Il vangelo di oggi ci presenta Gesù nel pieno della sua attività: Egli predica e guarisce tutti gli ammalati che incontra. Succede che anche la suocera di Pietro sia ammalata: ha la febbre; è chiaro che Gesù, appena la vede, guarisce anche lei. E potremmo fermarci qui: niente di strano, lo fa con tutti, perché non farlo proprio con la suocera di Simone?
Ma, volendo scendere più in profondità, viene spontaneo chiederci: qual è il motivo, qual è la causa che ha scatenato nella suocera un febbrone così grave e preoccupante, da richiedere addirittura l’intervento di Gesù? Intanto, parlando di suocera, veniamo a sapere che Pietro è sposato, ha una famiglia. Sappiamo anche che poco prima egli è stato chiamato da Gesù, insieme ad Andrea, Giacomo e Giovanni, e che tutti lo hanno seguito lasciando perdere ogni cosa. E allora pensiamo: non sarà forse questo il vero motivo della febbre che coglie improvvisamente la madre della moglie di Pietro? Le due donne non lavorano, si occupano della casa e Pietro è l’unico loro sostentamento: “Ma cosa stai combinando Simone? Ti rendi conto di quello che stai facendo? Noi non siamo ricche, non possiamo permettere che tu te ne vada piantandoci in asso! Come pensi che camperemo? Chi ci permetterà di sopravvivere? E poi, cosa dirà la gente? Ci giudicheranno, ci disprezzeranno; alcuni già dicono: “bell’affare: tuo genero vi ha lasciate per seguire un esaltato che guarisce la gente in nome del demonio e che con il suo comportamento si è messo contro tutta la sinagoga e le autorità religiose. Ma chi è questo Gesù? Certo, tuo genero dimostra di essere un irresponsabile!”. Un buon motivo per far venire la febbre a questa povera donna!
Ora, per indicare questa febbre, Marco usa il termine greco "puresso", che significa appunto “avere febbre, calore, fuoco” ma anche “essere alterato dentro, bruciare dentro, essere fortemente indignato, irritato”: significato che ci fa pensare ad una suocera “alterata, infuocata” più che all’esterno, proprio dentro di sé, nell’intimo; in altre parole era arrabbiata, furiosa contro Pietro, colpevole, secondo lei, di aver stravolto di punto in bianco la loro tranquillità famigliare, e contro questo Gesù, un tipo strano e per nulla affidabile. È chiaro che la scelta di Simon Pietro ha delle gravi ripercussioni economiche e sociali per questa donna e per sua figlia, sulla cui sicurezza economica Simone, sposandola, aveva assunto dei precisi obblighi. Invece tutto viene dimenticato, tutto passa in secondo ordine: una prospettiva questa che la infiamma d’ira, che scatena in lei tutte le paure; una situazione che la sconvolge, che le procura collera, addirittura odio; è un fuoco rabbioso che le brucia l’anima. E più ci pensa, più cresce in lei il rancore, una febbre che cresce a dismisura.
A questo punto cosa fa Gesù? Egli intuisce il vero dramma di questa donna, egli sa in cosa consiste la sua malattia, la sua febbre: “questa donna ce l’ha con me”. Poteva benissimo far finta di nulla; poteva tranquillamente dire: “Se ha qualcosa contro di me, se sta male per causa mia, me lo venga a dire! Sono problemi suoi, non miei!”. Ma Gesù non è come noi: egli capisce che la donna si trova in difficoltà. E fa la prima mossa. È lui che va da lei. E appena entra in casa si avvicina, la fa alzare e la prende per mano.
Fra i due prima c’era distanza, incomprensione, non si conoscevano: Gesù quindi “si fa vicino”, riduce la distanza, prende l’iniziativa, la incontra, si fa conoscere.
“La sollevò”: la donna è distesa, non vuole avere a che fare con Gesù, ma Gesù le parla, le sta vicino, finché lei gli dà ascolto e “si solleva”: si solleva cioè dalla sua paura, dal suo disappunto, dalla rabbia che la domina, dalle sue preoccupazioni per ciò che sta accadendo. “La prese per mano”: Gesù vuole proprio incontrarla, toccarla, entrare in simbiosi con lei; vuole che senta chi è lui, che se ne faccia un’esperienza personale, diretta, che lo possa conoscere a fondo. E cosa avviene? “La febbre la lasciò”. Non sappiamo cosa si siano detti o cosa di preciso sia successo. Ma da queste poche parole capiamo che Gesù, venuto a conoscenza del risentimento della donna (“gli parlarono di lei”), prende lui l’iniziativa e va da lei: e la donna capisce che quell’uomo non è né un pazzo, né uno fuori di testa.
Il vangelo dice che addirittura passa a “servirli”. Dov’è finita tutta la sua rabbia? Il suo passaggio da uno stato d’animo all’altro è istantaneo, decisivo: dall’odio, all’umile servizio, dal rancore all’amore per quest’uomo straordinario; dal volergli stare il più lontano possibile, allo stargli vicino, al mettersi a sua completa disposizione; dal sentirlo come un nemico, al considerarlo un amico, uno che è con lei e per lei.
Finché la donna combatte Gesù, non può guarire: la febbre rimane a livelli di sofferenza. Ma quando lo ascolta, lo comprende, quando si lascia toccare da lui, quando ascolta le sue ragioni, allora tutto il suo fuoco, il suo rancore, il suo odio, in una parola la sua febbre, improvvisamente scompaiono.
