giovedì 23 gennaio 2025

26 Gennaio 2025 – III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Vangelo Lc 1,1-4; 4,14-21 
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teofilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. 
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nazareth, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Gesù, dopo aver ricevuto il battesimo nel Giordano, dopo aver pregato a lungo in solitudine nel deserto, inizia la sua missione pastorale per le strade della Galilea.
Un giorno si trova a passare anche per la sua città di Nazareth, ed essendo di sabato, entra nella sinagoga. E Luca aggiunge: “secondo il suo solito”; un’annotazione che ci conferma appunto l’abitudine di Gesù di frequentare tutti i sabati la sinagoga, come facevano gli ebrei osservanti del suo tempo. A differenza loro, però, Egli non va per assistere passivamente ad una cerimonia; ma va come maestro, per insegnare e spiegare i testi sacri, imponendosi nell’annuncio del suo vangelo: un comportamento autorevole che ovviamente gli procura all’istante critiche invidiose, proprio da parte di quegli ebrei osservanti, che per la loro partecipazione al culto, passavano come persone religiose, devote, pie, timorate di Dio.
Nei confronti di Gesù si viene pertanto a creare un atteggiamento paradossale di rifiuto, di irritazione, di sospetto, di odio: un clima di insofferenza decisamente ostile, soprattutto da parte delle autorità religiose, degli scribi, dei dottori della legge, con i quali Gesù è costretto a misurarsi per il resto della sua vita terrena; in pratica, quando parla a quelli che sono lontani, ai peccatori, ai delinquenti, alla feccia della società, ai derelitti, ai malati, ai bisognosi di aiuto, tutti lo ascoltano devotamente e fanno ritorno alle loro case carichi di ammirazione, di consolazione, di buoni propositi; quando invece sono presenti tra la folla gli operatori del sacro, gli addetti ai lavori, le autorità religiose, immancabilmente cercano di contraddirlo, di metterlo in difficoltà, di farlo fuori, di ucciderlo.
I luoghi sacri, le sinagoghe, i capi religiosi, sono per assurdo gli elementi più pericolosi per Gesù: i Vangeli ci riportano in questo senso ben tre episodi avvenuti in sinagoga: nel primo lo interrompono malamente (Mc 1,21); nel secondo decidono con i pretoriani di assassinarlo e nel terzo tentano di mettere in atto il loro proposito (Mc 3,1; Lc 4,16-30). È inoltre nella zona del Tempio, direttamente nella “Casa di Dio” per eccellenza, che Gesù rischia il peggio: per esempio Giovanni nel suo vangelo usa 12 volte il verbo “uccidere” (apoktèino), e 8 volte il verbo “arrestare” (piàzo); ebbene, la metà delle volte, lo fa proprio quando Gesù si trova all’interno o nei pressi del Tempio: sembra incredibile che i custodi della zona più sacra e religiosa, proprio in quel luogo consacrato a Dio, in nome di Dio, cerchino di uccidere il figlio stesso di Dio. Ciò succede, purtroppo, perché spesso i ministri di Dio di ogni tempo, pur ostentando pubblicamente adorazione, pietà e familiarità con Lui, in realtà non lo conoscono, non credono in Lui; sono soltanto dei mestieranti del sacro, resi progressivamente insensibili e duri di cuore dall’abitudine, ministri che hanno perso la loro fede e si sono allontanati da Dio, o che forse non hanno mai sperimentato veramente Dio, non l’hanno mai amato sinceramente, poiché il loro cuore è sempre stato affascinato da altro.
Ma torniamo al testo: “gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui” (Lc 4,20).
La sinagoga è piena di gente: un evento eccezionale dovuto sicuramente alla presenza di Gesù, tenuto conto che il più delle volte, non si raggiungeva neppure il numero “legale” di dieci maschi adulti, il cosiddetto minyàn, per cui il rabbino, per rendere valida la liturgia, era costretto a convocare le persone  a pagamento.
Se dunque inizialmente tutti dimostrano di essere soddisfatti ed entusiasti per la presenza di Gesù, come mai, poco dopo, si rivelano così irritati da pensare addirittura di ucciderlo? Semplice: Egli, ignorando il rabbino, si pone spontaneamente alla guida della celebrazione, prende in mano il Rotolo di Isaia e invece di leggere il passo previsto per quel sabato, cerca, (eurisko) quello che Lui ha deciso di commentare; questo indispettisce gli ascoltatori, sia perché le regole liturgiche erano ferree e sacre, sia soprattutto per l’argomento da lui scelto: un passaggio del capitolo 61 di Isaia che parla dell’investitura dell’unto dal Signore (il Messia).
Gesù infatti inizia a leggere: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio… e predicare un anno di grazia del Signore”.
E qui si ferma. Il suo scopo, nel commentare queste parole, è quello ovviamente di presentare se stesso, la sua missione: “Io sono qui esattamente per questo; Dio mi ha mandato per annunciare ai “poveri” la “lieta notizia”, il vangelo, per ridare all’umanità l’antica dignità perduta: e fin qui, nulla in contraddizione con le aspettative messianiche: Egli infatti non è venuto per formare un gruppo di preghiera, un movimento carismatico, un partito religioso, ma per togliere dal cuore degli uomini la povertà di amore, il vuoto dell’assenza di Dio, per redimere l’umanità, per restituirle ciò che da troppo tempo le mancava.
