giovedì 9 febbraio 2017

12 Febbraio 2017 – VI Domenica del Tempo Ordinario

«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt  5,17-37).

Abbiamo detto che il “Discorso della montagna” costituisce la sintesi di tutta la predicazione di Gesù. Il Vangelo di oggi, di cui è parte essenziale, ci offre la chiave di lettura, l’autentica interpretazione del suo “nuovo” e rivoluzionario messaggio, spiegando a chiare lettere la sua stretta connessione con il pensiero veterotestamentario e con la Legge mosaica.
Di “nuovo” in pratica non c’è proprio nulla, tant’è che Gesù lo rimarca subito: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti…”. Assolutamente no! Egli non è “contro” la Legge: anzi si dichiara apertamente a suo favore.
Ma perché Gesù ha sentito il bisogno di questo chiarimento? Semplice: perché i “custodi dell’antica Legge”, i dottori della legge e i farisei, vedevano in Gesù un nemico, uno che non perdeva giorno per condannare, di fronte al grande pubblico, la loro ottusa interpretazione della Legge e della Scrittura; uno quindi che doveva essere messo a tacere ad ogni costo: e per questo ogni occasione era buona per screditarlo proprio con quella popolazione che lo seguiva entusiasta, vedendo in Lui, finalmente, l’incarnazione messianica tanto attesa, il restauratore del popolo ebraico.
Non dobbiamo dimenticare che Gesù è un ebreo: è nato in Palestina, da genitori ebrei, ha parenti ebrei, vive in una cittadina di soli ebrei. Il concetto chiave, assorbito con la nascita, era per Lui, come per tutti gli ebrei, l’Alleanza. Che voleva dire? Che Dio ad un certo punto della storia, aveva scelto il popolo ebraico come suo prediletto, aiutandolo sempre e in tutto, anche a scapito degli altri popoli. Unica condizione, unica contropartita, era la fedele osservanza della Legge che Dio aveva posto a suggello dell’antica Alleanza, stipulata con il patriarca Abramo. Pertanto, l’osservanza scrupolosissima della Legge costituiva l’unico elemento qualificante la loro religiosità. Un’osservanza però che, grazie proprio alle cavillose e ossessive interpretazioni delle autorità religiose, si era ridotta ad una vuota formalità esteriore.
Gesù, indignato per tale comportamento fuorviante, con la sua predicazione dice “Basta, così non si può più andare avanti!”: il rapporto con Dio non si può basare sulla Legge, sull’Alleanza, sul fatto che “noi siamo ebrei, noi veniamo da Abramo” (Gv 8,33), e poi ognuno si comporta come più gli piace. Non è più possibile continuare a fare il proprio comodo, giustificandosi che è “volontà di Dio, parola di Dio” ciò che non c’entra nulla con Dio. Pertanto: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”.
A quel tempo tutti ormai pensavano: “Se lo dice la Bibbia, se è scritto nella Legge, allora si può fare!”. Ma Gesù: “No, neppure per sogno! Non bisogna essere fedeli alla lettera, alle parole, ma allo Spirito. La prima regola non è la Bibbia ma il cuore. Anche se lo dice la Bibbia, ma è contro il cuore, contro l’amore, allora è contro Dio”.
È chiaro allora come mai scribi e farisei fossero tanto furiosi con Gesù, perché le autorità più intransigenti lo odiassero profondamente.
Gesù però non è contro la Legge: lo ribadisce oggi. È contro l’interpretazione che di essa veniva data. Perché fare le cose “legalmente”, significa farle per “sentirsi in regola”, non certo per amore. L’amore comandato è “obbligo”, non è amore. L’amore non si può imporre.
Quindi Gesù non abolisce l’Antica Alleanza, ma la riporta al suo spirito. La conduce dall’esteriorità all’interiorità, le dà compimento, la fa evolvere dall’antico al nuovo. I suoi criteri di giudizio pertanto si scostano da quelli di una volta: “Avete inteso che fu detto agli antichi… ma io vi dico…”. Chi sono questi “antichi”? Non è certo gente qualunque: Mosè, Abramo, Isacco, Giacobbe; sono i capisaldi della religione ebraica: Gesù, in realtà, rompe con ciò che tutti consideravano “legge”, con quegli schemi che tutti davano per scontati. Rompe non con “gli antichi”, ma con l’interpretazione falsa e stupida che la gente dava degli “antichi”. Questi infatti avevano creato delle leggi adatte al loro tempo; e lo avevano fatto per dei motivi ben precisi, per giuste necessità.
