«Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non
opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli
anche l’altra» (Mt 5,38-48).
Continuiamo
anche oggi la lettura del Discorso della montagna (Mt 5-7), sintesi di tutta la predicazione di Gesù, “magna carta”
per meritare l’accesso al Regno di Dio.
Abbiamo
visto domenica scorsa la premessa di Gesù: contro quanti affermavano che era
venuto per abolire la Legge e i Profeti, Egli continua ad assicurare che non
avrebbe annullato proprio nulla, anzi che con Lui tutte le Scritture avrebbero
trovato la loro autenticità, il loro “compimento”: solo Lui, infatti,
personificazione dell’amore e della volontà del Padre, con la sua natura, con la
sua vita, con la sua Parola, poteva offrire il vero senso della Legge e delle
promesse profetiche, innestandole al grande “comandamento dell’amore”.
Nel
vangelo di oggi, Gesù continua dunque a contrapporre un prima e un dopo: una
norma consolidata nel tempo e normalizzata, che Lui rilegge, perfeziona e
completa con i suoi insegnamenti: non propone una legge nuova, ma un compimento
nuovo, rivoluzionario, unico, come unica è la sua giustizia, riflesso
dell’amore del Padre.
In
pratica Gesù capovolge l’equilibrio
imperfetto e precario della Legge antica: la rilancia, proponendo una nuova
visione dei valori decisamente più stabile, completa e radicale; una visione che
si poneva decisamente “oltre” la prassi di allora, in una prospettiva di vita
completamente nuova, fino ad allora impensabile; come? non opponendo resistenza
al malvagio, ma rispondendo ai suoi attacchi,
anche se crudeli e feroci, con amore; pregando per i nemici, assumendo come modello
ideale la misericordia di Dio, che è Padre di tutti, buoni e cattivi.
“Occhio per occhio, dente per
dente” prescriveva
infatti la legge del taglione: che non
era poi un incitamento a vendicarsi, ma la positiva introduzione di un certo
“limite” alle smisurate rappresaglie vendicative con cui si usava
rispondere ad un torto ricevuto. In pratica: “Se intendi vendicarti per un’offesa,
fallo alla pari, non andare oltre la misura dell’offesa ricevuta”. Una legge che
garantiva una certa equità, ma comunque decisamente imperfetta: di essa Gesù
propone infatti un sostanziale miglioramento, in grado di assicurare al cuore e
alla vita dell’uomo, pace e serenità. “Io
vi dico, amate i vostri nemici”.
Ma cosa
vuol dire “amare i propri nemici”? Bisogna fare qui una piccola distinzione: dobbiamo
cioè distinguere l’amore concreto da quelle che sono le sensazioni, i “sentimenti
d’amore”. Mi spiego: Gesù non dice: “Devi sorridere ai tuoi nemici” oppure “devi
provare simpatia, considerazione, ammirazione per loro”, o ancora “devi sentire
affetto” per i tuoi nemici, per chi ti ha fatto del male, per chi ti ha ferito
(che sono tutti “sentimenti d’amore”). Gesù non è uno sprovveduto; Egli sa benissimo
che non si possono comandare le “emozioni”. Egli in pratica dice un’altra cosa:
“Ama in maniera concreta i tuoi fratelli, anche se sono tuoi nemici, e lo devi
fare indipendentemente dalle tue emozioni”. Cioè: “Devi comunque continuare a
far loro del bene, a fare sempre ciò che è bene per loro, ciò che è meglio per
loro, anche se in cuor tuo nutri naturali sensazioni contrarie; devi usare nei
loro confronti la massima carità, quella vera, autentica, anche se li consideri
tra i tuoi nemici peggiori”.
In
sostanza non dobbiamo mai abdicare all’amore per far posto alle nostre naturali
e lecite emozioni di rabbia, di risentimento, di disappunto. Perché facendo
così finiremo per avvelenare il nostro cuore.
