«Gesù dalla Galilea venne al Giordano
da Giovanni, per farsi battezzare da lui» (Mt 3,13-17).
Con la
festività di oggi, il Battesimo di Gesù, si conclude il tempo liturgico del
Natale. Domenica prossima entreremo nel Tempo Ordinario che ci porterà fino
alla Quaresima.
Oggi il
vangelo di Matteo annuncia che Gesù, partito dalla Galilea, raggiunge Giovanni
Battista sul fiume Giordano, nel deserto e, come tutti gli altri, si fa battezzare
da lui.
Ma per
quale motivo Gesù va a farsi battezzare? Non certo in quanto peccatore,
bisognoso di conversione. Lo fa invece per essere fedele in tutto alla volontà
del Padre. Inoltre, tra il suo battesimo e quello della gente c’è una
differenza sostanziale: infatti se entrambi richiamano in qualche modo l’idea
di “morte”, quello dei comuni mortali implica il morire sia alla loro vita passata
che a quella presente; il loro morire è propedeutico ad una nuova vita; per
Gesù invece il battesimo annuncia e simboleggia la sua morte futura, una morte non
simbolica ma reale: scendendo nelle acque del Giordano, egli abbraccia e
accetta il suo destino di morte, il suo atto sacrificale estremo offerto al
Padre per la nostra salvezza, per dimostrare pienamente al mondo il Suo volto
d’Amore.
Il Battista
però, che non percepisce questo motivo pilota del comportamento di Gesù, cerca
di impedirglielo, e protesta: “Ma come, sono io che ho bisogno di essere
battezzato da te, e invece sei tu che vieni da me?”. E Gesù: “Lascia fare per ora, poiché conviene che
adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,15).
Una
risposta ermetica. Cosa intende qui Gesù? Dobbiamo prima di tutto risalire al
significato di “giustizia”: questo termine, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento,
è strettamente collegato al termine “fedeltà”, fedeltà all’Alleanza: era “giusto”,
praticava la “giustizia”, l’uomo che era fedele a Dio, al patto di Alleanza che
Egli aveva sancito con il suo popolo e, attraverso di esso, con l’intera
umanità. Se Dio dal canto suo è sempre “giusto”, perché la sua “fedeltà” alle
promesse fatte è eterna, non così è per l’uomo: a lui capita molto spesso e con
estrema disinvoltura, di venir meno alla “giustizia”, di tradire cioè qualunque
impegno preso con Dio. La qualifica di “giusto” di “operatore di giustizia”,
allora, gli spetterà soltanto se risulterà fedele ai suoi impegni con Dio. E
solo allora.
Questo,
in estrema sintesi, è quanto Gesù vuol dire al Battista con le parole “adempiere ogni giustizia”: Gesù, da “giusto”
qual è, si sottomette docilmente alla volontà del Padre: Battista, dal canto
suo, si deve adeguare, anche se ciò gli scombina il suo “credo”.
A questo
punto Matteo, nel descrivere l’adattamento di Giovanni alla volontà di Gesù,
dice letteralmente che “egli lo lasciò”
(in greco “tote afiesin auton”): sono
le identiche parole che egli userà più tardi (Mt 4,11), nel descrivere le
tentazioni di Gesù nel deserto: il demonio, visti inutili i suoi tentativi di
seduzione, “lo lasciò”: appunto “tote
afiesin auton”. Allora qui Matteo non vuol dire tanto che il Battista “acconsentì”
alla richiesta di battezzarlo rivoltagli da Gesù; e neppure che egli “lasciò fare”, come talvolta vengono tradotte
in italiano queste parole: che cioè il Battista, pur non essendo d’accordo, avrebbe
“lasciato correre”, avrebbe “accondisceso” a battezzare Gesù. Matteo qui invece
vuol sottolineare che il Battista, deluso dal comportamento di Gesù completamente
fuori schema, assolutamente contrario alla sua visione messianica, in pratica lo
lasciò, lo abbandonò al suo destino, né più né meno di come farà più tardi il
diavolo stesso.