La legge del sabato, ad esempio; una legge che a noi può sembrare stupida: Gesù, invece, ne capisce benissimo il senso originario: la maggior parte della gente era dei poveracci che lavorava per i ricchi. Ora, senza questa legge che vietava il lavoro nel giorno di sabato”, i poveracci sarebbero stati costretti a lavorare anche in quel giorno. Con la Legge, è Dio stesso che ordina il riposo, e quindi tutti, ricchi e poveri, devono conformarsi ad essa. Gesù, a questo punto, non elimina la legge del sabato (il riposo è obbligatorio per tutti), ma una sua interpretazione troppo legalistica, assurda, fuori dalla realtà: in pratica cioè Gesù dice: “Se di sabato una pecora ti cade in una fossa, è ovvio che devi prenderla e tirarla fuori” (Mt 12,11).
Oppure la legge sulle decime:  le somme pagate dagli ebrei non servivano solo a mantenere il tempio e i suoi funzionari, ma anche a dare un pasto festivo ai poveri e agli emarginati della società che altrimenti non avrebbero avuto nulla da mangiare (Dt 14,24-27). Gesù non l’abolisce, perché sa che pagare “la decima” permetteva a molte persone di sopravvivere. Si arrabbia invece quando le persone, pagando le decime, pensano di essere completamente in regola con Dio. Così pure con i sacrifici al tempio, che permettevano a chi aveva peccato, chi aveva frodato, rubato, ecc., di venire riammessi nella comunità. Lo scopo iniziale era quindi di ottenere il perdono: se infatti uno aveva rubato, non solo doveva restituire ciò che aveva sottratto, ma un quinto in più del suo valore a titolo di “dono”, di “sacrificio” a Dio. Gesù allora non se la prende con i sacrifici in quanto tali, ma con coloro che li compivano quasi per “comprare” Dio, e sentirsi a posto con la propria coscienza.
Le leggi poi evolvono, cambiano. Gesù non dice: “Abramo, Mosè e gli antichi, hanno sbagliato”. Loro sono stati importantissimi per il loro tempo: ora però sappiamo cose che una volta non sapevano; ora abbiamo capito che Dio non è più soltanto un giudice che punisce chi sbaglia, ma è soprattutto un padre amoroso; abbiamo capito che Dio non è proprietà esclusiva di qualcuno ma è di tutti; abbiamo capito che Dio è misericordia, compassione, tenerezza anche per le donne, i bambini, gli esclusi, i lebbrosi e i peccatori. Questo “gli antichi” non lo sapevano: e noi oggi non possiamo rimanere stoltamente attaccati alle “loro” regole: le regole sono fatte per l’uomo e non l’uomo per le regole (Mc 2,27). Le regole servono per vivere, ma quando vanno contro la “vita”, non servono più e devono essere semplicemente sostituite da altre.
È successo anche recentemente, ricordate? Una volta le donne non votavano. Poi si è capito il valore della pari dignità tra uomo e donna e allora la regola è cambiata. In Italia la donna vota dal 1946; la prima nazione in cui la donna ha votato è stata la Nuova Zelanda nel 1893. Le leggi cambiano in base all’evoluzione della gente.
Una volta la lingua Liturgica era solo il latino: finché la gente capiva qualcosa, andava tutto bene; quando però non capì più nulla, al punto che durante la messa, mentre il prete faceva le “sue cose”, la gente passava il tempo recitando il rosario, si decise di introdurre anche la lingua “parlata”. Altra legge liturgica era che per fare la comunione bisognava osservare il digiuno stretto dalle ventiquattro ore prima.
Sono tutte regole che andavano bene, che avevano un senso, in un certo tempo. Poi le cose sono cambiate. Anche quelle che oggi sono le nostre regole, domani forse non lo saranno più.
