Con il vangelo che fa riferimento alle tentazioni di Gesù, la liturgia ci introduce ogni anno nel tempo della Quaresima. Nei due versetti che immediatamente precedono il brano di oggi, parlando del Battesimo di Gesù, Marco dice che “i cieli si spalancano, e su di Lui scende lo Spirito di Dio”. È ovviamente lo Spirito dell’Amore, che proclama: “Questi è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto”. In questo istante Gesù percepisce Dio come Padre, come Madre, come accoglienza, come amore incondizionato, come presenza, come abbraccio, come predilezione.
Subito dopo però, nel versetto che segue, quello stesso Spirito d’Amore sospinge Gesù nel deserto. Lo stesso Dio che nella teofania battesimale lo dichiarava “figlio prediletto”, ora lo manda, lo spinge addirittura, nel deserto, luogo di stenti e di penitenza, luogo di azione dei demoni e del male. “Come è possibile?” ci chiediamo: qui lo Spirito si dimostra chiaramente contrastante, incoerente! Ma se pensiamo così, siamo noi che non abbiamo capito Dio, siamo noi che ci siamo fatti di Dio un’idea completamente falsa. Noi, infatti, ci siamo abituati a ragionare di testa nostra: se una cosa è bella, buona, gradevole, e soprattutto se non ci fa soffrire, vuol dire che viene da Dio, è un regalo da parte sua. Se una cosa, al contrario, è dura, ostica, dolorosa, difficile, allora non è di Dio, è un castigo che viene dal diavolo, dal male. Il vangelo di oggi ci insegna invece che tutto ciò che capita, bene o male che sia, viene da Dio, è lui, e lui solo, che lo permette. Quindi, non perdiamo tempo nel voler stabilire la provenienza buona o cattiva di un certo evento, di una certa situazione: l’origine è unica; preoccupiamoci invece di capire, di volta in volta, il vero motivo di quell’evento, di quella “prova” che Dio ci manda: qual è la strada, quale il passaggio da percorrere, quale la strettoia da superare.
Ricordate le prime pagine della Genesi? All'inizio della storia umana il serpente tenta Adamo ed Eva: esso viene automaticamente simboleggiato come il “male” che cerca di far cadere nel peccato i nostri primogenitori.
Ma il serpente non è il male; non è lui il peccato: egli è invece un passaggio necessario, una strada che dobbiamo obbligatoriamente percorrere per maturare, per evolvere, per liberare tutta l'energia e le potenzialità che abbiamo dentro di noi. In altre parole il serpente, Satana, l’avversario, svolge una funzione necessaria, una funzione positiva, utile nella nostra vita, in quanto ci educa, ci matura, ci rende possibile l’esercizio della nostra libertà, della nostra discrezionalità.
Ci sono persone che vedono il diavolo dappertutto, e scaricano fatalmente su di lui le conseguenze della loro accidia: del resto è più semplice scaricare tutto su di lui piuttosto che affrontare a viso aperto i problemi: ed è ovvio, perché se è il demonio che ci punisce, cosa possiamo farci noi? Niente!
Se però consideriamo le contrarietà che ci capitano, se consideriamo le prove della vita, come prove, come un ostacolo-barriera da superare, allora capiamo che siamo chiamati a compiere un passaggio, un percorso; e non è il diavolo che ci chiama a compiere questo passaggio. ma è Dio stesso. Dio, cioè, non vuole il nostro male; non vuole che ci abbandoniamo fatalmente al male, senza combattere, senza capire che Lui vuole da noi una reazione, che affrontiamo coraggiosamente i nostri demoni, e non che fuggiamo impauriti da loro. Lo Spirito infatti costringe nel deserto (nelle prove) Gesù (e anche noi), proprio perché si confronti faccia a faccia con i suoi demoni.
La parola tentazione (Mc 1,13: peirasmos) vuol dire “mettere alla prova, verificare, fare un test”. Un po’ come succede nelle nostre scuole: gli alunni studiano durante l’anno, e poi sono chiamati a sostenere una verifica, per vedere se hanno capito, se hanno studiato. È la stessa cosa. La tentazione non è Dio che vuol “farci sbagliare”. Assolutamente no. Egli ci mostra, ci documenta, ci rivela ciò che siamo in realtà, quali sono le nostre forze, la nostra volontà, la nostra fede, il nostro amore; ci fa capire, insomma, quali sono sul campo le nostre potenzialità.
