Gv 6-37-40
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
La XXXI Domenica del Tempo Ordinario
coincide quest’anno con l’annuale Commemorazione dei fedeli defunti, che cade
sempre il 2 novembre.
Oggi, domenica, è il giorno del
Signore, è la Pasqua settimanale. In questo giorno ricordiamo la risurrezione
di Cristo, preludio e caparra della nostra definitiva risurrezione, di quando
cioè la risurrezione della carne sarà non più una verità creduta, ma una realtà
vissuta da coloro che fanno già parte dell’eternità con la loro anima.
La fede nella risurrezione dei corpi,
da sempre, nel cristianesimo ha sollecitato ed indirizzato un autentico culto
dei morti, che poi lungo i secoli si è manifestato e organizzato in tanti modi.
I nostri cimiteri, una volta chiamati
“camposanti”, ovvero i campi delle anime sante ed elette da Dio, sono i luoghi
ove conserviamo i resti mortali dei nostri cari in attesa della definitiva
risurrezione; ma sono anche il punto di riferimento, il richiamo costante alla
realtà di quella che è la nostra vita. Una realtà che nella morte ha il suo
“penultimo” appuntamento, perché è il passaggio obbligatorio, da cui nessuno è
esente, verso l’eternità.
Per coloro che sono considerati già
santi in vita e muoiono in concetto di santità, la morte è, infatti, un
“transito”, un semplice passaggio; quindi non estinzione, né distruzione, ma
vita e speranza in un futuro migliore.
La liturgia ci ricorda che Gesù è morto
ed è risorto; così anche quelli che sono morti in Gesù, Dio li radunerà insieme
con lui. E come tutti muoiono in Adamo, così tutti in Cristo riavranno la vita (1Ts
4,14; 1Cor 15,22).
Il ricordo annuale dei nostri cari
defunti ci porta a pensare meglio in prospettiva di eternità e di risurrezione:
non solo di quella che verrà alla fine dei tempi, ma anche a quella
risurrezione spirituale continua, alla quale siamo chiamati ogni giorno dalla
parola di Dio che ci invita a vivere secondo gli insegnamenti di Cristo e della
Chiesa.
San Paolo, nel brano della sua lettera
ai Romani, ci ricorda che nel mistero del Cristo morto e risorto noi siamo
stati salvati. La nostra speranza di una salvezza che dura per sempre è fondata
su Cristo morto, ma soprattutto risorto, su colui che ha vinto la morte e che
ci pone nella condizione di vincere anche noi una morte più grande della stessa
morte corporale, quella dell’anima. Dalla fede nella morte e risurrezione di
Cristo bisogna partire per il nostro viaggio verso i cimiteri e i camposanti in
questi giorni speciali di culto verso i morti; bisogna partire con la speranza
nel cuore in modo che quando sarà il tempo di partire per l’ultimo viaggio ci
sia dentro di noi questa speranza e certezza.
In parole povere, il pensiero della
morte ci colloca davanti a Dio e ci fa guardare nel profondo dell’anima, ci fa
pensare, ci fa uscire da noi stessi, per aspirare a lui; e con lui scopriamo
che di fronte alla realtà del nostro trapasso non possiamo fuggire, non
possiamo deprimerci né disperarci, ma nemmeno possiamo rassegnarci ad un vuoto
destino: al contrario dobbiamo riscoprire il dono della fede.
È su questa virtù infatti che si
appoggia la speranza, e in essa trova fondamento; la fede dal canto suo ci
chiama all’apertura di noi stessi e alla fine delle nostre preclusioni perché
ci induce a credere e ad esternare una fiducia incondizionata nel Mistero della
vita che attribuisce sempre un senso alla morte.
Credere significa affidarsi a Dio.
Questo è l’atteggiamento più risoluto e consono che garantisce consolazione e
fortezza di fronte alla tristezza che comporta il trapasso; esso deriva dal
dono della Rivelazione nel quale Dio interviene a nostro favore per illuminarci
che in Lui la sola dimensione possibile è la vita e che Egli stesso è artefice
e garante di vita eterna. Credere in Dio e affidarci costantemente alla sua
Parola senza opporre resistenza ci indice a scoprire che la morte non esiste ma
che tutti siamo destinati alla gloria e alla vita eterna, soprattutto nella
centralità dell’evento Gesù Cristo che ha vinto la morte avendone ragione
nell’uscire dai meandri del sepolcro.
In Cristo risuscitato abbiamo la
certezza che anche noi siamo destinati alla risurrezione perché la morte non ha
più rilevanza né ragion d’essere nel nostro vivere quotidiano; affidarsi alla
sua Parola e rinnovare la nostra adesione a Lui tutti i giorni ci porta a
riscoprire la verità di Dio che sulla croce ha consegnato se stesso per il
riscatto dell’umanità pagando con sangue umano i peccati e le miserie
dell’uomo, che è morto alla pari di tutti noi per affrontare egli medesimo la
realtà del trapasso che noi tutti tendiamo a schivare ma che dopo tre giorni è
risuscitato nel suo corpo glorioso per donare a tutti la vita. Come afferma
Paolo, Cristo risuscitato non muore più, la morte non ha più potere su di lui e
coloro che a lui si affidano sono destinati alla stessa eredità di vita senza
fine, di vita eterna.
