giovedì 16 gennaio 2025

19 Gennaio 2025 – II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Gv 2,1-12
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Leggendo il vangelo ci imbattiamo spesso in racconti di feste, matrimoni, pranzi. Ciò non ci deve meravigliare, perché Gesù era un uomo di azione, aperto, uno che viveva, che accettava volentieri di mangiare con le persone, che festeggiava con esse: non era un eremita, un solitario, un musone, una persona scostante: era uno che condivideva volentieri i momenti belli della vita con tutta la sua gente. 
Il Dio di Gesù è il Dio della gioia, della festa, della felicità, delle soddisfazioni della vita. Noi non potremo mai capire il Dio della croce se non capiamo prima questo Dio che vuole per ogni uomo gioia e felicità.
Gesù dunque è presente ad un matrimonio in Cana di Galilea, al quale partecipa anche sua madre: è l’evangelista Giovanni che ce lo documenta: per lui questa doveva essere un’occasione molto importante, poiché in tutto il suo vangelo, egli sottolinea la presenza di Maria soltanto due volte: all’inizio del ministero di Gesù, qui a Cana, e alla fine della sua vita pubblica, ai piedi della croce.
Per Giovanni, Gesù ha vissuto l’intera sua missione pubblica lontano dalla madre: Maria però ha sicuramente vissuto questo distacco assicurandogli continuamente la sua discreta presenza: per suo Figlio lei è stata sempre un porto sicuro, una casa con la porta sempre aperta, un cuore spalancato in cui Gesù poteva trovare sempre accoglienza e amore.
Durante il banchetto nuziale, improvvisamente, viene a mancare il vino. È appunto Maria, la madre di Gesù, sempre attenta e premurosa, che nota per prima il disagio dei padroni di casa, e si affretta ad avvisare il figlio: “Non hanno più vino”. Parole semplici le sue, ma che contengono l’invito ad intervenire immediatamente, per evitare ulteriore imbarazzo agli sposi.
Sensibilità di madre, che si ripete anche nella “festa di nozze”, in quella avventura “nuziale” di grazia e di amicizia con Dio, che ogni singolo uomo è chiamato a realizzare nella sua vita: è sempre lei, Maria, che si pone appunto come intermediaria tra Dio e la nostra situazione spesso deficitaria: “Non hanno più vino”; noi, uomini miserabili, vorremmo festeggiare le nostre nozze con Dio, ma spesso non ne siamo all’altezza, siamo “vuoti”, abbiamo esaurito il vino dell’amore, non sappiamo più amare, non sappiamo più vivere. Le nostre giornate sono inutili, prive di qualunque sapore, non c’è più gioia nella nostra vita. È proprio allora che dobbiamo dare retta a nostra Madre che ci sussurra: “Fate quello che vi dirà”. Fidiamoci di Lei, fidiamoci delle Parole che Gesù ci dirà, e soprattutto mettiamole in pratica. “Fate quello che vi dirà”: a volte non capiamo ciò che Gesù ci propone; anzi lo capiamo benissimo, ma nel nostro orgoglio lo giudichiamo immeritato, irrazionale, illogico, stupido. Capiamo benissimo che Gesù vuole portarci a fare un certo cammino; e poiché non ne condividiamo il motivo, ci diciamo che non ha senso andarci; ci diciamo che quelle cose sono troppo difficili per noi, troppo dure, faticose, che è irrazionale doverci arrampicare per un sentiero di montagna, quando possiamo tranquillamente fare il nostro percorso in pianura.
“Fate quello che vi dirà”: sì, a volte Lui ci fa vivere esperienze veramente dolorose, momenti di grande sofferenza, di solitudine, di rifiuto, di ribellione: ma la soluzione di ogni cosa sta sempre lì, nel fidarci di Lui: Egli è il Dio della Vita, conosce perfettamente le nostre possibilità, le nostre forze, e non sbaglia mai. Lasciamoci guidare da Lui, e quando la nostra debolezza è troppa, quando sentiamo di non potercela fare più, abbandoniamoci completamente a Lui, lasciamoci portare in braccio: non dobbiamo fare molta strada per questo, perché Lui è sempre lì, al nostro fianco, pronto ad intervenire in nostro aiuto.