Noi
siamo convinti di essere buoni cristiani, persone oneste, perché amiamo la
nostra famiglia, rispettiamo i nostri amici, vogliamo bene ai vicini, non
facciamo loro del male. Ma Gesù ci dice che se amiamo “quelli che ci amano”,
non facciamo nulla di straordinario: questo lo sanno fare tutti, anche quelli
che non hanno fede. La nostra vita, purtroppo, è talmente impantanata nella
mentalità di questo mondo, che siamo convinti di essere giusti, “osservanti”, pii
cristiani, anche quando facciamo le cose più naturali, più ovvie di questo
mondo, cose che non richiedono alcuno sforzo, come per esempio amare chi ci
ama. Il problema serio nasce invece quando non siamo amati, quando il nostro
amore non è corrisposto, quando non siamo capiti, quando veniamo fraintesi, quando
ci sentiamo compatiti o addirittura odiati! Come ci comportiamo allora? Beh,
ovviamente, facciamo quello che ci riesce più facile, più naturale, più
immediato: piuttosto che perdonare e amare, ripaghiamo con la stessa moneta: “Ti
sto antipatico? Anche tu a me! Non mi sopporti? Neppure io! Mi odi? Io pure!”.
Del resto, pensiamo, che male c’è? Non facciamo nient’altro che restituire agli
altri ciò che riceviamo! Attenzione però, perché, alla fin fine ciò equivale a:
“Occhio per occhio, dente per dente”. Ossia, anche noi, da “buoni cristiani”, ci
avvaliamo dell’antica logica “del taglione”.
L’ideale
di perfezione propostoci oggi da Gesù è invece di gran lunga superiore,
contiene un messaggio nuovo, sconvolgente e rivoluzionario. È il più controcorrente
di tutti, perché non si tratta tanto di osservare una legge umana, ancorché
difficile, impossibile, ma di donare a tutti la stessa vita di Dio: l’amore.
Una
cosa, l’amore vero, autentico, che oggi è decisamente svalutato dalla nostra
società. Quanti di noi, infatti, sono disposti ad accettare in pieno le parole
del Vangelo? Eppure esse costituiscono l’essenza del cristianesimo, sono l’unica
chiave per capire e vivere la nostra religione! È una delle cose straordinarie
che Cristo richiede da noi. Cose straordinarie che dobbiamo fare in maniera
ordinaria, ogni giorno! Se ci professiamo cristiani, ma non parliamo il
linguaggio dell’amore, del perdono, della non violenza, noi professiamo e diciamo
il falso. Dobbiamo invece essere convinti che l’amore è più forte dell’odio.
Dobbiamo credere che solo l’amore assicura all’umanità un domani migliore.
Qualcuno ha detto che il cristiano, o è l’uomo del paradosso, o l’uomo della
banalità. Ebbene, noi non possiamo annullare la potenza del Vangelo,il “paradosso”
di Cristo, adeguandoci alla mentalità della “legge del taglione”, alla banale mentalità
mondana.
Dobbiamo
ridare all’amore la sua vera dimensione, scoprendone la bellezza, la grandezza
e le esigenze. L’amore è sicuramente la prova più difficile e impegnativa alla
quale un cristiano è chiamato. Ma è anche la testimonianza più alta che egli possa
dare alla sua fede. Nella vita noi potremo avere al massimo due o tre occasioni
per dimostrare a tutti il nostro “eroismo”; ogni giorno però abbiamo la
possibilità di amare, di amare tutti, di amare sempre. Sì, perché se tutto
quello che facciamo, dalle cose più semplici a quelle eroiche, non le facciamo per
amore, non servono a niente.
Ecco
allora che ci aspetta una belle sfida, un bel percorso in salita.
Del
resto tutto il “discorso della montagna” ci pone di fronte non ad una, ma ad
una “catena di montagne” da scalare: il punto d’arrivo più alto, la vetta
panoramica da raggiungere, ci viene indicata proprio dalle parole di Gesù con
cui Matteo conclude il vangelo odierno: “Siate
perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. In estrema sintesi Gesù
ci raccomanda: “Dovete essere sempre quel che siete!”. Che vuol dire? Che siamo
figli di Dio chiamati ad essere sempre come Lui; siamo sue creature, il cui vivere
naturale deve diventare soprannaturale, creature finite create e proiettate verso
l’Infinito. Siamo tutti immagine di Dio: e siamo tali, siamo cioè noi stessi,
soltanto se siamo “santi, perfetti” come Lui.
Allora,
e concludo, essere “santi come Lui”, significa condividere con Lui quel
medesimo amore con cui Lui ama tutte le sue creature; significa diventare un “segno”,
una “icona” del suo Amore nella nostra quotidianità; significa spendere la
nostra vita a favore dei fratelli, con un amore pari a quello che noi stessi riceviamo
continuamente dal Padre. Amen.
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