Oggi il vangelo ci offre l’opportunità di fare alcune considerazioni sui discepoli che seguivano Gesù e sul nostro “discepolato” di oggi.
C’è da dire prima di tutto che di tutti quelli che seguivano Gesù, non tutti si sono rivelati un esempio costante di fedeltà: alcuni lo tradiranno, alcuni lo abbandoneranno, alcuni lo rifiuteranno; altri avranno momenti di crisi profonda e di sbandamento: ma quello che conta è che furono proprio quei discepoli che, presi dalla passione per questo uomo che aveva rivoluzionato la loro vita, si lasceranno catturare, imprigionare, martirizzare.
Quindi
non dobbiamo farci condizionare dall’idea che fossero la “perfezione” in
assoluto: no, al contrario; faticarono a credere, sbagliarono, dubitarono, né
più né meno come succede a noi.
Ma allora
perché questa gente seguiva Gesù? Ripeto: come noi. Alcuni spinti dalla
curiosità, altri dal dolore e dal rimorso di aver sperperato una vita, altri
ancora assetati dell’amore di un Uomo giusto e misericordioso.
Per la
cronaca: alcuni lo seguivano, ma senza abbandonare le loro case, il loro lavoro:
gli offrivano aiuto e ospitalità quand’era in zona. Altri erano sempre con lui,
lo accompagnavano ovunque, nella sua vita itinerante.
Erano persone,
uomini e donne, che appartenevano agli strati sociali più poveri; gente
semplice, ignorante, contadini, pescatori; gente senza rilievo sociale, donne e
mendicanti. In genere, quasi tutti, lontani dalle regole dell’Alleanza; erano cioè
gente impura, gente che non rispettava le regole religiose del tempo, erano eretici,
erano insomma i “lontani”.
Gesù
li vede come “pecore senza pastore” e dice: “Voi che nessuno vi vuole, venite
da me!”. Gesù non accoglieva i puri e i santi: accoglieva quelli che nessuno
voleva, quelli già giudicati, quelli non in regola, quelli impuri, quelli
esclusi, gli ultimi della società.
Un
particolare, questo, che dovrebbe farci meditare seriamente: noi che ci
sentiamo più vicini, che ci riteniamo la parte più attiva, quelli che “noi
siamo la Chiesa!”, non dobbiamo assolutamente pensare di essere l’elite, la
casta della brava gente, di quelli puri e santi, di quelli totalmente “ripieni”
di Spirito Santo; la Chiesa è solo la famiglia di quelli che soffrono, di
quelli che nessuno vuole, degli umili, di quelli che in essa trovano rifugio, sostegno
nel cammino, conforto, accoglienza e amore.
Ebbene:
è esattamente tra questa moltitudine al suo seguito, che Gesù ad un certo
momento sceglie i Dodici: sono quasi tutti galilei, persone semplici, a volte
perfino poco colte; non vi sono comunque scribi e non vi sono sacerdoti tra
loro. Alcuni come Giacomo e Giovanni appartengono ad un livello sociale più alto
(avevano barca e garzoni) altri, invece, come Pietro e Andrea sono pescatori poveri, avevano cioè solo una rete con
cui pescavano vicini alla costa quel poco per sfamarsi. Alcuni erano sposati
(Pietro), altri no; alcuni avevano abbandonato la famiglia, altri lo seguivano con
la madre o qualcuno dei loro famigliari.
Cosa
ci fa capire tutto questo? Che Gesù non ha categorie sociali preferite o
speciali: né ricchi né poveri, né acculturati né ignoranti, né di destra né di
sinistra. Gesù sceglie: e possono seguirlo, solo persone disponibili, aperte
nel cuore, persone che si lasciano mettere in gioco, che sono pronte a
lasciarsi sconvolgere completamente la vita.
