mercoledì 15 ottobre 2025

19 OTTOBRE 2025 – XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Lc 18,1-8 
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

La parabola del vangelo di oggi ci presenta due personaggi: un giudice e una vedova. Per la Bibbia, il compito dei giudici era quello di difendere i più deboli: in particolare le vedove, i bambini e i poveri. Ma non è sempre così: in realtà, la stessa Bibbia condanna più volte le ingiustizie commesse nei loro confronti, con la complicità e l’appoggio degli stessi giudici (1Re 21,8-14; Am 5,10-33; Mic 3,1-2). Come si vede, gli odierni problemi di malcostume, da che mondo è mondo, sono sempre esistiti! 
Questo giudice dunque è un disonesto e non teme nessuno: se ne infischia altamente di quello che la gente può pensare o dire in giro. Non ha una coscienza morale che gli crei sensi di colpa o che lo faccia ricredere sui suoi comportamenti. Fare il male, per lui, non è un problema.
C’è poi una vedova, una donna che appartiene alla categoria più debole della società, che chiede al giudice giustizia, rimanendo ingiustamente inascoltata. Ma questa volta è una “tosta”, una che noi oggi definiremmo, più argutamente, una “rompiscatole”: infatti ogni santo giorno, puntualmente, senza mai demordere, continua ad andare imperterrita dal giudice per sollecitare il suo intervento: il verbo greco all’imperfetto, ci sottolinea proprio la ripetitività costante di questa sua azione. 
Il fatto che si rivolga ad un solo giudice, e non ad una corte giudiziaria, ci fa capire che il suo problema è di carattere amministrativo: vuol dire cioè che la poveretta da troppo tempo stava aspettando di incassare del denaro che le era dovuto; e non disponendo di soldi per potersi “comprare” un magistrato, non riusciva ad ottenere giustizia.
Un fatto che inevitabilmente fa pensare al classico caso di pessima gestione della giustizia, in cui un giudice opportunista, disonesto, che pretende somme illecite per compiere il suo dovere, si trova a dover risolvere il caso di una povera donna che, essendo in miseria, non avrebbe mai potuto assicurargli l’incasso di una tangente extra: per cui rimanda continuamente il caso, lo accantona, lo posticipa, infine lo archivia, in attesa di tempi migliori. A questo punto la donna non può fare nulla, il suo è un caso chiuso in partenza, impossibile. A prima vista non le rimane altro da fare che arrendersi. Ma lei non demorde! e alla fine la sua costanza le offrirà il riconoscimento dei suoi diritti. 
Al contrario, ci sono troppi cristiani, che di fronte a situazioni, anche apparentemente critiche, si scoraggiano, cambiano strada: “Impossibile, non ce la farò mai!”. Quando invece proprio noi, chiamati a compiere il nostro percorso evangelico, non possiamo mai essere rinunciatari a priori, anche se a volte il cammino è veramente tortuoso e difficile; nostro dovere è di provarci sempre e comunque; non dobbiamo correre il pericolo di scambiare per “impossibile, inattuabile”,  un’impresa che magari è solo “disagevole”. C’è purtroppo chi si rassegna, si adagia; chi preferisce fare la vittima. Ma smettiamo di fingere a noi stessi! Proviamoci invece, insistiamo con tutte le nostre forze, usiamo tutte le strategie possibili, combattiamo senza sosta: il verbo greco “hypopiazèin” (letteralmente “colpire sotto l’occhio, fare un occhio nero) in senso figurato significa proprio “seccare, importunare, colpire qualcuno ripetutamente”; la vedova era cioè diventata per il giudice un incubo costante, un autentico fastidioso "colpo in faccia", una continua e puntuale scocciatura. Insomma un’autentica piaga insopportabile! 
Non è che noi dobbiamo comportarci proprio così (di rompiscatole ce ne sono già troppi in giro!); ma se ci teniamo ad una cosa, se per noi è importante, fondamentale, vitale, dobbiamo percorrere tutte le strade a nostra disposizione.
Il messaggio della parabola è chiaro: di fronte alle difficoltà, agli insuccessi, alle "porte chiuse" dobbiamo avere fede: se dobbiamo insistere, non facciamolo per il piacere di fare le teste matte, i testardi, i cocciuti; ma perché siamo fermamente convinti che Dio si aspetta questo da noi, perché crediamo fermamente in quello che facciamo, perché siamo spinti da una fede solida, incrollabile che ci appoggia, confermandoci che Dio è schierato con noi e che la situazione, con Lui, si risolverà sicuramente a nostro favore: e questo non significa pretendere che Dio faccia sempre ciò che vogliamo noi: sarebbe un delirio di onnipotenza! Dobbiamo semplicemente affidarci a Lui e percorrere senza tentennamenti quella strada, ancorché 