Le leggi evolvono: non dobbiamo quindi attaccare alle regole ma allo spirito che sta dietro alle regole. Soltanto i valori rimangono immutati, durano per sempre; le regole non sono altro che l’applicazione pratica dei valori. Finché ci aiutano, le rispettiamo; quando non ci aiutano più le superiamo e ne facciamo delle altre.
Gesù, dunque, nel “contrapporre” la “sua” legge a quella patriarcale, va oltre: per Lui tutto ciò che è decretato contro l’uomo, è anche contro Dio, e quindi va corretto, va rivisto.
Nessuno può giustificarsi ancora dicendo: “È scritto nella Bibbia, quindi si può fare, è permesso!”. Il primo criterio che uno si deve porre è invece: “Quello che sto facendo è amore? Cosa dice il mio cuore, la mia coscienza?”. La Legge, per esempio, ordina di “non uccidere”, di non procurare la morte; ma l’uccisione non riguarda solo la “morte fisica”, puntualizza Gesù; c’è anche una morte civile, spirituale, che si attua con le parole, con la calunnia, con la maldicenza. L’omicidio verbale talvolta è più crudele, richiede più cattiveria, più falsità, di quello fisico.
Così per l’adulterio: la giustizia legale era “opinabile”, nel senso che difficilmente il marito veniva accusato di infedeltà: quando desiderava un’altra donna, ripudiava tranquillamente la moglie, anche con stupidi pretesti, e si univa legalmente con un’altra donna; la moglie invece non aveva alternative possibili: per sopravvivere era costretta a “risposarsi”, cadendo automaticamente nella qualifica di “adultera”. Allora Gesù dice: “State attenti! Non guardate solo alla forma, alle parole, ai cavilli legali che sono solo a vostro tornaconto. Il vostro relazionarvi sia sempre mosso dall’Amore”.
È l’amore che deve guidare i nostri passi, è l’amore che deve essere l’unico nostro punto di riferimento. L’amore esige mille attenzioni, la fedeltà all’amore è estremamente complessa e variegata: si è infedeli all’amore, per esempio, anche solo non facendo nulla per alimentare l’amore, per tenerlo vivo; siamo infedeli anche quando siamo freddi, distaccati, insensibili, quando umiliamo l’altro; non solo quando lo picchiamo o gli usiamo violenza, ma anche quando più semplicemente non gli apriamo il nostro cuore. L’amore non si esaurisce nell’atto sessuale, è molto, molto di più. Coinvolge l’intera vita comune. Non si può ridurre l’infedeltà matrimoniale al solo tradimento sessuale. Gesù ha una concezione molto più ampia: è “adultero” non solo chi compie l’atto fisico fuori dal matrimonio, ma anche colui che con il cuore, con la mente, si lascia andare a desideri osceni, sconci, indecenti. In proposito Gesù usa un linguaggio paradossale molto forte: “Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo… se è la tua mano, troncala e gettala via da te (Mt 5,29-30)”. L’occhio, nella Bibbia, è simbolo del desiderio, del voler possedere ciò che si vede. La mano è il simbolo dell’azione, del fare, del dare seguito e compimento al desiderio.
In pratica Gesù dice: “Se c’è qualcosa in te che devi cambiare, anche se è difficile, doloroso, devi farlo, devi estirparlo. Perché altrimenti “sei fuori” (“gettato nella Geenna”).
Quando c’è una cosa da fare, dobbiamo farla. È inutile barcamenarci dicendo: “Ma è difficile! Mi fa star male! Cosa dirà la gente? Perderò degli amici?”. Talvolta prendere delle decisioni è come andare dal dentista per sottoporsi ad un intervento doloroso: noi lo eviteremmo ben volentieri, ma non abbiamo alternative: dobbiamo necessariamente passare di là. E allora, anche nel nostro vivere l’amore, dobbiamo “ravvederci”, dobbiamo “convertirci”, dobbiamo cambiare in meglio: per vivere pienamente, per realizzarci, per “volare”, per essere noi stessi, non possiamo rimandare più: facciamolo e basta. Amen.



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