È per
questo che coloro che vivono in contesti fortemente strutturati, nelle case del
potere, fanno e faranno sempre fatica a seguire “fedelmente” Gesù. Anche solo
iniziare a seguirlo. Ecco perché non vi sono personaggi del potere religioso o
politico che lo seguono. Perché una volta entrati nel “sistema”, è il sistema
che ti dirige, che decide per te, che dice cosa devi scegliere e cosa no, cosa
imporre ai tuoi cittadini elettori e cosa no: inutile che tu ti professi
cattolico per accaparrarti consensi: poi sarai sempre un burattino in mano ai
burattinai del potere occulto!
Gesù è
radicale. Non si può seguirlo solo un po’: o lo segui tutto o niente. Gesù è un’esperienza
totale, che rovescia tutti i piani della nostra esistenza. Per questo i “ricchi”
di idee, di tradizioni secolari o familiari, di ambizioni, di soldi, di
consuetudini, non possono seguirlo. Perché lui viene e spazza via tutto ciò che
non c’entra con lui.
Ma
perché Dodici? A cosa si riferiva il numero dodici? Dodici erano le tribù di
Israele prima delle deportazioni (721 a.C. quella degli Assiri, 587 a.C. quella
dei Babilonesi); forse che Gesù vuole costruire un nuovo Israele, un nuovo
popolo, un nuovo regno? Certamente.
Tutti gli
ebrei aspettavano infatti la restaurazione del regno politico di Davide e di
Salomone: ma sotto questo profilo, con Gesù, la delusione fu veramente grande.
Il “regno” di Gesù non è politico, non è materiale. Gesù pensa solo ad un regno
del cuore e dell’anima, dove le persone guariscono e si liberano dai loro nemici
interiori.
Questo
è l’autentico regno di Dio: e sarà sempre così; un regno che non è fuori di noi,
ma dentro di noi. La “grande liberazione” deve avvenire in noi. Siamo noi che dobbiamo
liberarci dai nostri demoni, dai nostri tiranni, dai nostri nemici interni, per
poterlo seguire. Chi non vuole guardarsi dentro, chi non vuole conoscersi nel
profondo, chi non vuole incontrare gli abitanti scomodi del proprio cuore, non
potrà mai seguire il Gesù del Vangelo.
Ma, in
concreto, cosa chiedeva Gesù a chi lo seguiva?
Due
cose: la prima, di lasciare la “propria casa”, cioè ogni possibile legame precedente,
ogni attaccamento. Per questo nessuno dei suoi familiari lo seguì. I suoi
paesani lo rifiutarono. I suoi parenti tentarono di prenderlo, per impedirgli
di parlare e di agire, facendolo passare per “pazzo”; per questo se ne dovette fuggire
dal suo paese e trasferirsi sulle rive del lago di Galilea, a Cafarnao.
La
casa (e a quel tempo molto più di oggi) era soprattutto il rifugio affettivo:
rompere con quelli di casa era una gravissima offesa per la famiglia, un
disonore per tutti. Ma Gesù chiede proprio questo: di lasciare la casa fisica e
la casa mentale (i modelli, le idee, le credenze della famiglia, le loro
tradizioni). Gesù stesso dice di sé: “Le volpi hanno le tane e gli uccelli del
cielo i nidi, ma quest’uomo non ha dove posare capo” (Lc 9,58). La terra, la barca, era il mezzo di sussistenza per
vivere, la cosa più ambita e ricercata: Gesù chiede di lasciarla.
E Gesù
sa bene cosa accadrà: “Non pensiate che io sia venuto a portare pace sulla
terra, bensì la spada. Sì, sono venuto a mettere il padre contro il figlio e il
figlio contro il padre, la madre contro la figlia e la figlia contro la madre,
la suocera contro la nuora e la nuora contro la suocera” (Lc 12,51-53). Cioè: per Gesù la famiglia non è la cosa più
importante, anzi può essere ingombrante. Vi è qualcosa di più importante: il
regno di Dio, “chi non odia suo padre e sua madre, suo figlio e sua figlia, non
può essere mio discepolo” (Lc 14,26).
Se l’approvazione
dei genitori, del capo, dei nostri compagni di cammino, delle persone che amiamo
è più importante della nostra libertà interiore, della verità che cerchiamo, del
seguire la nostra vocazione, allora non possiamo seguire Gesù.
