Mt 28, 16-20
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Oggi la Chiesa celebra la
festa della SS.ma Trinità. Un titolo che non esiste nei Vangeli; un concetto
teologico sconosciuto agli apostoli; essi annunciavano soltanto la loro grande
verità: “Quello che è stato crocifisso, Gesù, non è morto, ma è vivo; noi lo
abbiamo veduto, lo abbiamo incontrato, e ora lo sentiamo dentro di noi”.
Punto. Questa era la loro fondamentale testimonianza: e per la Chiesa nascente
ciò bastava.
Col passare degli anni però i
primi cristiani cominciarono a chiedersi qualcosa di più sulla persona di Gesù:
“Cosa vuol dire che Gesù è Figlio di Dio?”. E poi: “In che modo Gesù
è il Figlio di Dio?”. E ancora: “Chi è Dio?”.
Per noi la vita Trinitaria è
una verità raggiunta e ben definita, ma all’inizio non fu affatto così.
Solo nel 325 il primo
Concilio Ecumenico, tenutosi a Nicea, stabilì che “il Padre e il Figlio sono
della stessa sostanza”, usando per “sostanza” il temine greco “homousios”:
che significa esattamente “identici” tra di loro, sia per la “natura”
che per la “sostanza”.
Più tardi, contro la corrente
del macedonianismo (nome derivato dal suo fondatore il vescovo Macedonio di
Costantinopoli), secondo cui lo Spirito Santo non era la terza persona della
Trinità, non era di pari dignità e divinità del Padre e del Figlio, ma subordinato
a loro, il primo concilio Ecumenico di Costantinopoli del 381, decretò che
anche lo Spirito Santo è ugualmente “homousios”, cioè “consustanziale”,
al Padre e al Figlio.
Colui però che chiarì il
mistero della Trinità in maniera chiara, accessibile a tutti, fu Sant’Agostino,
che nel suo “De Trinitate” spiegò: “il Padre è Colui che ama (Amans);
il Figlio è l’Amato (Amatus); lo Spirito è l’Amore (Amor) che Padre
e Figlio nutrono tra loro”.
Le tre Persone divine sono
realmente distinte tra loro. Dio è unico ma non “solitario”: Padre, Figlio e
Spirito Santo non sono semplicemente dei nomi che indicano modalità diverse dell'Essere
divino, ma sono tre realtà veramente distinte tra loro: “Il Figlio non è il
Padre, il Padre non è il Figlio, e lo Spirito Santo non è il Padre o il Figlio”,
dichiara il Symbolum dell’undicesimo Concilio di Toledo (anno 675); sono
distinti tra loro per le loro relazioni di origine, come il quarto Concilio
Lateranense (anno 1215), sancisce in maniera chiara e definitiva: “È il Padre
che genera, il Figlio che è generato, lo Spirito Santo che procede”.
Tre persone divine, dunque,
che tra loro non sono autonome, indipendenti, statiche, bensì dinamiche,
sono cioè in assoluta, continua, relazione tra loro: una simbiosi, una compenetrazione
reciproca di amore che tutto crea, tutto redime e santifica, definita dal
Concilio con il termine particolare di “pericorèsi”, dal greco “perì-kōrèin” cioè
letteralmente, “andare, girare intorno, ruotare, accomodarsi, danzare”.
Una Trinità - Padre, Figlio, Spirito Santo – che in pratica è Vita, Relazione,
Divenire, Amore: un Darsi e Riceversi continuo, persistente, eterno. Una verità
che, per noi, non è sicuramente facile da capire e da spiegare.
Possiamo invece trarre più
agevolmente - dall’unione reciproca delle tre persone (ipòstasi) nell’unico
Dio - una prima grande verità: che la nostra vita, il creato intero, qualunque
cosa ci accada, è tutto costantemente collegato al Padre Creatore attraverso il
Figlio; tutto è interconnesso, comunicante col divino, grazie all’Amore
Assoluto (Gv 17,11); per cui tutto ciò che ci riguarda è essenzialmente
“trinitario”, in quanto nulla può esistere “al di fuori” di questo Amore, al di
fuori di questa palpitante, esclusiva, “relazione” divina.
Una realtà che ci tocca in
maniera particolarissima, poiché tutti indistintamente cerchiamo amore, tutti
vogliamo essere amati, tutti “sorretti” dall’amore. Dio solo, però, è in grado
di saziare questa nostra fame di felicità: è Lui l’unica forza che ci sostiene
nelle difficoltà, Lui il calore che ci riscalda l’anima, il medico che ci
guarisce le ferite, la guida che ci accompagna lungo il difficile percorso della
vita; è Lui quell’energia soprannaturale che ci infonde coraggio, potenza,
entusiasmo, fedeltà; il suo amore, insomma, è un sentimento unico, di grande
dolcezza, di comprensione, di garbo; un amore di forza, di chiarezza, di
determinazione; un amore, soprattutto, intimo, discreto, personale, che non si
impone, che non pretende nulla in cambio, e che pertanto non fa paura, non
terrorizza, non manipola nessuno.
Egli, infatti, per mezzo del
Figlio, continua ad avvicinare i più deboli, i più derelitti, i più indegni, i
peccatori più incalliti, sussurrando a ciascuno: “Sono qui per amarti: ti va
di seguirmi, aprendomi il tuo cuore?”. Nessuna “costrizione: non butta giù
le porte; sa benissimo che la paura di aprirgli il nostro cuore, di abbandonarci
a Lui, di lasciarci amare, ci immobilizza, ci fa sentire indegni; ma Lui, con la
sua voce silenziosa e suadente: “Non preoccuparti se non sei ancora pronto ad
amarmi, io aspetterò: non rinuncerò mai ad amare proprio te. Qualunque errore,
qualunque delitto tu abbia commesso, io continuerò sempre ad amarti!”. Parole
che, in qualunque situazione ci troviamo, aprono ad una prospettiva di bontà e
di amore, che merita immediatamente, da parte nostra, una risposta valida e adeguata.
Amen.
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