I contenitori vuoti di Cana, le giare “di pietra”, stanno ad indicare appunto l’aspetto “pesante” della vita, i momenti in cui ci sentiamo rigidi, insensibili, pietrificati; stanno ad indicare che i nostri comportamenti privi di slancio, di amore, di passione, hanno ormai sclerotizzato la nostra vita, privandola di quel particolare respiro divino, ampio, diverso, in grado di alleggerire il nostro cammino. Quelle giare “di pietra” rappresentano, in altre parole, l’indurimento del nostro cuore, della nostra vita spirituale, delle nostre devozioni, delle nostre opere buone, delle nostre preghiere, delle nostre liturgie ormai stantie per la loro sciatta ripetitività: tutte cose che non ci trasmettono più nulla, non ci infondono più alcuna vitalità, nessuno slancio, che non sono più in grado di assicurarci la necessaria comunicazione con il Dio della Vita.
Diventiamo vittime dell’abitudine, della quotidianità, fenomeni che frantumano i nostri sentimenti, la nostra volontà, le nostre aspirazioni, i nostri sogni. Non avremo più la forza per reagire, per andare oltre, per cercare il “nuovo”, il “bello” della vita, per affrancarci dalla zavorra letale della nostra insensibilità, del nostro disinteresse: e noi sicuramente moriremo dentro, nell’anima e nello spirito, se non troveremo il modo per ricaricarci quotidianamente di Dio, se non punteremo lo sguardo su orizzonti spirituali più alti, più ampi, più aperti, in grado di farci riscoprire la ricchezza, la vitalità, la bellezza del nostro esistere cristiano. Noi moriremo inesorabilmente, se sperperiamo tempo prezioso davanti ad una tv idiota e inguardabile, in discorsi inutili e chiacchiere da osteria, nella ripetitività di giornate senza costrutto e senza ideali. Moriremo inesorabilmente se non ci specchiamo nell’anima, se continuiamo a mentirci, a raccontarci “balle”, se ci nascondiamo dietro a sembianze di facciata menzognere, se ci appelliamo alla nostra razionalità, alla nostra intelligenza, alla nostra cultura, solo per “incantare gli altri”: appariremo anche bravi, acuti, profondi, ma stiamo solo sfuggendo a noi stessi, a ciò che abbiamo dentro, al Dio della Vita, a Colui che vorrebbe condividere la nostra di vita. Moriremo inesorabilmente se deleghiamo le nostre responsabilità, i nostri doveri, i nostri ideali agli altri, a questo mondo materialista, indifferente, cinico, a questa società ormai depravata. Moriremo inesorabilmente se andiamo a messa perché ci siamo sempre andati, se preghiamo tanto per pregare, se crediamo solo superficialmente, distratti e disinteressati. Perché così tutto diventa abitudine, tutto diventa inconsistente, “senza vita”, senza calore, insensibile alle vibrazioni interiori, ai sussulti dello Spirito che ci inabita.
Prima o poi, non ci riconosceremo più: non ci sarà più vino, non ci sarà più amore, non ci sarà più vitalità. Non ci sarà più niente di niente, finiremo col vivacchiare vuoti, esauriti, finiti, morti. Alcune persone, convinte di essere vive, sono già morte dentro; altre sono in fin di vita; altre ancora presentano serie malattie allo stadio finale; la loro anima soffre e geme, ma sono ben pochi coloro che se ne accorgono.
Ogni giorno, ogni mattina quando ci alziamo, spetta pertanto solo a noi decidere se vivere o lasciarci morire.
Il segno di Gesù compiuto a Cana è la dimostrazione di come una vita finita, vuota, spenta, “senza più vino” possa al contrario ritrovare slancio, vitalità, “nuovo vino buono”. Trasformarsi, divenire, evolvere, deve essere pertanto una dimensione irrinunciabile del nostro vivere, un lungo e ininterrotto cammino di trasformazione spirituale.
In questo senso “Cana” ci invita a cercare in profondità, dentro di noi; ci spinge a penetrare all’interno della nostra anima per irrorarla di “nuovo vino buono”. “Attingete e portatene al maestro di tavola”, ordina Gesù ai servitori. Dio, creandoci, ha già compiuto in noi il suo specialissimo miracolo, elevandoci ad essere sua immagine e somiglianza. Noi dobbiamo solo credere in questo miracolo, e attingere con forza, abbeverarci continuamente alle sorgenti dello Spirito, per vivere confortati e rinvigoriti dal suo amore. Amen.

 

  

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