Gesù
lo dice chiaramente: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro
è adatto al regno di Dio” (Lc 9,62).
Se vogliamo seguire il nostro cammino non possiamo seguire anche quello di
altri. Prepariamoci quindi a deluderli, ad essere rifiutati, perché ai loro
occhi non seguiamo le loro aspettative.
Per
Gesù, il primo valore è “la coscienza”,
il Dio dentro di noi, il seguire la nostra strada: e questo viene prima di
tutto, della famiglia, delle regole religiose, di ogni autorità.
Gesù è
un sovversivo per ogni tipo di “istituzione” perché vuole che i suoi discepoli
siano liberi, che non debbano rendere conto a nessuno se non a Dio, che non si
inchinino a nessuno se non a Dio. Siamo liberi, viviamo da uomini liberi.
Inchiniamoci solo a Dio, a nessun altro.
La
nuova casa non è più il legame di
sangue, di parentela, ma di cuore e di anima: “Questi sono mio padre, mia madre, mia sorella e mio fratello: chi
compie la volontà di Dio” (3,35),
non già quelli che dicevano di cercarlo, quelli che erano venuti soltanto per
trovarlo.
Il
secondo valore è “la decisione”:
quando Gesù chiama, chiama. Non dà spiegazioni sul perché chiama e non informa
su cosa accadrà o sul dove andrà. Dice soltanto una parola: “Seguimi!”. Cioè: c’è qualcosa di Lui che
ti attrae, che “ti prende”, che ti attira, che ti fa innamorare? Seguila, senza
far domande, senza chiedere assicurazioni, previsioni o garanzie sul futuro.
I
discepoli di Gesù non lo seguivano per motivazioni logiche o teologiche: ma
semplicemente per passione. I discepoli erano degli innamorati perché solo gli
innamorati o i pazzi potevano operare scelte simili a quella loro.
Ma con
Gesù avevano imparato un altro modo di vivere: Lui era tenero con i piccoli e i
derelitti; Lui si emozionava di fronte alle sventure e alle sofferenze degli
ammalati; Lui non aveva paura di toccare i lebbrosi e le donne, Lui non aveva
paura di abbracciarli; Lui era tenace e irremovibile quando c’era da difendere
la dignità delle persone; Lui accettava tutti alla sua tavola (simbolo dell’ospitalità
del suo cuore) e non aveva pregiudizi di nessun tipo; Lui era appassionato
della verità, se ne infischiava delle regole stupide o disumane e se c’era da
trasgredirle lo faceva senza tanti sensi di colpa; Lui piangeva, gioiva, si
stupiva di fronte agli uccelli del cielo e ai gigli del campo; Lui credeva
nella forza delle persone e se queste gli credevano, guarivano; Lui amava per
davvero e non a parole; Lui si schierava e non temeva di prendere posizione
quando c’era da farlo; Lui sì che viveva. Ebbene: tutto questo è rinchiuso in
un’unica parola: “eu-anghelion”, “la buona
notizia”, il Vangelo.
Gesù
voleva che i discepoli vivessero così, da innamorati, da infuocati, bruciando d’amore
e di vita. E, in effetti, noi seguiamo Gesù perché ci fa vivere davvero, perché
ci fa più liberi, perché ci fa affrontare e vincere le nostre paure, ci fa
emozionare, ci fa sentire veramente noi stessi, dà senso alla nostra vita.
Se
invece, convinti di seguire Gesù, ci accorgiamo di essere più acidi, più cupi,
più rigidi, più aggressivi, più scontenti, più chiusi, più intolleranti, più
paurosi, fermiamoci un istante, e chiediamoci chi stiamo realmente seguendo:
perché di certo, con quei risultati, non stiamo seguendo il Gesù del Vangelo!
Poi
Gesù li invia. Prima hanno visto, hanno imparato, ora devono andare
(6,7).
Gesù
pensa ai suoi discepoli come a dei “pescatori
di uomini” (1,17): gli uomini,
pieni di paura, in balia dell’odio, della rabbia, della violenza, dell’ignoranza,
degli attacchi del nemico, sono come
dei pesci che, annaspando in poca acqua limacciosa, devono essere pescati, immessi
nelle fresche acque della Salvezza e, al sicuro dai pericoli e dalle deformazioni
del male, possano ritrovare il loro vero Volto.
