giovedì 11 maggio 2023

14 Maggio 2023 – VI DOMENICA DI PASQUA


Gv 14,15-21 
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Giovanni continua oggi a riferirci il discorso di addio di Gesù iniziato domenica scorsa: i particolari da chiarire sono ancora molti e importanti, perché devono essere capiti bene.
Siamo ancora nel cenacolo: Gesù ha appena annunciato il suo prossimo ritorno al Padre, in quel luogo dove non c'è più nulla da temere e dove c'è posto per tutti. Anzi, lì ognuno ha il suo posto, unico e insostituibile, un posto che lui stesso sta andando a prepararci.
Egli torna dunque a parlare ai discepoli di questa sua partenza, di questo suo distacco: ma nello stesso tempo assicura loro che il Padre non li avrebbe lasciati soli, avrebbe assicurato la presenza di un “Paraclito” che sarebbe rimasto per sempre accanto a loro, e quindi a noi, Chiesa di ogni tempo: anche se materialmente nessuno potrà più vedere il suo volto, Egli continuerà a rimanere con il suo Spirito con noi, in noi, in maniera diversa, in maniera spirituale. 
“Il Padre vi darà un altro Paraclito. In greco, “Paràcletos” significa “Avvocato”: avremo cioè un “professionista” che ci difenderà contro le insidie del male, che ci assisterà quando siamo in pericolo, quando ci sentiremo soli, deboli, impotenti; uno che ci suggerirà sempre cosa dobbiamo fare, come comportarci al meglio. Ma “Paràcletos” significa anche “Consolatore”: avremo sempre cioè uno che ci capisce, che condivide i nostri problemi, le nostre ansie, le nostre paure; uno che ci consola quando pensiamo di non farcela, che lenisce il dolore delle nostre ferite, che sa entrare nel nostro mondo interiore, nella nostra anima, che sa parlare al nostro cuore.
Gesù sa perfettamente che senza la sua costante presenza, i discepoli, noi in particolare, avremmo facilmente dimenticato la sua immagine e le sue parole. Per questo ha assicurato la presenza di “un protettore”, un avvocato, un “chiarificatore”: di uno insomma alla cui scuola tutti, in ogni tempo, avrebbero potuto imparare a fondo cosa significhi veramente fare “esperienza di Dio”.
Da qui, una considerazione: tutti dobbiamo entrare in familiarità con questo “Paraclito”; dobbiamo cioè imparare a conoscere lo “Spirito” di Dio, dobbiamo incontrare il Gesù dentro di noi, entrare in Lui, amarlo, vivere di Lui.
Parole facili a dirsi, ma non altrettanto da mettere in pratica, anche se, in realtà, di occasioni per incontrare Gesù nei vari momenti delle nostre giornate, della nostra vita, ne abbiamo tantissime: dobbiamo solo aprire bene gli occhi, indossare gli occhiali della fede, della nostra anima, del nostro cuore; dobbiamo insomma calarci in quella dimensione del nostro io occupata dallo Spirito: una dimensione “spirituale” di cui dovremmo avere la massima cura, e che invece, purtroppo, con grande disinvoltura, noi mortifichiamo in continuazione, riducendo il nostro cristianesimo a una inutile religione di facciata.
Non è possibile continuare a comportarci sempre da immaturi; ciascuno di noi ad un certo punto deve diventare padrone della propria vita. Nessuno può continuare a giustificarsi dicendo: “faccio solo quello che mi dicono”. Se Dio avesse voluto che l’uomo rimanesse sempre ignorante, che non diventasse “adulto”, una persona responsabile, autonoma, non lo avrebbe dotato di un cervello. Al contrario gli ha detto: “hai le gambe, cammina; hai gli occhi, osserva; hai le orecchie, ascolta; hai il cervello, usalo”.
Sì, perché di fronte a Lui dobbiamo essere completi, autonomi, non mezze calzette, non dei piagnucoloni! La sua Chiesa ha bisogno di uomini liberi, di uomini veri, dalla grande personalità; uomini forti, integerrimi nei costumi; uomini lungimiranti che sappiano interpretare la storia, che sappiano prevederla; uomini “alternativi”, come lo è stato Lui qui in terra; devono, in una parola, volare alto. E “volare” non significa solo muovere le ali, significa restare in aria autonomamente, senza alcun sostegno, convinti di poterlo fare.
Oggi, in particolare, i “pastori”, i “maestri” del Vangelo, quelli scelti da Gesù per guidare, per istruire, per consolidare la fede della sua Chiesa, dovrebbero dimostrare di essere veramente dei “posseduti” da Dio, dei “depositari” del Paraclito, lo Spirito della Verità; dovrebbero veramente pensare, agire, insegnare sempre, come autentici “illuminati” dallo Spirito: perché solo così potranno trasmettere il messaggio di Cristo ai fratelli, insegnando loro a conquistare, coltivare, accrescere, custodire la fede in Lui, a vivere nel Suo amore; solo così, potranno insegnare ai fratelli di meritarla, questa fede, di difenderla, e soprattutto di “perseverare” in essa.
“Perseverare nella fede”: un’espressione che purtroppo è completamente sparita da catechesi, prediche, pubblicazioni cattoliche: perché “perseverare” è un verbo che implica fatica, lotta, fedeltà e amore per un ideale, che mal si coniuga con l’idea oggi predominante di un Dio bonaccione, che passa sopra a qualunque offesa, che lascia correre, che perdona comunque tutto a tutti. Che Dio sia bontà, amore illimitato, è una “sua” esclusiva proprietà ontologica, che non ci autorizza a pensare che, grazie ad essa, Egli giustifichi automaticamente ogni nostra infedeltà o ribellione.
Purtroppo, la società di oggi è fagocitata dall’anticristo contemporaneo: il totale e assoluto relativismo; la gente si sente affascinata non dalla Verità del Vangelo, ma da una congerie di insulsaggini, propagandate da pseudo preti, maghi, santoni e indovini che, lautamente retribuiti, sproloquiano dalle loro cattedre televisive.
Per la gente ormai è una moda rinunciare alla propria autonomia intellettuale, affittare il cervello e la propria vita a questi falsi profeti, a questi squallidi buffoni, che pretendono di ergersi a Divinità infallibili, a visionari di ogni genere, a sedicenti interlocutori diretti con Dio e con la Madonna.
In questa situazione drammatica la Chiesa fallirebbe in pieno il suo mandato divino, se si accontentasse di trasmettere ai fedeli un Dio “immagine”, in formato “regalo”, un Dio semplicemente da ammirare, da pregare, da esporre, da esibire. Il Dio di Cristo non è così! Gesù non ha trasmesso un Dio statico, immobile, un Padre buonista, facilmente manipolabile dal nostro scaltro “savoir faire”: ci ha rivelato invece un Dio attento, onnipresente, che va cercato, seguito e amato tra mille difficoltà, tra mille dubbi, tra continue sconfitte e piccoli progressi; la nostra è una fede che non “impone” nulla, è vero; è una fede senza “regole” capestro, che offre semplici “consigli” di vita: ma è una fede che esige onestà intellettuale, amore sincero, fedeltà! Non assicura “tout court” una vita eterna, soprannaturale, ma al contrario ci insegna come costruirla, perfezionarla, alimentarla quotidianamente con i suggerimenti dello Spirito di Dio che abita in noi. La strada da percorrere è ovviamente in salita, lunga e difficile: è un percorso che esige da ciascuno serietà, maturità, convinzione, costanza.
Non basta infatti “vivere”, ma bisogna “saper vivere”, saper capire, saper giustificare, saper amare, saper dare un riscontro tangibile a ciò che professiamo, a ciò che confessiamo, a come e perché lo traduciamo in vita vissuta.
È proprio per questo che il nostro “credo” cristiano, se è coerente e fedele allo Spirito, va sempre contro corrente, è in perenne disaccordo con gli schemi individualistici dell’uomo, è motivo di rottura e di abbandono da parte dei nullafacenti, oggetto di critica atroce da parte del “mondo”: perché, come dice Gesù, il “mondo” non può relazionarsi “de visu” con lo Spirito, non lo vede, non lo sente, non lo conosce: è totalmente diverso, è proiettato in tutt’altra dimensione!
“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama”, dice Gesù.
Qui Giovanni parla di “comandamenti”: e noi li colleghiamo immediatamente ai “dieci comandamenti” del catechismo; ma, se pensiamo bene, Gesù ci ha lasciato un solo “comandamento”: “Ama il Signore tuo Dio e il prossimo tuo come te stesso”.
È il “comandamento” dell’amore: ma neppure questa definizione è esatta, perché, in realtà, l'amore non si può imporre a nessuno. Non si può comandare di amare: l'amore è libero, nasce spontaneamente, in piena libertà. Nessun genitore può dire ad un figlio: “Amami”. Può sperarlo, desiderarlo, può augurarselo. Ma non può costringerlo ad amare. L'amore vive solo dove c'è libertà.
Gesù, infatti, non l’ha “ordinato”, ma lo ha caldamente consigliato. L’unico comandamento vincolante, per chi vuole seguirlo, è quello di “vivere come Lui”, di “seguire i suoi passi”, di diventare, cioè, come Lui, uomini veri, liberi, trasparenti, pieni di vita e di Dio.
Per raggiungere qualunque obiettivo è necessario “volerlo” sul serio, sentire nel cuore quell’intimo impulso che ci spinge all’azione. Infatti i “maestri”, gli educatori, possono certamente pretendere dai loro allievi che si impegnino seriamente nella vita, che osino, che puntino sempre più in alto, in una parola che siano “aquile”: ma se questi in cuor loro non sono convinti, se hanno paura di volare, se non sentono alcuna attrazione per l’altezza, per la bellezza, se non sentono il fascino del volo, poveretti! ci proveranno anche, ma non arriveranno mai a nulla: una gallina, per quanto si sforzi, non potrà mai diventare un'aquila!
Gesù, anche per questo, ci ha assicurato la presenza del suo Spirito: proprio perché, grazie a Lui, trasformati da Lui, potessimo abbandonare la nostra naturale “pesantezza umana” per librarci fin lassù, in alto, tra le braccia del Padre: guidati dai suoi consigli potremo infatti diventare veri “esseri spirituali”. Lui può: perché è il nostro Maestro, la nostra forza, la nostra guida, il nostro avvocato, il nostro Consigliere, il Dio in noi. Con Lui nulla ci sarà impossibile. Gesù ce l’ha promesso!
Accogliamolo, allora, questo Paraclito Consolatore; apriamogli le braccia e il cuore, accettiamo i suoi suggerimenti, i suoi insegnamenti. Viviamo uniti in Lui con Cristo, nell’amore del Padre. Come? Amando. Semplicemente amando. Perché questo solo è lo Spirito di Dio: Amore! È Lui che alimenta questo nostro cuore, creato dal Padre per ricevere e dare Amore: lo presuppone, lo suscita, lo incarna in noi. È lo Spirito Amore che tiene compatta la nostra vita, nonostante le fratture, le contraddizioni, i fallimenti. È lo Spirito Amore che la motiva, la indirizza, la rinvigorisce. Tutto in noi, di noi, viene continuamente nobilitato dallo Spirito Amore; ecco: questa è la “buona notizia” di oggi. Amen.

 

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