giovedì 9 luglio 2015

12 Luglio 2015 – XV Domenica del Tempo Ordinario

Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri (Mc 6, 7-13).

Oggi il vangelo ci offre l’opportunità di fare alcune considerazioni sui discepoli che seguivano Gesù e sul nostro “discepolato” di oggi.
C’è da dire prima di tutto che di tutti quelli che seguivano Gesù, non tutti si sono rivelati un esempio costante di fedeltà: alcuni lo tradiranno, alcuni lo abbandoneranno, alcuni lo rifiuteranno; altri avranno momenti di crisi profonda e di sbandamento: ma quello che conta è che furono proprio quei discepoli che, presi dalla passione per questo uomo che aveva rivoluzionato la loro vita, si lasceranno catturare, imprigionare, martirizzare.
Quindi non dobbiamo farci condizionare dall’idea che fossero la “perfezione” in assoluto: no, al contrario; faticarono a credere, sbagliarono, dubitarono, né più né meno come succede a noi.
Ma allora perché questa gente seguiva Gesù? Ripeto: come noi. Alcuni spinti dalla curiosità, altri dal dolore e dal rimorso di aver sperperato una vita, altri ancora assetati dell’amore di un Uomo giusto e misericordioso.
Per la cronaca: alcuni lo seguivano, ma senza abbandonare le loro case, il loro lavoro: gli offrivano aiuto e ospitalità quand’era in zona. Altri erano sempre con lui, lo accompagnavano ovunque, nella sua vita itinerante.
Erano persone, uomini e donne, che appartenevano agli strati sociali più poveri; gente semplice, ignorante, contadini, pescatori; gente senza rilievo sociale, donne e mendicanti. In genere, quasi tutti, lontani dalle regole dell’Alleanza; erano cioè gente impura, gente che non rispettava le regole religiose del tempo, erano eretici, erano insomma i “lontani”.
Gesù li vede come “pecore senza pastore” e dice: “Voi che nessuno vi vuole, venite da me!”. Gesù non accoglieva i puri e i santi: accoglieva quelli che nessuno voleva, quelli già giudicati, quelli non in regola, quelli impuri, quelli esclusi, gli ultimi della società.
Un particolare, questo, che dovrebbe farci meditare seriamente: noi che ci sentiamo più vicini, che ci riteniamo la parte più attiva, quelli che “noi siamo la Chiesa!”, non dobbiamo assolutamente pensare di essere l’elite, la casta della brava gente, di quelli puri e santi, di quelli totalmente “ripieni” di Spirito Santo; la Chiesa è solo la famiglia di quelli che soffrono, di quelli che nessuno vuole, degli umili, di quelli che in essa trovano rifugio, sostegno nel cammino, conforto, accoglienza e amore.
Ebbene: è esattamente tra questa moltitudine al suo seguito, che Gesù ad un certo momento sceglie i Dodici: sono quasi tutti galilei, persone semplici, a volte perfino poco colte; non vi sono comunque scribi e non vi sono sacerdoti tra loro. Alcuni come Giacomo e Giovanni appartengono ad un livello sociale più alto (avevano barca e garzoni) altri, invece, come Pietro e Andrea sono pescatori poveri, avevano cioè solo una rete con cui pescavano vicini alla costa quel poco per sfamarsi. Alcuni erano sposati (Pietro), altri no; alcuni avevano abbandonato la famiglia, altri lo seguivano con la madre o qualcuno dei loro famigliari.
Cosa ci fa capire tutto questo? Che Gesù non ha categorie sociali preferite o speciali: né ricchi né poveri, né acculturati né ignoranti, né di destra né di sinistra. Gesù sceglie: e possono seguirlo, solo persone disponibili, aperte nel cuore, persone che si lasciano mettere in gioco, che sono pronte a lasciarsi sconvolgere completamente la vita.
È per questo che coloro che vivono in contesti fortemente strutturati, nelle case del potere, fanno e faranno sempre fatica a seguire “fedelmente” Gesù. Anche solo iniziare a seguirlo. Ecco perché non vi sono personaggi del potere religioso o politico che lo seguono. Perché una volta entrati nel “sistema”, è il sistema che ti dirige, che decide per te, che dice cosa devi scegliere e cosa no, cosa imporre ai tuoi cittadini elettori e cosa no: inutile che tu ti professi cattolico per accaparrarti consensi: poi sarai sempre un burattino in mano ai burattinai del potere occulto!
Gesù è radicale. Non si può seguirlo solo un po’: o lo segui tutto o niente. Gesù è un’esperienza totale, che rovescia tutti i piani della nostra esistenza. Per questo i “ricchi” di idee, di tradizioni secolari o familiari, di ambizioni, di soldi, di consuetudini, non possono seguirlo. Perché lui viene e spazza via tutto ciò che non c’entra con lui.
Ma perché Dodici? A cosa si riferiva il numero dodici? Dodici erano le tribù di Israele prima delle deportazioni (721 a.C. quella degli Assiri, 587 a.C. quella dei Babilonesi); forse che Gesù vuole costruire un nuovo Israele, un nuovo popolo, un nuovo regno? Certamente.
Tutti gli ebrei aspettavano infatti la restaurazione del regno politico di Davide e di Salomone: ma sotto questo profilo, con Gesù, la delusione fu veramente grande. Il “regno” di Gesù non è politico, non è materiale. Gesù pensa solo ad un regno del cuore e dell’anima, dove le persone guariscono e si liberano dai loro nemici interiori.
Questo è l’autentico regno di Dio: e sarà sempre così; un regno che non è fuori di noi, ma dentro di noi. La “grande liberazione” deve avvenire in noi. Siamo noi che dobbiamo liberarci dai nostri demoni, dai nostri tiranni, dai nostri nemici interni, per poterlo seguire. Chi non vuole guardarsi dentro, chi non vuole conoscersi nel profondo, chi non vuole incontrare gli abitanti scomodi del proprio cuore, non potrà mai seguire il Gesù del Vangelo.
Ma, in concreto, cosa chiedeva Gesù a chi lo seguiva?
Due cose: la prima, di lasciare la “propria casa”, cioè ogni possibile legame precedente, ogni attaccamento. Per questo nessuno dei suoi familiari lo seguì. I suoi paesani lo rifiutarono. I suoi parenti tentarono di prenderlo, per impedirgli di parlare e di agire, facendolo passare per “pazzo”; per questo se ne dovette fuggire dal suo paese e trasferirsi sulle rive del lago di Galilea, a Cafarnao.
La casa (e a quel tempo molto più di oggi) era soprattutto il rifugio affettivo: rompere con quelli di casa era una gravissima offesa per la famiglia, un disonore per tutti. Ma Gesù chiede proprio questo: di lasciare la casa fisica e la casa mentale (i modelli, le idee, le credenze della famiglia, le loro tradizioni). Gesù stesso dice di sé: “Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo i nidi, ma quest’uomo non ha dove posare capo” (Lc 9,58). La terra, la barca, era il mezzo di sussistenza per vivere, la cosa più ambita e ricercata: Gesù chiede di lasciarla.
E Gesù sa bene cosa accadrà: “Non pensiate che io sia venuto a portare pace sulla terra, bensì la spada. Sì, sono venuto a mettere il padre contro il figlio e il figlio contro il padre, la madre contro la figlia e la figlia contro la madre, la suocera contro la nuora e la nuora contro la suocera” (Lc 12,51-53). Cioè: per Gesù la famiglia non è la cosa più importante, anzi può essere ingombrante. Vi è qualcosa di più importante: il regno di Dio, “chi non odia suo padre e sua madre, suo figlio e sua figlia, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26).
Se l’approvazione dei genitori, del capo, dei nostri compagni di cammino, delle persone che amiamo è più importante della nostra libertà interiore, della verità che cerchiamo, del seguire la nostra vocazione, allora non possiamo seguire Gesù.
Gesù lo dice chiaramente: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto al regno di Dio” (Lc 9,62). Se vogliamo seguire il nostro cammino non possiamo seguire anche quello di altri. Prepariamoci quindi a deluderli, ad essere rifiutati, perché ai loro occhi non seguiamo le loro aspettative.
Per Gesù, il primo valore è “la coscienza”, il Dio dentro di noi, il seguire la nostra strada: e questo viene prima di tutto, della famiglia, delle regole religiose, di ogni autorità.
Gesù è un sovversivo per ogni tipo di “istituzione” perché vuole che i suoi discepoli siano liberi, che non debbano rendere conto a nessuno se non a Dio, che non si inchinino a nessuno se non a Dio. Siamo liberi, viviamo da uomini liberi. Inchiniamoci solo a Dio, a nessun altro.
La nuova casa non è più il legame di sangue, di parentela, ma di cuore e di anima: “Questi sono mio padre, mia madre, mia sorella e mio fratello: chi compie la volontà di Dio” (3,35), non già quelli che dicevano di cercarlo, quelli che erano venuti soltanto per trovarlo.
Il secondo valore è “la decisione”: quando Gesù chiama, chiama. Non dà spiegazioni sul perché chiama e non informa su cosa accadrà o sul dove andrà. Dice soltanto una parola: “Seguimi!”. Cioè: c’è qualcosa di Lui che ti attrae, che “ti prende”, che ti attira, che ti fa innamorare? Seguila, senza far domande, senza chiedere assicurazioni, previsioni o garanzie sul futuro.
I discepoli di Gesù non lo seguivano per motivazioni logiche o teologiche: ma semplicemente per passione. I discepoli erano degli innamorati perché solo gli innamorati o i pazzi potevano operare scelte simili a quella loro.
Ma con Gesù avevano imparato un altro modo di vivere: Lui era tenero con i piccoli e i derelitti; Lui si emozionava di fronte alle sventure e alle sofferenze degli ammalati; Lui non aveva paura di toccare i lebbrosi e le donne, Lui non aveva paura di abbracciarli; Lui era tenace e irremovibile quando c’era da difendere la dignità delle persone; Lui accettava tutti alla sua tavola (simbolo dell’ospitalità del suo cuore) e non aveva pregiudizi di nessun tipo; Lui era appassionato della verità, se ne infischiava delle regole stupide o disumane e se c’era da trasgredirle lo faceva senza tanti sensi di colpa; Lui piangeva, gioiva, si stupiva di fronte agli uccelli del cielo e ai gigli del campo; Lui credeva nella forza delle persone e se queste gli credevano, guarivano; Lui amava per davvero e non a parole; Lui si schierava e non temeva di prendere posizione quando c’era da farlo; Lui sì che viveva. Ebbene: tutto questo è rinchiuso in un’unica parola: “eu-anghelion”, “la buona notizia”, il Vangelo.
Gesù voleva che i discepoli vivessero così, da innamorati, da infuocati, bruciando d’amore e di vita. E, in effetti, noi seguiamo Gesù perché ci fa vivere davvero, perché ci fa più liberi, perché ci fa affrontare e vincere le nostre paure, ci fa emozionare, ci fa sentire veramente noi stessi, dà senso alla nostra vita.
Se invece, convinti di seguire Gesù, ci accorgiamo di essere più acidi, più cupi, più rigidi, più aggressivi, più scontenti, più chiusi, più intolleranti, più paurosi, fermiamoci un istante, e chiediamoci chi stiamo realmente seguendo: perché di certo, con quei risultati, non stiamo seguendo il Gesù del Vangelo!
Poi Gesù li invia. Prima hanno visto, hanno imparato, ora devono andare (6,7).
Gesù pensa ai suoi discepoli come a dei “pescatori di uomini” (1,17): gli uomini, pieni di paura, in balia dell’odio, della rabbia, della violenza, dell’ignoranza, degli attacchi del nemico, sono come dei pesci che, annaspando in poca acqua limacciosa, devono essere pescati, immessi nelle fresche acque della Salvezza e, al sicuro dai pericoli e dalle deformazioni del male, possano ritrovare il loro vero Volto.
Il vangelo è chiarissimo: Gesù “salvatore e guaritore” manda i suoi discepoli esclusivamente per questo. Egli stesso fa questo.
E allora una domanda nasce spontanea: la chiesa oggi è guaritrice come Cristo? La chiesa è balsamo per i cuori feriti degli uomini? Sa liberare gli uomini dalle loro paure limacciose? Sa guarirli dai demoni interiori? La chiesa è nata solo per questo: se perde di vista l’unico motivo per cui Lui l’ha voluta, non è più chiesa di Gesù Cristo!
Gesù nelle sue catechesi dà delle istruzioni che ovviamente non vanno colte alla lettera: ma è il loro spirito che va colto; è quello che Gesù vuole trasmettere che va capito: le sue sono istruzioni categoriche, istruzioni che indicano uno stile diverso, nuovo, provocatorio; uno stile “altro” rispetto a quello del mondo. Non pane, non bisaccia, non denaro, nulla per il viaggio; solo i sandali e la tunica che portano addosso: che “tradotto” significa: “i miei discepoli, i miei vescovi, cardinali, preti, monaci, frati, non devono essere “autosufficienti” (stipendio, vettura, capi “firmati”, l’ultimo iphon, residenze faraoniche), ma devono vivere accettando la carità e l’accoglienza della gente.
Gesù voleva che al centro di tutto ci fosse l’accoglienza: non solo accogliere i bisognosi, ma anche essere accolti, essere poveri, dipendere dagli altri, essere vulnerabili, essere cioè dalla parte opposta di chi vive lo stile del mondo. Perché solo quando siamo dall’altra parte capiamo, sappiamo, conosciamo, comprendiamo meglio, le cose e le persone; il medico che è stato ammalato può capire molto meglio i suoi pazienti; così lo psicologo che ha bisogno d’aiuto, può capire a fondo chi va a farsi aiutare da lui.
Niente bastone (6,8): si devono distinguere come persone di pace, non violente, non aggressive. Il Vangelo non è imposizione, è solo una proposta di pace: “Se vuoi, tu puoi vivere così. Ti va?”.
Perché Gesù li manda due a due (6,7)? Per due motivi: sia perché in due potevano aiutarsi a vicenda, sia perché un annuncio fatto da due inviati è più credibile (in tribunale veniva accettata solo la versione confermata da due testimoni).
Inoltre: non devono fare nient’altro se non annunciare il regno di Dio con le parole (predicazione) e con i fatti (guarigioni). Se non vengono accolti, nessuna paura: non ne facciano una questione personale. “Scuotere la polvere di sotto i piedi” (6,11) era quello che facevano gli ebrei quando abbandonavano una regione considerata impura. Non è un giudizio ma una presa di coscienza della realtà: “Non avete voluto? È la vostra scelta, ne prendiamo atto. Punto. Sarete voi ad assumervi le responsabilità e le conseguenze del vostro no”.
Concludendo: Gesù in pratica pone ai suoi discepoli tre domande: “Sei disposto a lasciare tutto? Sei disposto a giocarti del tutto? Sei disposto a diventare libero?”.
Ebbene: le domande di allora sono anche le domande di oggi: “Volete seguirmi?”. Non è questione di essere migliori, di andare in paradiso, di essere bravi. È questione di provare, sentire, sperimentare, e poi seguire, un nuovo stile di vita. È una possibilità, una proposta.
Noi, quella che viviamo, la chiamiamo “vita”: in realtà è “prigione”, illusione, contrarietà. Gesù ci fa vedere cos’è invece la “Vita”, quella vera, reale: una Vita che noi possiamo ottenere a condizione che, in partenza, “accettiamo” di riconoscere che quella attuale altro non è che una “prigione” lontana da Lui. Amen.
 
 

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