Gesù continua anche oggi la sua catechesi sul comportamento che dobbiamo tenere. Domenica scorsa ci aveva detto che Lui non era venuto per abrogare l’antica legge, ma solo per “completarla”; come? puntando il dito sullo spirito con cui ci poniamo di fronte alle leggi: perché è questo che deve cambiare; quindi niente più esibizionismi, esteriorità, tornaconto, ma solo cuore, amore, altruismo.
Nel vangelo di oggi va oltre, entra nello specifico: ci illustra cioè con raccomandazioni ed esempi, fino a che punto dobbiamo arrivare per essere coerenti con la sua legge dell’amore.
E come al solito Gesù è molto chiaro ed esplicito: “Avete inteso che fu detto agli antichi: occhio per occhio e dente per dente”. Certo, era la legge del “taglione”; una legge brutale, primitiva; una legge discutibile quanto si vuole, ma che almeno riusciva in qualche modo a limitare la vendetta e la selvaggia sopraffazione del più forte, ristabilendo una certa parità.
È chiaro che una legge che cerca di fermare il male, ricorrendo ad altro male, non offre una soluzione valida del problema: soprattutto non risolve di certo il male, semmai lo raddoppia.
Per questo Gesù, a tale prospettiva, contrappone immediatamente (io però vi dico) una nuova economia, la sua, quella dell’amore. In un clima arroventato dalla vendetta, dall’odio, dalla legge del più forte, dall’egoismo, Egli introduce la legge del perdono, della generosità, della comprensione, dell’amore sincero.
“Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. Beh, bisogna riconoscere che sono parole pesanti, incomprensibili per la mentalità di allora e di oggi.
Del resto sono parole che non si trovano in tutto l'Antico Testamento, non si trovano nei Vangeli (solo in Luca e in Matteo), non si trovano nel resto del Nuovo Testamento e neppure nella letteratura ebraica o cristiana. È un comandamento nuovo, unico, è un fulmine a ciel sereno.
Gesù con queste parole vuole stravolgere l'immagine tradizionale di Dio: il Dio che lui rivela all’umanità è un Dio completamente diverso: non è violento, non nutre odio, non è vendicativo. Finora si diceva: Dio è potente perché si fa giustizia, perché punisce, castiga; è “collerico” e si vendica. Ma Gesù intende mettere un punto fermo a questa concezione. In pratica dice: nossignori! Dio non è affatto così. “Il Padre celeste fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti”. Dio non è violento; quindi, cari ebrei, Dio non invierà nessuno a sistemarvi le cose, Dio non verrà a liberarvi, facendo guerra ai romani”. Il Dio dei Patriarchi che scende dall’alto e combatte contro i nemici del “suo” popolo, non c’è più: la grande illusione, l’antica certezza che un giorno le cose sarebbero cambiate per mano di un inviato divino, di un re, di un condottiero che avrebbe fatto delle giuste rappresaglie, deve cadere. “No, Dio non verrà così, perché Dio non è così”.
Quella che Gesù propone, è una mentalità nuova, uno stile nuovo, passivo, remissivo, umile. La sua è una resistenza non violenta, ma altrettanto efficace sia sul piano sociale che personale.
Contro il dramma della tirannia del male, contro una naturale rassegnazione umana, contro il lasciarsi trascinare dagli eventi, Gesù prospetta una nuova soluzione: “Non arrendetevi. Voi dovete insorgere: dovete comportarvi in un modo clamoroso; dovete andare oltre ogni regola e ogni comune aspettativa. Voi dovete amare. Dovete amare spassionatamente. Nessuna tirannia umana può imporre dei limiti al vostro cuore, alla vostra coscienza, al vostro amore; nessuna tirannia può privarvi della vostra dignità di creature di Dio, della vostra libertà interiore. Possono schiavizzarvi nel corpo, ma niente e nessuno potrà mai costringervi dentro, nel vostro intimo, a meno che non siate voi stessi a volerlo”.
“Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”: è questo dunque il succo delle regole e degli esempi che Gesù ci fa nella Parola di oggi. È la sintesi dei suoi insegnamenti.
Così, con il primo, raccomanda: “Non opporti al malvagio”. In altre parole: “per vincere il male dovete combattere soprattutto il male, non la persona che lo compie”. Non dobbiamo disprezzare e non dobbiamo condannare a priori il fratello che, sventuratamente, si comporta male: è già sufficientemente punito dalle sue stesse opere cattive, che lo tengono lontano dall’amore divino: inutile infierire contro un poveretto, infierire contro chi si procura da solo la propria infelicità; non discriminiamo un fratello che, proprio in quanto tale, merita invece la nostra carità, la nostra compassione, il nostro amore. Odiarlo significherebbe abbassarci al suo stesso livello, entrare anche noi nella medesima spirale di violenza che allontana da Dio e rende infelici. Gesù odia il peccato, ma ama i peccatori; dobbiamo fare altrettanto; quando infatti noi odiamo i nostri fratelli peccatori, dimostriamo tutta la nostra fragilità, la nostra dipendenza dal male; dimostriamo cioè di avere anche noi la loro stessa mentalità di peccato. Solo se il nostro cuore è puro, solo se viviamo nell’amore di Dio, possiamo amare con tenerezza il peccatore, possiamo cioè compatirlo (patire-con-lui), condividere cioè il suo dolore, accogliendo sulle nostre spalle il peso del suo fardello, sull’esempio di Cristo, l’Agnello di Dio, che per togliere i peccati del mondo li ha presi su di sé.