nuova e sconosciuta, che Lui, e la nostra fede in Lui, suggeriscono al nostro cuore, alla nostra anima.
Il vangelo di oggi, ci stimola in particolare a combattere con fede costante, contro quella funesta indifferenza generale, che insidia anche la Sua Chiesa: il suo suggerimento è ripetitivo: “Tira fuori la tua voce; lotta per la tua fede; se nel farlo, infastidisci, molesti qualcuno, pazienza: non è possibile essere sempre remissivi, rinunciatari soprattutto in ciò che riguarda Dio e la nostra fede.
È infatti nostra responsabilità che il desiderio espresso da Gesù: “Ma quando tornerò, troverò ancora fede su questa terra?”, abbia sicuramente una risposta positiva.
Certo, durante il suo ministero terreno, Gesù di interrogativi ne ha posti tanti; ma quello di oggi trasmette angoscia, inquietudine, in quanto prospetta una possibilità tremenda per il domani, per quel futuro che tutti considerano molto lontano, remoto, ma che invece è già diventato l’oggi.
Attenzione: Egli non si chiede: “Ci saranno ancora associazioni e movimenti cattolici? la gente andrà ancora a Messa, frequenterà ancora la Chiesa? Provvederà ancora al sostentamento dei fratelli più poveri?” No, Gesù è angosciato perché vede che la sua Chiesa, quella che Lui ha fondato con tanto amore, oggi ha perduto la fede: vede che la preghiera in genere è senza fede, vede che i Sacramenti e le Liturgie sono vissuti senza fede, vede che l’annuncio del Vangelo non fortifica più la vita di fede.
Di fronte al disinteresse religioso della società contemporanea, di fronte ad un mondo sempre più ingiusto, sempre più crudele, sempre più materialista, sempre più nemico di Dio, noi, suoi fedeli testimoni, ci siamo demoralizzati, la nostra fede vacilla, è venuta meno, siamo caduti anche noi nel disinteresse comune, nella generale apatia spirituale. Credere con assoluta coerenza oggi è diventata una rarità, è sempre più difficile: il cristiano è debole, frastornato, insicuro, non coglie più indicazioni certe neppure dai pastori, da quegli “Episcopoi”, ai quali Gesù ha affidato la guida e la custodia del suo gregge. Oggi il dubbio, il pessimismo, la diffidenza, tormentano il cuore dei fedeli; una realtà brutale domina il mondo: ci sono “tragedie” come le guerre, le lotte per il potere, l’arricchimento personale truffaldino, l’egoismo imperante, il dilagare di ideologie amorali, che sono diventate “normalità”: Cristo stesso viene pubblicamente e impunemente irriso in spettacoli demenziali, in opere di pseudo “artisti” e scrittori, peraltro osannati da una critica acefala. Tutto è messo in discussione, tutto è messo alla berlina, tutto è negato, tutto è oltraggiato.
Dio ha consegnato agli uomini un mondo che poteva essere un capolavoro di misericordia, di fraternità, di amore; essi però, con la loro presunzione, lo hanno ridotto a un covo di ladri, di malfattori, un accumulo di indifferenza, di ingiustizia, di malvagità.
Ebbene, quello che ci ripete il vangelo di oggi è che non possiamo più ignorare una situazione tanto drammatica, non possiamo più avallare, in nome di un falso “buonismo”, una situazione che sta vanificando definitivamente l’autentico messaggio d’amore di Cristo.
La volontà ferma e decisa dei buoni, la loro azione personale, umile ma perseverante, la loro incessante preghiera, intrisa di fede vera, autentica, costante e fiduciosa, può fare il miracolo: “Io vi dico che [Dio] farà per loro giustizia” ci conferma Gesù.
Allora fidiamoci delle sue Parole, crediamo in Lui! Anche se facciamo fatica a capire, stiamoci! Ripartiamo, lavoriamo con entusiasmo in questo mondo greve e insensibile, sicuri che Dio, giusto giudice ma dal cuore pieno d’amore per i suoi figli, inizierà a contagiare anche noi, a guarirci: e soprattutto provvederà a rinfrancare il nostro povero cuore un po’ sfiduciato!
Amen.

 

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