In
altre parole, avremmo già qui la prima tentazione di Gesù, ossia un invito
pressante rivolto a Gesù (il diavolo in questo caso sarebbe Giovanni), di accantonare
la missione salvifica affidatagli dal Padre, per trasformarla in quel ruolo messianico
che la gente si aspettava da lui: un Messia storico, cioè, immediatamente
riconoscibile da tutti, accolto e acclamato come un coraggioso e vittorioso re
davidico, finalmente giunto per condurre il popolo alla riscossa contro gli
invasori, seminando tragiche rappresaglie e vendette contro i malvagi, contro i
“fuori legge”.
Ma
Gesù non si lascia fuorviare dal “maligno”: Egli è esattamente l’opposto; è
venuto a portare all’umanità diseredata, la salvezza, l’amore, la misericordia
del Padre; Egli combatterà durante la sua missione terrena; combatterà
continuamente e coraggiosamente per estirpare dal popolo questa distorta
immagine del Messia: perché Lui sarà solo ed esclusivamente un Messia d’amore, un
Messia votato al servizio dei più deboli, dei peccatori, .
“Appena battezzato, Gesù uscì
dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio
discendere come una colomba e venire sopra di lui”; si aprì cioè la “dimora” divina
e Dio stesso scese per appoggiare suo Figlio.
Interessante
è il verbo “aprirsi” (in greco eneòkthesan) riferito ai cieli, che fa
un chiaro riferimento al testo di Isaia: “Se
tu squarciassi i cieli e discendessi” (Is 63,19). Perché è interessante?
Perché indica un evento di assoluta novità: a quei tempi infatti si credeva che
Dio, indignato per i peccati dell’umanità, avesse sigillato la sua dimora (i
cieli sono la dimora di Dio), interrompendo ogni comunicazione con il popolo
degenere.
Con la
venuta di Gesù, questa antica convinzione viene decisamente annullata: i cieli si aprono, si “squarciano” addirittura: una autentica garanzia di salvezza per il
futuro, perché d’ora in poi i Cieli rimarranno sempre aperti, al pari di un
contenitore la cui chiusura è stata distrutta, “squarciata”. Dio ha smesso di
offendersi, di isolarsi da noi: anche se noi continueremo testardamente ad
ignorarlo, a tradirlo, Lui non potrà fare altrettanto con noi, la sua
misericordia non lo permette; ci rimarrà invece sempre vicino, pronto ad offrirci
a piene mani il dono supremo del suo Amore. Sempre.
Oggi Dio,
in occasione del battesimo di Gesù, lo rende noto, comprensibile all’umanità
intera; fa cioè vedere a tutti, in concreto, chi Egli sia veramente: un Dio Amore,
un Dio esclusivamente buono; un Dio ansioso di comunicare, di colloquiare con
gli uomini. Un Dio completamente diverso da prima.
Il Dio
della religione mosaica diceva infatti: “Hai ucciso: meriti di morire! Hai
peccato: non Mi meriti! Hai fatto un tragico errore: considerati indegno di Me,
un peccatore imperdonabile: hai tradito la Mia fedeltà; sei fuori dalla mia
dimora!”.
Il Dio
di Gesù dice invece: “Io sono l’Amore. Sono qui per amarti, anche se tu non
vuoi saperne. Non sono qui per terrorizzarti, ma per farti capire che ti amo.
Il mio compito è questo. Vuoi permettermelo? Vuoi accettarlo?”. Una verità, questa
annunciata oggi da Matteo, confermata anche dal quarto vangelo, quello di Giovanni:
“Dio non ha mandato il Figlio nel mondo
per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17).
Allora,
come dobbiamo rispondere noi a questa opportunità, a questa offerta di Dio?
Semplicemente trasformando il nostro battesimo d’acqua, in battesimo dello
Spirito.
Tutti abbiamo
ricevuto il battesimo d’acqua: siamo stati cioè “generati”, ci è stata offerta una
nuova vita: un dono gratuito ricevuto per i meriti di Cristo. Ma ciò non basta.