Allora impariamo: Capita anche a noi di avere del rancore, del risentimento, della rabbia nei confronti di qualcuno? Chiariamoci subito, confrontiamoci subito con lui. Perché l’odio genera odio, il fuoco della rabbia montante brucerà sempre più l’anima, fino ad oscurare del tutto il lume della nostra mente.
C’è un problema? Risolviamolo! Non illudiamoci che, di fronte ad un problema, a un’incomprensione, a un dissapore, il metodo migliore sia quello di chiudere gli occhi, di ignorarne l’esistenza: in questo modo, non facciamo altro che alimentare lo stato di tensione derivante da quel problema.
Molte persone odiano perché sono concentrate solo su se stesse: non si mettono nei panni degli altri, non vogliono ascoltarli, non vogliono sentire le loro ragioni. Vedono solo se stesse, e sentono solo il proprio dolore. Ma se noi riusciamo a far sentire loro il nostro dolore, le nostre ragioni, le nostre spiegazioni, sicuramente riusciamo a stabilire un contatto, possiamo incontrarci; e in questo modo riusciamo anche a cancellare le ragioni dell’odio.
Comportiamoci seguendo l’esempio di Gesù. Egli fondamentalmente compie due azioni: per prima cosa è Lui che prende l’iniziativa, è Lui che si muove e va di persona. Noi invece il più delle volte ci chiudiamo in noi stessi, nella nostra rabbia, facciamo gli offesi, ci isoliamo. Certo, è piuttosto normale che quando uno è ferito, si chiuda in se stesso: ma se continuiamo a rimanere così, avvolti nel risentimento, non c’è alcuna possibilità di incontro, di apertura. E in questo modo non risolviamo assolutamente nulla.
La seconda cosa che fa Gesù è quella di usare una grande tenerezza, un amore autentico. Gesù infatti ha capito bene le ragioni di questa donna: è arrabbiata perché non lo conosce, perché lui ha un modo di vivere diverso da “quello di tutti”; tant’è che Simon Pietro, decidendo di seguirlo, ha fatto una scelta radicale, difficile, che lo ha messo contro i suoi famigliari.
L’ignoranza è causa sempre di tanta rabbia, di tanto dolore: ed è naturale. Ma proprio per questo, se vogliamo interagire con una persona arrabbiata con noi, ferita, dobbiamo usarle tanta comprensione, tanta delicatezza; altrimenti non si aprirà mai. Dobbiamo ascoltarla, dobbiamo sentire le sue ragioni e soprattutto capire il perché del suo dolore, della sua rabbia. Se rimaniamo entrambi sul piano del rancore, continueremo a farci solo guerra; ma se la incontriamo nel dolore, se gli apriamo il nostro cuore, allora sicuramente apprezzerà la nostra vicinanza, la nostra amicizia.
Poi il vangelo continua: “Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni”. Sono parole che ci fanno immaginare la presenza di una grande quantità di demoni; sembra quasi che all’epoca ci fossero demoni dappertutto. Ora noi, nella nostra mentalità, pensiamo che il demonio sia “una creatura reale” indipendente e autonoma, che stia ed operi al di fuori di noi: e siccome noi non lo vediamo, stiamo tranquilli. Non ci riguarda. Invece, sappiamo che non è così. Il demonio, come ci spiega il Vangelo, è un essere puramente spirituale, uno spirito ribelle, un “qualcosa” che accompagna e segue l’uomo in ogni suo passo; un “qualcosa” che ci riguarda molto da vicino, che riguarda la nostra libertà, la nostra natura umana, che suggerisce, persuade la nostra mente, la nostra volontà, a pensare e a compiere cose che esulano dall’Amore. “Demoni” sono le allettanti lusinghe del male, i luccichii invitanti del peccato, che ci oscurano la ragione. “Demoni” siamo noi quando, posseduti da questo spirito cattivo cui abbiamo permesso di annidarsi nel nostro cuore, adottiamo uno stile di vita completamente opposto da quello suggerito alla nostra coscienza dallo Spirito di Dio; siamo “demoni” quando, soggiogati da questo spirito che non è Vita, che non è Amore, ci lasciamo limitare, distruggere, condizionare, accettando di vivere con un’anima spiritualmente inerte, insensibile, svuotata, morta. Molto spesso purtroppo noi non ci rendiamo conto della presenza e della potenza di azione di questo “malefico tentatore”: tant’è che il demonio peggiore ce l’hanno proprio quelli che sono convinti di non averne! Il “Demonio”, insomma, è una grave malattia dell’anima, che riesce a indebolire e a incancrenire la nostra vita spirituale.
Come combatterlo? Matteo ci dice che Gesù “al mattino presto, si alzò, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”. Non nella città, non tra la gente, non in mezzo alla confusione: ma in luogo deserto. È infatti nel “deserto” della penitenza, nella solitudine, nel mettere a nudo la nostra anima, nel limitare il “troppo”, nel dominare le assurde pretese del mondo, nel mortificare lo spirito e la volontà, che possiamo individuare e combattere i nostri demoni: e li possiamo vincere, come Gesù, soprattutto con la preghiera: una preghiera a Dio intensa, umile, sincera, riconoscente; è questa, infatti, come ci hanno insegnato anche i santi, l’unica arma valida con cui possiamo smascherare, cacciare e sconfiggere i nostri demoni interiori. Di qualunque genere essi siano. Amen.
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