«Non crediate che io sia venuto
ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno
compimento» (Mt 5,17-37).
Abbiamo
detto che il “Discorso della montagna” costituisce la sintesi di tutta la
predicazione di Gesù. Il Vangelo di oggi, di cui è parte essenziale, ci offre
la chiave di lettura, l’autentica interpretazione del suo “nuovo” e
rivoluzionario messaggio, spiegando a chiare lettere la sua stretta connessione
con il pensiero veterotestamentario e con la Legge mosaica.
Di
“nuovo” in pratica non c’è proprio nulla, tant’è che Gesù lo rimarca subito: “Non crediate che io sia venuto ad abolire
la Legge o i Profeti…”. Assolutamente no! Egli non è “contro” la Legge:
anzi si dichiara apertamente a suo favore.
Ma
perché Gesù ha sentito il bisogno di questo chiarimento? Semplice: perché i “custodi
dell’antica Legge”, i dottori della legge e i farisei, vedevano in Gesù un
nemico, uno che non perdeva giorno per condannare, di fronte al grande
pubblico, la loro ottusa interpretazione della Legge e della Scrittura; uno quindi
che doveva essere messo a tacere ad ogni costo: e per questo ogni occasione era
buona per screditarlo proprio con quella popolazione che lo seguiva entusiasta,
vedendo in Lui, finalmente, l’incarnazione messianica tanto attesa, il
restauratore del popolo ebraico.
Non
dobbiamo dimenticare che Gesù è un ebreo: è nato in Palestina, da genitori
ebrei, ha parenti ebrei, vive in una cittadina di soli ebrei. Il concetto
chiave, assorbito con la nascita, era per Lui, come per tutti gli ebrei, l’Alleanza.
Che voleva dire? Che Dio ad un certo punto della storia, aveva scelto il popolo
ebraico come suo prediletto, aiutandolo sempre e in tutto, anche a scapito
degli altri popoli. Unica condizione, unica contropartita, era la fedele
osservanza della Legge che Dio aveva posto a suggello dell’antica Alleanza,
stipulata con il patriarca Abramo. Pertanto, l’osservanza scrupolosissima della
Legge costituiva l’unico elemento qualificante la loro religiosità.
Un’osservanza però che, grazie proprio alle cavillose e ossessive interpretazioni
delle autorità religiose, si era ridotta ad una vuota formalità esteriore.
Gesù, indignato
per tale comportamento fuorviante, con la sua predicazione dice “Basta, così
non si può più andare avanti!”: il rapporto con Dio non si può basare sulla
Legge, sull’Alleanza, sul fatto che “noi siamo ebrei, noi veniamo da Abramo” (Gv 8,33), e poi ognuno si comporta come
più gli piace. Non è più possibile continuare a fare il proprio comodo, giustificandosi
che è “volontà di Dio, parola di Dio” ciò che non c’entra nulla con Dio. Pertanto:
“Se la vostra giustizia non supererà
quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”.
A quel
tempo tutti ormai pensavano: “Se lo dice la Bibbia, se è scritto nella Legge,
allora si può fare!”. Ma Gesù: “No, neppure per sogno! Non bisogna essere
fedeli alla lettera, alle parole, ma allo Spirito. La prima regola non è la
Bibbia ma il cuore. Anche se lo dice la Bibbia, ma è contro il cuore, contro l’amore,
allora è contro Dio”.
È
chiaro allora come mai scribi e farisei fossero tanto furiosi con Gesù, perché le
autorità più intransigenti lo odiassero profondamente.
Gesù però
non è contro la Legge: lo ribadisce oggi. È contro l’interpretazione che di
essa veniva data. Perché fare le cose “legalmente”, significa farle per
“sentirsi in regola”, non certo per amore. L’amore comandato è “obbligo”, non è
amore. L’amore non si può imporre.
Quindi
Gesù non abolisce l’Antica Alleanza, ma la riporta al suo spirito. La conduce dall’esteriorità
all’interiorità, le dà compimento, la fa evolvere dall’antico al nuovo. I suoi
criteri di giudizio pertanto si scostano da quelli di una volta: “Avete inteso che fu detto agli antichi… ma
io vi dico…”. Chi sono questi “antichi”? Non è certo gente qualunque: Mosè,
Abramo, Isacco, Giacobbe; sono i capisaldi della religione ebraica: Gesù, in
realtà, rompe con ciò che tutti consideravano “legge”, con quegli schemi che
tutti davano per scontati. Rompe non con “gli antichi”, ma con l’interpretazione
falsa e stupida che la gente dava degli “antichi”. Questi infatti avevano
creato delle leggi adatte al loro tempo; e lo avevano fatto per dei motivi ben precisi,
per giuste necessità.