Non enfatizziamo troppo questo “inizio”: perché il vero battesimo, quello che ci rende veri seguaci di Cristo, è
quello successivo, quello di “fuoco”, quello con cui noi rispondiamo con la
vita, con i fatti, alla chiamata di Dio: quello cioè, con cui ci rigeneriamo, ci
“ricostruiamo”, per ridiventare a sua “immagine e somiglianza”, come Egli ci
aveva chiamati ad essere fin dall’inizio. È il battesimo dello Spirito che ci
renderà infatti testimoni di una nuova vita, risposta d’amore all’Amore, fedeli
fino in fondo a Colui in cui crediamo e che ci “brucia” dentro, che ci appassiona
il cuore oltre ogni umana esperienza.
I grandi
personaggi della Bibbia hanno sempre confermato la loro chiamata iniziale (battesimo
d’acqua) superando cammini tortuosi, prove difficili, viaggi duri, faticosi, durante
i quali Dio li ha forgiati e purificati. Noè, per esempio, ha dovuto costruire
l’arca tra la derisione e lo scherno generale; Abramo ha dovuto affrontare un
lunghissimo viaggio per raggiungere nuove terre, completamente a lui
sconosciute e ostili; Mosè ha dovuto guidare il popolo attraverso il Mar Rosso
e il deserto, per poter raggiungere la terra promessa; Giobbe e Tobia compirono
entrambi dei viaggi molto impegnativi e pericolosi. Gesù stesso si immerge oggi
nel Giordano (Giordano, yared, vuol
dire appunto “immergersi”) ma soprattutto si immerge in questa umanità inquieta
ed irrequieta che, in cambio dei tanti benefici e favori, lo condanna al
patibolo: un’umanità che ancora oggi non cessa di rinnegarlo, di rifiutarlo, di
ucciderlo.
Gesù
dice nel vangelo: “Sono venuto a portare
il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso… Pensate che io sia
venuto a portare la pace sulla terra? No, la divisione... Non sono venuto a
portare la pace ma una spada...”.
Allora
smettiamola di pensare o di credere che per essere veri cristiani basti semplicemente
l’essere battezzati. Quando i media dicono che il 95% degli italiani sono
cristiani, dicono una corbelleria. Sarà la percentuale dei battezzati con l’acqua,
ma non dei cristiani battezzati col fuoco dello Spirito.
La
gente crede ancora che seguire Gesù sia qualcosa di comodo, di tranquillo e di
indolore. Basta qualche pratica, andare alla messa ogni tanto o dire qualche
preghiera.
Ma
seguire Gesù significa “fuoco”. È quella passione che ci brucia dentro, che non
può lasciarci indifferenti di fronte alle ingiustizie, di fronte ad una società
edonista che uccide l’anima degli uomini, di fronte a genitori inconsapevoli
che portano al battesimo i loro figli come fossero delle graziose marionette o
dei burattini con cui divertire la gente.
“Fuoco”
è la passione che ci spinge ad uscire, ad esporci, a non stare zitti. Potremmo
starcene in disparte e farci gli affari nostri; e, invece no, ci buttiamo nella
mischia, rischiando in prima persona.
L’essere
cristiani di “fuoco” significa purificarsi interiormente, bruciare tutto ciò
che c’è di impuro dentro di noi. Solo così ci accorgeremo che noi, e non gli
altri, siamo invidiosi, siamo in rivalità, siamo gelosi. Che noi, e non gli
altri, non amiamo; che noi e non gli altri vogliamo possedere, gestire,
manipolare. Che noi, e non gli altri, abbiamo assoluta necessità di cambiare,
di crescere, di modificare con umiltà la nostra vita.
Non è
facile cambiare. Non è per nulla piacevole vedere certe reazioni dentro di noi.
Per questo seguire Gesù sarà sempre difficile, impegnativo, un lavoro continuo.
Ma sarà entusiasmante, passionale, ardente; ci darà la sensazione di vivere in
profondità, ci farà capire che la nostra vita finalmente ha un senso. Amen.
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