La tentazione non è il male, ma è l’occasione che ci rivela il male, che ce lo rende visibile, è la manifestazione del nostro “alter ego”, quello che noi non vogliamo vedere né far vedere, quelle sembianze che preferiamo tenere nascoste, che preferiamo tenere lontane da noi; in altre parole la tentazione non fa altro che rendere pubblica l’altra nostra faccia, non quella “perbenista”, ma quella contraria, quella che si coniuga felicemente con quello che noi definiamo “il male”. Ogni uomo ha un lato oscuro di se stesso che non vuol vedere, che nasconde nel segreto, che non vuole soprattutto rivelare a nessuno. La tentazione, nostro malgrado, ci costringe a guardarlo in faccia, questo nostro demone, ci obbliga a prenderlo in seria considerazione, ci obbliga a stanarlo dalla nostra zona d’ombra: perché è attraverso questa lotta interiore, che possiamo far emergere la bellezza, la luce interiore, i doni, le grazie divine che Dio ha nascosto dentro di noi. E allora, nella nostra vita, tutto sarà più bello, tutto sarà più chiaro, tutto sarà più facile ed entusiasmante.
Se infatti osserviamo bene, una volta che Gesù ha superato l'esperienza delle tentazioni, non lo ferma più nessuno. Sì, perché il “dono” delle tentazioni è una forza irresistibile: tant’è che da quel momento Gesù non si preoccupa più di quello che la gente si aspetta da Lui, di quello che pensa di Lui; rinfrancato dalla ritrovata vicinanza col Padre, lascia cadere le attese della gente, e segue imperterrito la sua strada, la sua missione. Per questo dobbiamo entrare anche noi nel deserto: dobbiamo essere tentati, dobbiamo affrontare anche noi i nostri demoni. Ogni discesa nell'ombra, nel mistero di noi stessi, anche se all'inizio ci incute timore, consegue sempre un risultato inaspettato: quello di portare alla luce qualche “dono” nascosto e sconosciuto. I grandi regali non ce li fanno gli altri per il nostro compleanno: ce li facciamo noi, quando abbiamo il coraggio di entrare nel deserto, nel buio, nella nostra zona d’ombra, e individuare quelli che sono i nostri tesori nascosti, le nostre perle, le nostre gemme. La piena soddisfazione del cuore non è data dal possedere tante cose, ma dal saper “tirare fuori” quelle meraviglie che Dio ha piantato dentro di noi; e che moriranno con noi, se non avremo il coraggio di andarle a prendere e valorizzarle. Per questo lo Spirito ci spinge nel deserto: dobbiamo vivere la nostra quaresima, dobbiamo entrare nella tentazione per verificare chi siamo realmente. Non a caso il vangelo parla proprio di deserto. Il deserto è duro, difficile, impegnativo; ci mette crudamente, senza fronzoli, di fronte alla realtà, a ciò che siamo davvero. Il deserto ci ricorda la faticosissima esperienza vissuta dal popolo ebraico, i quarant’anni di peregrinazione per raggiungere la terra promessa. In pratica ci fa capire che per raggiungere qualcosa di veramente importante, qualcosa di grande, di bello, di incredibile, ci vogliono tempo e costanza. Se non diamo tempo, lavoro, impegno, considerazione ad una cosa, vuol dire che quella cosa non ci interessa, non è importante per noi. Tutte le nostre aspirazioni, le nostre “terre promesse”, hanno bisogno di un lungo e faticoso cammino per essere raggiunte. Tutto ciò che è grande, richiede sempre qualcosa di grande. Ed è là, nel deserto totale, nel silenzio assoluto, dove non c'è niente e nessuno, che emergono le grandi domande: “Cosa voglio dalla mia vita? Cosa sono disposto a rischiare? Quali sono le paure che mi frenano? Quali sono le bugie che mi racconto?”. Sono domande che aspettano una nostra risposta: perché possiamo eludere ogni aspettativa che gli altri nutrono su di noi, ma non possiamo eludere la nostra coscienza; possiamo darla da bere a tutti, ma non a noi stessi; possiamo tenere sulla corda il mondo intero per tutta una vita, ma prima o poi arriverà la nostra “quaresima”: e da quel momento il “bluff” non è più ammesso. Amen.