, dei sogni, cerchiamo di raggiungere sempre ciò che ci
proponiamo, per i nostri sogni impieghiamo tutte le nostre energie, ecc. Bene:
ma in tutto questo, dove mettiamo Dio? Dov’è il suo spazio di azione? Se decidiamo
tutto noi, Lui come può agire?
Proprio
per questo Dio si trova nell’imprevisto, in ciò che non ci aspettiamo, nelle
sorprese. Perché questo è l’unico spazio che gli rimane per agire, visto che noi
decidiamo e pianifichiamo sempre tutto. E se Dio volesse farci capire qualcosa
che non vogliamo capire, in quale altro modo potrebbe farlo, se non
sorprendendoci, se non dandoci qualche sberla per farci pensare?
Allora,
quando tutto ci va bene, viviamolo e ringraziamo Dio. Quando tutto crolla, viviamolo
e ringraziamo Dio. Quando c’è l’amore, viviamolo e ringraziamo Dio. Quando c’è
il rifiuto, viviamolo e ringraziamo Dio. Quando c’è la vita, viviamola e
ringraziamo Dio. Quando la morte ci tocca da vicino, viviamola e ringraziamo
comunque Dio. Viviamo insomma ogni istante della nostra vita, ringraziando Dio per
quell’istante. Amen.