La
legge del sabato, ad esempio; una legge che a noi può sembrare stupida: Gesù,
invece, ne capisce benissimo il senso originario: la maggior parte della gente
era dei poveracci che lavorava per i ricchi. Ora, senza questa legge che vietava
il lavoro nel giorno di sabato”, i poveracci sarebbero stati costretti a
lavorare anche in quel giorno. Con la Legge, è Dio stesso che ordina il riposo,
e quindi tutti, ricchi e poveri, devono conformarsi ad essa. Gesù, a questo
punto, non elimina la legge del sabato (il riposo è obbligatorio per tutti), ma
una sua interpretazione troppo legalistica, assurda, fuori dalla realtà: in
pratica cioè Gesù dice: “Se di sabato una pecora ti cade in una fossa, è ovvio
che devi prenderla e tirarla fuori” (Mt
12,11).
Oppure
la legge sulle decime: le somme pagate
dagli ebrei non servivano solo a mantenere il tempio e i suoi funzionari, ma
anche a dare un pasto festivo ai poveri e agli emarginati della società che
altrimenti non avrebbero avuto nulla da mangiare (Dt 14,24-27). Gesù non l’abolisce,
perché sa che pagare “la decima” permetteva a molte persone di sopravvivere. Si
arrabbia invece quando le persone, pagando le decime, pensano di essere completamente
in regola con Dio. Così pure con i sacrifici al tempio, che permettevano a chi
aveva peccato, chi aveva frodato, rubato, ecc., di venire riammessi nella
comunità. Lo scopo iniziale era quindi di ottenere il perdono: se infatti uno aveva
rubato, non solo doveva restituire ciò che aveva sottratto, ma un quinto in più
del suo valore a titolo di “dono”, di “sacrificio” a Dio. Gesù allora non se la
prende con i sacrifici in quanto tali, ma con coloro che li compivano quasi per
“comprare” Dio, e sentirsi a posto con la propria coscienza.
Le
leggi poi evolvono, cambiano. Gesù non dice: “Abramo, Mosè e gli antichi, hanno
sbagliato”. Loro sono stati importantissimi per il loro tempo: ora però sappiamo
cose che una volta non sapevano; ora abbiamo capito che Dio non è più soltanto
un giudice che punisce chi sbaglia, ma è soprattutto un padre amoroso; abbiamo
capito che Dio non è proprietà esclusiva di qualcuno ma è di tutti; abbiamo
capito che Dio è misericordia, compassione, tenerezza anche per le donne, i
bambini, gli esclusi, i lebbrosi e i peccatori. Questo “gli antichi” non lo
sapevano: e noi oggi non possiamo rimanere stoltamente attaccati alle “loro” regole:
le regole sono fatte per l’uomo e non l’uomo per le regole (Mc 2,27). Le regole
servono per vivere, ma quando vanno contro la “vita”, non servono più e devono
essere semplicemente sostituite da altre.
È
successo anche recentemente, ricordate? Una volta le donne non votavano. Poi si
è capito il valore della pari dignità tra uomo e donna e allora la regola è
cambiata. In Italia la donna vota dal 1946; la prima nazione in cui la donna ha
votato è stata la Nuova Zelanda nel 1893. Le leggi cambiano in base all’evoluzione
della gente.
Una
volta la lingua Liturgica era solo il latino: finché la gente capiva qualcosa,
andava tutto bene; quando però non capì più nulla, al punto che durante la
messa, mentre il prete faceva le “sue cose”, la gente passava il tempo recitando
il rosario, si decise di introdurre anche la lingua “parlata”. Altra legge liturgica
era che per fare la comunione bisognava osservare il digiuno stretto dalle ventiquattro
ore prima.
Sono tutte
regole che andavano bene, che avevano un senso, in un certo tempo. Poi le cose
sono cambiate. Anche quelle che oggi sono le nostre regole, domani forse non lo
saranno più.