Oggi dunque ci mettiamo davanti al
mistero della morte. Mistero inevitabile, un po' fastidioso per chi – giovane e
pieno di forza – guarda con sufficienza a questa realtà: la pensa e la percepisce
distante, logora, per cui si arriva presto alla logica del "meglio non
pensarci".
Oggi infatti in questo nostro alienato
e schizofrenico tempo, si parla poco e male della morte: ma chi ha conosciuto
la morte da vicino, chi ha avuto la perdita dolorosa di una persona amata, chi
ha sofferto la morte improvvisa e straziante di un figlio, prende invece molto
sul serio l’esperienza diretta della morte, perché, in realtà, essa dona un
nuovo senso alla sua vita.
Noi dobbiamo avere un atteggiamento adulto,
un atteggiamento di fede e di speranza verso la morte, mai depresso né
scaramantico.
Tutti dobbiamo morire: è la legge della
natura, ogni cosa ha un inizio e una fine; quindi è da sciocchi prendersela con
Dio; eppure l’uomo è l’unico essere vivente che la percepisce come
un'ingiustizia. Ma ingiusto rispetto a cosa? Anzi il Vangelo ha una buona
notizia sulla morte, su questo misterioso incontro, questo appuntamento inevitabile
per ognuno di noi: la morte, nostra sorella morte, in realtà è la “porta”
attraverso cui potremo raggiungere la meravigliosa dimensione da cui proveniamo:
ricordate le prime pagine della Genesi? Dio creò l’uomo “a sua immagine e
somiglianza” (Gn 1,28), questa è e rimarrà per sempre la nostra realtà: e
la morte ci condurrà a toccare con mano questo nostro privilegio di immortalità,
in tutto somiglianti a Dio: perché egli ci ha resi tali col soffio divino del
nostro concepimento. Tutta la nostra vita deve consistere pertanto nello
scoprire le regole profonde di questo nostro tesoro nascosto; noi in pratica
siamo come un feto che nasce, cresce, si sviluppa, per poi essere nuovamente “partorito”
attraverso la morte, nella sua dimensione di pienezza eterna in Dio.
Dobbiamo
essere convinti che siamo immensamente di più rispetto a ciò che esternamente sembriamo,
molto di più di quanto noi stessi pensiamo di essere. Siamo di origine “divina”,
e non lo sappiamo, non ce ne curiamo: eppure la nostra vita, per quanto sia realizzata,
per quanto ci soddisfi, non potrà mai colmare il nostro bisogno assoluto di infinità,
di pienezza che portiamo innato nel nostro cuore.
Non dimentichiamo mai che la nostra eternità è già iniziata,
qui su questa terra: comportiamoci di conseguenza, non aspettiamo la morte, non
sottovalutiamola, ma pensiamo ad essa con serenità, ristrutturiamo la nostra
vita, scendiamo in profondità: cogliamo l'essenziale, diamo alla nostra
esistenza il vero e il meglio di noi stessi, per poterla un giorno “trasferire”
da questa terrena fase preparatoria, alla sua totale compiutezza gloriosa e definitiva.
Allora capiremo il senso delle parole proposteci dalla
Liturgia. «Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e
mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione
eterna nel cielo" (Dal Canone dei defunti).
Il nostro domani è di rimanere sempre con il Signore: ci
vedremo simili a Lui, perché lo vedremo realmente “così come Egli è”.
In questa commemorazione dei
defunti, chiediamo alla bontà infinita del nostro Dio e Padre, perché, qualora il
loro definitivo ingresso nella gloria del suo Amore non sia ancora avvenuto, accogliendo
le preghiere della Chiesa e le nostre suppliche, Egli agevoli quanto prima il
loro ricongiungimento con i santi nel suo Regno.
Noi sappiamo che Dio accoglie
volentieri le nostre preghiere e i nostri suffragi a vantaggio dei defunti. Per
cui qualsiasi orazione gli rivolgiamo con fede, otterrà sicuramente indulgenza per
il loro stato di purificazione; qualsiasi Eucarestia applicata a un defunto, poi,
è sacrificio di espiazione nel quale lo stesso Cristo interviene a favore delle
anime dei nostri defunti; ogni opera di bene contribuisce ad espiare i loro
residuati di colpa. Ogni atto di fede e di carità a loro vantaggio allevia
notevolmente i patimenti e avvia assai più speditamente i nostri cari verso il
paradiso, rendendo nel frattempo più salda la nostra comunione con loro.
È infatti nella purificazione che
c’è il trionfo dell’Amore.
Questo ci deve far capire quanto
sia importante, per noi che siamo ancora in cammino, “essere vigilanti
nell'attesa”: dobbiamo infatti camminare sempre in avanti, forti nella nostra
fede, pronti nell’adesione al Signore, nel far fruttare i tanti doni che Dio ci
ha donato, nell'esprimere il nostro amore concreto alle persone che si trovano
nel bisogno, sapendo che Cristo Gesù ritiene fatto a sé, quanto noi facciamo ai
nostri fratelli bisognosi. Amen.

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