Il
vangelo è chiarissimo: Gesù “salvatore e guaritore” manda i suoi discepoli
esclusivamente per questo. Egli stesso fa questo.
E
allora una domanda nasce spontanea: la chiesa oggi è guaritrice come Cristo? La
chiesa è balsamo per i cuori feriti degli uomini? Sa liberare gli uomini dalle
loro paure limacciose? Sa guarirli dai demoni interiori? La chiesa è nata solo per
questo: se perde di vista l’unico motivo per cui Lui l’ha voluta, non è più
chiesa di Gesù Cristo!
Gesù nelle
sue catechesi dà delle istruzioni che ovviamente non vanno colte alla lettera:
ma è il loro spirito che va colto; è quello che Gesù vuole trasmettere che va
capito: le sue sono istruzioni categoriche, istruzioni che indicano uno stile
diverso, nuovo, provocatorio; uno stile “altro”
rispetto a quello del mondo. Non pane, non bisaccia, non denaro, nulla per il
viaggio; solo i sandali e la tunica che portano addosso: che “tradotto”
significa: “i miei discepoli, i miei vescovi, cardinali, preti, monaci, frati, non
devono essere “autosufficienti” (stipendio, vettura, capi “firmati”, l’ultimo iphon,
residenze faraoniche), ma devono vivere accettando la carità e l’accoglienza
della gente.
Gesù
voleva che al centro di tutto ci fosse l’accoglienza: non solo accogliere i
bisognosi, ma anche essere accolti, essere poveri, dipendere dagli altri, essere
vulnerabili, essere cioè dalla parte opposta di chi vive lo stile del mondo.
Perché solo quando siamo dall’altra parte capiamo, sappiamo, conosciamo,
comprendiamo meglio, le cose e le persone; il medico che è stato ammalato può
capire molto meglio i suoi pazienti; così lo psicologo che ha bisogno d’aiuto,
può capire a fondo chi va a farsi aiutare da lui.
Niente
bastone (6,8): si devono distinguere
come persone di pace, non violente, non aggressive. Il Vangelo non è
imposizione, è solo una proposta di pace: “Se vuoi, tu puoi vivere così. Ti va?”.
Perché
Gesù li manda due a due (6,7)? Per
due motivi: sia perché in due potevano aiutarsi a vicenda, sia perché un
annuncio fatto da due inviati è più credibile (in tribunale veniva accettata
solo la versione confermata da due testimoni).
Inoltre:
non devono fare nient’altro se non annunciare il regno di Dio con le parole
(predicazione) e con i fatti (guarigioni). Se non vengono accolti, nessuna
paura: non ne facciano una questione personale. “Scuotere la polvere di sotto i piedi” (6,11) era quello che facevano gli ebrei quando abbandonavano una
regione considerata impura. Non è un giudizio ma una presa di coscienza della
realtà: “Non avete voluto? È la vostra scelta, ne prendiamo atto. Punto. Sarete
voi ad assumervi le responsabilità e le conseguenze del vostro no”.
Concludendo:
Gesù in pratica pone ai suoi discepoli tre domande: “Sei disposto a lasciare
tutto? Sei disposto a giocarti del tutto? Sei disposto a diventare libero?”.
Ebbene:
le domande di allora sono anche le domande di oggi: “Volete seguirmi?”. Non è
questione di essere migliori, di andare in paradiso, di essere bravi. È
questione di provare, sentire, sperimentare, e poi seguire, un nuovo stile di
vita. È una possibilità, una proposta.
Noi, quella
che viviamo, la chiamiamo “vita”: in realtà è “prigione”, illusione,
contrarietà. Gesù ci fa vedere cos’è invece la “Vita”, quella vera, reale: una
Vita che noi possiamo ottenere a condizione che, in partenza, “accettiamo” di riconoscere
che quella attuale altro non è che una “prigione” lontana da Lui. Amen.