Le
leggi evolvono: non dobbiamo quindi attaccare alle regole ma allo spirito che
sta dietro alle regole. Soltanto i valori rimangono immutati, durano per
sempre; le regole non sono altro che l’applicazione pratica dei valori. Finché
ci aiutano, le rispettiamo; quando non ci aiutano più le superiamo e ne
facciamo delle altre.
Gesù,
dunque, nel “contrapporre” la “sua” legge a quella patriarcale, va oltre: per Lui
tutto ciò che è decretato contro l’uomo, è anche contro Dio, e quindi va
corretto, va rivisto.
Nessuno
può giustificarsi ancora dicendo: “È scritto nella Bibbia, quindi si può fare,
è permesso!”. Il primo criterio che uno si deve porre è invece: “Quello che sto
facendo è amore? Cosa dice il mio cuore, la mia coscienza?”. La Legge, per
esempio, ordina di “non uccidere”, di non procurare la morte; ma l’uccisione
non riguarda solo la “morte fisica”, puntualizza Gesù; c’è anche una morte
civile, spirituale, che si attua con le parole, con la calunnia, con la
maldicenza. L’omicidio verbale talvolta è più crudele, richiede più cattiveria,
più falsità, di quello fisico.
Così
per l’adulterio: la giustizia legale era “opinabile”, nel senso che
difficilmente il marito veniva accusato di infedeltà: quando desiderava un’altra
donna, ripudiava tranquillamente la moglie, anche con stupidi pretesti, e si
univa legalmente con un’altra donna; la moglie invece non aveva alternative
possibili: per sopravvivere era costretta a “risposarsi”, cadendo
automaticamente nella qualifica di “adultera”. Allora Gesù dice: “State
attenti! Non guardate solo alla forma, alle parole, ai cavilli legali che sono
solo a vostro tornaconto. Il vostro relazionarvi sia sempre mosso dall’Amore”.
È
l’amore che deve guidare i nostri passi, è l’amore che deve essere l’unico nostro
punto di riferimento. L’amore esige mille attenzioni, la fedeltà all’amore è
estremamente complessa e variegata: si è infedeli all’amore, per esempio, anche
solo non facendo nulla per alimentare l’amore, per tenerlo vivo; siamo infedeli
anche quando siamo freddi, distaccati, insensibili, quando umiliamo l’altro;
non solo quando lo picchiamo o gli usiamo violenza, ma anche quando più semplicemente
non gli apriamo il nostro cuore. L’amore non si esaurisce nell’atto sessuale, è
molto, molto di più. Coinvolge l’intera vita comune. Non si può ridurre l’infedeltà
matrimoniale al solo tradimento sessuale. Gesù ha una concezione molto più ampia:
è “adultero” non solo chi compie l’atto fisico fuori dal matrimonio, ma anche colui
che con il cuore, con la mente, si lascia andare a desideri osceni, sconci,
indecenti. In proposito Gesù usa un linguaggio paradossale molto forte: “Se il tuo occhio ti è occasione di
scandalo, cavalo… se è la tua mano, troncala e gettala via da te (Mt 5,29-30)”.
L’occhio, nella Bibbia, è simbolo del desiderio, del voler possedere ciò che si
vede. La mano è il simbolo dell’azione, del fare, del dare seguito e compimento
al desiderio.
In
pratica Gesù dice: “Se c’è qualcosa in te che devi cambiare, anche se è difficile,
doloroso, devi farlo, devi estirparlo. Perché altrimenti “sei fuori” (“gettato
nella Geenna”).
Quando
c’è una cosa da fare, dobbiamo farla. È inutile barcamenarci dicendo: “Ma è
difficile! Mi fa star male! Cosa dirà la gente? Perderò degli amici?”. Talvolta
prendere delle decisioni è come andare dal dentista per sottoporsi ad un
intervento doloroso: noi lo eviteremmo ben volentieri, ma non abbiamo
alternative: dobbiamo necessariamente passare di là. E allora, anche nel nostro
vivere l’amore, dobbiamo “ravvederci”, dobbiamo “convertirci”, dobbiamo cambiare
in meglio: per vivere pienamente, per realizzarci, per “volare”, per essere noi
stessi, non possiamo rimandare più: facciamolo e basta. Amen.
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