A questo punto, però il testo di Isaia continua dicendo: “per annunciare il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti di Sion” (Is 61,2): attraverso il Messia, cioè, Dio avrebbe vendicato con la sua potenza tutti i soprusi e le violenze sofferte dal popolo. Solo che Gesù questo versetto non lo legge; e ciò fa esplodere il malcontento dei presenti.
Noi che, a posteriori, non siamo interessati al riferimento politico di questo testo, difficilmente riusciamo a capire tanta ribellione in una sinagoga, al punto da indurre i presenti a cercare nei pretoriani i complici per uccidere Gesù.
“Cosa avrà mai fatto di tanto sconveniente?”. Decisamente non capiamo. Dobbiamo sapere però che Nazaret si trova in Galilea. E gli abitanti della Galilea, all’epoca, erano dei nazionalisti fanatici e violenti. In quella regione al popolo bastava poco per sollevare rappresaglie contro il potere romano oppressore, invocando appunto la prossima venuta del Messia. Per cui, nella lettura sinagogale del testo di Isaia, tutti si aspettano quella parte che annuncia la venuta del Messia per liberare il popolo dalla schiavitù e la vittoria finale sui nemici oppressori.
Gesù però, come dice il vangelo, termina improvvisamente il suo intervento, riavvolge il rotolo, lo consegna all’inserviente e si siede.
Solo così diventa comprensibile lo sconcerto tra i presenti: una lettura della Bibbia, fatta in questo modo, per loro è mutilata, blasfema, sacrilega, irriverente. “Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui” (Lc 4,20).
Nell’aria si respira, oltre alla delusione, una tensione incredibile: il comportamento e le parole di Gesù, non sono in linea con le loro attese, con le attese della tradizione, con le attese dei capi religiosi: è un pazzo! La figura del Messia che Lui propone è inaccettabile: Il Messia, il Salvatore, l’Unto, che essi aspettano, è di tutt’altra levatura, di tutt’altro carisma: “solo un mentecatto come costui può definirsi il Messia; mettiamolo a tacere!”.
E nel vangelo di domenica prossima sentiremo come andrà a finire.
Questa in sintesi è la ricostruzione di quanto e accaduto quel sabato nella sinagoga di Nazareth.
Due cose però vanno evidenziate nel comportamento di Gesù: due particolari sui quali noi, suoi discepoli di oggi, dobbiamo fermare la nostra attenzione.
Prima di tutto la convinzione ferma e incrollabile della sua identità: Gesù è certo di essere Lui il Messia, l’Inviato dal Padre: una certezza, una convinzione, che dobbiamo tutti condividere, perché noi tutti siamo in qualche modo degli inviati da Dio, delle persone scelte e chiamate da Lui per continuare su questa terra la sua missione. Dobbiamo credere fermamente in questo, dobbiamo esserne convinti, perché la fiducia in Dio e in noi stessi, è la base su cui poter costruire l’opera che Lui ha progettato specificatamente per noi; come Gesù, dobbiamo essere pienamente consapevoli, di fronte a tutti e in ogni situazione, della nostra vocazione cristiana, di essere cioè dei “chiamati”, degli “inviati” specialissimi di Dio.
L’altro particolare è quell’oggi con cui Gesù afferma il compimento della Scrittura: un “oggi”, un “adesso”, che conclude definitivamente il tempo dell’attesa.
Un termine perentorio che, riferito sempre a noi, ci impegna seriamente contro l’abitudine del rimandare: ogni nostro proposito deve trovare la sua immediata attuazione nell’oggi; non possiamo continuare a tergiversare, a posticipare, a rimandare; non possiamo più sperare che un domani le cose si risolvano da sole.
Dobbiamo “fare” oggi, non abbiamo alternative: abbiamo un “ti chiedo scusa” in sospeso con qualcuno? Facciamolo oggi; c’è un incoraggiamento, una buona parola che qualcuno si aspetta da noi? Facciamolo oggi; c’è un modo di comportarci che disturba la nostra coscienza, e che dobbiamo migliorare? Facciamolo da oggi, da subito, a qualunque costo; c’è un “sì” che dovremmo dire a qualcuno? diciamolo oggi, anche se ci procura paura o vergogna; c’è invece un “no” che dovremmo dire? diciamoglielo subito, anche se ciò comporta tensione e conflitti. Ci accorgiamo che la vita ci sta sfuggendo nell’indifferenza quotidiana? Fermiamoci e iniziamo a rimediare da subito, da oggi.
Perché quando ci diciamo “domani”, in genere diventa “mai”. “Domani” è solo un’illusione per dirci un “no” rivestito da “sì”. Il nostro “anno di grazia del Signore”, che siamo chiamati a proclamare e a testimoniare, è già qui, è “l’oggi”, è ora, è subito, immediatamente.
Non rimandiamo più nulla al domani, perché domani potrebbe essere troppo tardi: il termine concesso alla nostra vita, alle nostre opere di bene, domani potrebbe essere già scaduto! Amen.

 

Nessun commento: