giovedì 27 ottobre 2022

30 Ottobre 2022 - XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 


Lc 19, 1-10  
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

 Gesù stava andando verso Gerusalemme: era quindi costretto ad attraversare la cittadina di Gerico, posta a circa trenta chilometri dalla capitale giudaica, lungo la grande via di comunicazione che, dalla Galilea e la Samaria, entrava in Giudea. Per questa sua posizione la città era un punto strategico dell’amministrazione romana: era quindi normale incontrare in essa funzionari imperiali, uomini dell’esercito, e “pubblicani”, ossia quei residenti del luogo, incaricati dagli invasori di gestire per loro conto la riscossione delle tasse. 
È quindi qui a Gerico che Zaccheo incontra Gesù. O meglio, è Gesù che “incontra” qui Zaccheo! Ma chi è questo pubblicano di nome Zaccheo? 
Il suo nome (in ebraico Zakkay) significa “giusto, puro, immacolato”, ma nessuno di quanti lo conoscono, sicuramente, lo considera tale; nessuno degli uomini, ma Gesù sì: perché anche se l’uomo si comporta da ladro, da profittatore, anche se è un corrotto, un disonesto o quant’altro, Dio riesce sempre e comunque a scorgere in lui quel minuscolo seme di bontà, quell’invisibile “marchio” divino, che lui stesso ha impresso nel suo cuore donandogli la vita. 
Il termine “pubblicano” è dunque per la gente sinonimo di “immorale”; dare del “pubblicano” a qualcuno equivaleva dargli del falso, del ladro, del traditore. E Zaccheo non solo è un pubblicano ma è il capo dei pubblicani: il più ladro dei ladri. E tutti lo sanno! È insomma un poco di buono, un infedele, un venduto ai Romani invasori, un collaborazionista, un peccatore. Uno che si è arricchito a dismisura, defraudando la povera gente. 
Ma Zaccheo “cerca di vedere”: un verbo, quel “cerca”, che lascia chiaramente intuire il suo proposito di trovare una soluzione alternativa alla sua: il presente non lo soddisfa, dentro di lui c’è tormento, inquietudine, irrequietezza: non è felice; egli materialmente ha tutto, ma quel tutto non gli basta più, perché la felicità non sta nelle cose materiali ma nei valori morali. Le “cose” devono servire soltanto per raggiungere quei valori, i soli che possono dare all’uomo una serenità e un appagamento totali.  
Zaccheo, quindi, decide in quel giorno, di fare improvvisamente qualcosa di diverso: abbandona per qualche ora il banco delle imposte, per andare a vedere Gesù.
Ha sentito molto parlare di quel Maestro che dona a tutti salute, pace e serenità, e lui vuole sincerarsene, vuole “vedere” con i propri occhi, vuole rendersene conto. Perché, 
nonostante sia uno materialmente “superiore” agli altri, nonostante sia un uomo affermato, potente, egli non è soddisfatto di sé stesso, si sente inappagato, menomato, privo di quella ricchezza spirituale così tanto “diversa” dalla sua, e per questo avverte nel suo cuore un forte disagio. 
Da qui la sua reazione: 
trova dentro di sé un residuo di forza per riscattarsi, per ribellarsi da questa situazione, ogni giorno sempre più soffocante, insopportabile: e va.
Ma c'è un ma: oltre che “piccolo” spiritualmente, egli è piccolo anche di statura. 
E allora, pur essendo uno degli uomini più in vista della cittadina, incurante dei commenti sarcastici della folla, si arrampica su di un robusto sicomoro per veder “passare”, per poter comodamente osservare da vicino lo sconosciuto “predicatore” così tanto osannato dalla gente. Ci vuole molto coraggio! Il suo infatti è un esempio forte, significativo, trainante, in particolare per tutti quelli che ancora oggi vogliono incontrare Dio, ma sono trattenuti dalla piaga morale del “rispetto umano”. 
Zaccheo, salito sull’albero, in qualche modo si tranquillizza, da “piccolo” qual era, si sente già un “grande”: ora può finalmente “vedere” Gesù; ma è Gesù che lo “vede” per primo! E che fa? Non improvvisa catechesi, non fa predicozzi, non impone a Zaccheo di convertirsi, di cambiare vita: lo chiama semplicemente per nome "Zaccheo!". Se per tutti gli altri egli è “il capo dei pubblicani”, il “riccone” imbroglione, per Gesù è soltanto “Zaccheo”. Chiamare per nome una persona significa già dargli rispettabilità, dargli un volto, riconoscergli dignità: in questo caso è come se Gesù dicesse: “Io credo in te Zaccheo, so che in te c’è qualcosa di prezioso. Non è necessario che tu rimanga su quell'albero. Per gli altri sarai anche un ladro, un venduto, ma io vedo in te un’anima che soffre, uno spirito che vuole sinceramente riscattarsi”. E gli fa una proposta, secca, veloce, efficace: “Scendi subito!”. (Da notare che Gesù è sempre diretto, lapidario, con chi gli chiede qualcosa: “alzati; taci; esci; mettiti nel mezzo; vai dai sacerdoti; apriti; vieni fuori”; ecc..); e gli dice anche il motivo: «perché oggi devo fermarmi a casa tua». Zaccheo non sa esattamente cosa voglia Gesù, ma intuisce, “sente” che qualcosa di grande, di estremamente importante, sta per accadergli: scende, e crede; scende e guarisce; scende e spalanca a Dio le porte del suo cuore! Obbedendo a Gesù, sceglie l’amore. Non più accumulo di ricchezze, non più scelte squallide, non più disordine interiore, ma generosa “condivisione” di carità, di amore fraterno: «do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». L’entusiasmo spontaneo del pentito, dell’innamorato, l’esplosione di gioia del “rinato”: ma amare non è “dare”, è “darsi”, è donare sè stessi, donare agli altri il nostro surplus di amore divino. L’amore non è elitario, non è esclusivo di pochi ricchi fortunati: tutti indistintamente possono amare, anche i poveri, anche chi non possiede proprio nulla; perché per amare basta avere cuore. 
Gli uomini si convertono all’amore soprannaturale non perché l’hanno fatto i Santi del calendario, ma perché si rendono conto che vivere senza alcun contatto personale con Dio, vivere senza dare e ricevere amore, non è vivere, ma un lento, inarrestabile annullarsi, precipitare nel nulla, preferire caparbiamente una morte tetra, tenebrosa, ad una vita splendente e gloriosa. 
È Dio che ci cerca: è sempre lui che prende l’iniziativa, anche se non ce ne accorgiamo: Lui ci ama da sempre come siamo, indipendentemente da “chi” siamo, da “come” viviamo. Dio non ci ama perché siamo buoni, ma è Lui che amandoci ci rende buoni. 
Di fronte a tanto, scendiamo allora anche noi dai nostri “sicomori”, obbediamo anche noi alla sua Parola; spalanchiamo generosamente le porte a questo Dio, che aspetta pazientemente di entrare nella nostra casa: cerchiamo, anche noi, Colui che ci cerca da sempre. Smettiamola di giocare a rimpiattino con Lui, lasciamoci raggiungere, abbandoniamoci, diventiamo suoi! 
Gesù non mercanteggia, non “vende” nulla, non pone condizioni al suo amore: Egli lo dona continuamente, gratuitamente, a tutti; non può farne a meno, perché Lui è Amore infinito, incondizionato, assoluto: se Gesù avesse posto delle condizioni, se avesse detto a Zaccheo: “Non temere, so che sei un ladro, ma se restituisci il quadruplo di ciò che hai rubato, vengo a casa tua per stare con te”, credetemi: Zaccheo non si sarebbe mosso, non sarebbe mai sceso dall’albero! 
Crediamo dunque in Lui, nella sua Parola: è la nostra garanzia perenne; non importa se ci troviamo ancora immersi nella nostra materialità, nel nostro nulla; non importa se abbiamo già fatto un tratto di strada, oppure se dobbiamo ancora iniziare; non importa se dall’alto del nostro “ego”, stiamo ancora aspettando di “vedere” il passaggio di Gesù nella nostra vita; nulla deve importarci, nulla deve distrarci, perché noi sappiamo, e ne siamo certi, che l'oggi in cui Dio vuole entrare in casa nostra, siamo noi a stabilirlo, dipende solo da noi: è un “oggi” sempre valido, perché appartiene al suo “presente” eterno. Amen.

 

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