In questo senso, non solo non dobbiamo ricambiare male con male, ma dobbiamo essere pronti a sopportare addirittura il doppio di quanto ci viene fatto: “a chi ti schiaffeggia, offri l’altra guancia”.
Colpire con uno schiaffo era abbastanza normale a quel tempo: era il modo di chi stava sopra per umiliare chi stava sotto. Era normale per i padroni colpire gli schiavi e i servi; era normale per i mariti colpire le mogli. Come altrettanto normale e umano, per chi subiva questi affronti, era il provare sentimenti di ribellione, di odio e di vendetta. La vita purtroppo è così: ci ferisce, e ogni ferita provoca in noi due sentimenti tremendi: dolore e collera. Tanto dolore, tanta collera; tanta sofferenza, tanto odio. Se conserviamo l'odio dentro di noi, esso fermenta, diventa rancore, ci inaridisce, ci indurisce la mente e il cuore: noi invece, non possiamo mai correre il pericolo che il rancore uccida il nostro cuore. Per questo Gesù vuole suggerirci: “Guarda negli occhi chi ti percuote e porgigli anche l'altra guancia. Dimostragli cioè che sì, lui ti può punire, può farti del male; può anche sottomettere con la violenza il tuo corpo: ma non potrà mai dominare il tuo cuore”.
Ancora: “ se uno ti vuol portare via la tunica, lasciagli anche il mantello”.
La tunica era il capo d'abbigliamento intimo, che si portava direttamente sul corpo; il mantello, invece, era il capo pesante che si portava al di sopra. La tunica rappresenta quindi l'intimità: “vuoi ferirmi nell'intimità? Ok, puoi farlo; puoi anche prendermi tutto, lasciandomi nudo come un verme, ma non potrai mai privarmi della mia dignità. Non ho nulla da nascondere”. Succede infatti che quando compiamo un errore, quando ci rendiamo conto di aver commesso un’infamia, ci copriamo, facciamo di tutto per nascondere agli altri la nostra vergogna, il nostro peccato; siamo pronti ad indossare qualunque maschera, anche la più fasulla, pur di “coprire” la nostra “nudità” interiore, pur di salvaguardare in qualche modo la nostra immagine esteriore, la nostra rispettabilità di fronte agli uomini; pensiamo di ingannare la nostra coscienza ricorrendo a falsi travestimenti: e non ci rendiamo conto che, così facendo, perdiamo la nostra dignità: se al contrario amiamo, se viviamo uniti a Dio, niente e nessuno può farci temere la nostra “nudità”: perché davanti a Dio siamo sempre nudi, nudi con le nostre sole opere!
“Dà a chi ti chiede”: è la regola aurea per mantenere sempre la nostra integrità morale: poiché “dare” sta esattamente agli antipodi rispetto a “prendere”. Prendere, possedere, è infatti il principio di ogni male. Dare, al contrario, comporta sempre una condivisione. Quando “diamo”, entriamo “in comunione”, stabiliamo cioè col prossimo un intimo rapporto di amore e carità.
Infine, l’ultima raccomandazione: “se uno ti costringe a fare un miglio, tu fanne due”.
Cosa vuol dire? Significa che non dobbiamo adattarci supinamente alle provocazioni della vita (fare un miglio); ma dobbiamo reagire, dobbiamo mantenere sempre il potere della nostra libertà. Dimostriamo al mondo che siamo sempre liberi, anche quando siamo obbligati e costretti.
Insomma, in estrema sintesi, per la vita di tutti i giorni, cosa vuol dirci Gesù con il suo “amate i vostri nemici”? Prima di tutto c’è da dire che Gesù qui fa una netta distinzione tra l'amore e i sentimenti di amore. Mi spiego: Gesù non dice: “Devi sorridere ai tuoi nemici” oppure “devi provare simpatia, considerazione, ammirazione per chi ti odia”, oppure “devi sentire affetto” per i tuoi nemici, per chi ti ha fatto del male o per chi ti ha ferito (nutrire cioè per i nemici questi sentimenti d’amore). Gesù sa che le emozioni, i sentimenti, non si possono comandare. La donna che viene picchiata, come può essere felice di questo? Come può sorridere al marito violento? L'uomo che viene derubato dal socio di lavoro, come può provare affetto e benevolenza per chi gli ha rovinato la vita e l'ha messo “su una strada”? Il bambino che si sente preso in giro, che è vittima di bullismo, come può provare affetto e ammirazione per chi gli fa questo? No - dice Gesù - non si possono provare sentimenti di amore per i nemici.
Gesù però dice un'altra cosa: “Amali anche se sono i tuoi nemici”. Cioè: “Continua a fare il loro bene, continua a fare quello che è bene per la loro salvezza, quello che è il meglio per loro, anche se sono i tuoi nemici”.
E concludo, al riguardo, con una favoletta molto significativa: «Due turisti in mezzo ad una tormenta di neve, intirizziti dal gelo, con la notte ormai incombente, stanno tentando di arrivare al rifugio. Miracolosamente incontrano per strada un uomo del luogo, che invece di aiutarli o di aggregarsi a loro, li deruba e scappa. Proseguendo il loro cammino, ad un tratto, i due sentono delle urla: era il ladro che, scivolato in un crepaccio, si era fratturato una gamba e non potendo più camminare, cercava aiuto. Uno dei due dice: “Ben gli sta! Così impara! Se l'è voluta!”, e tira dritto. L'altro pensa: “Ma come faccio ad andare avanti? Questo qui muore! È vero, mi ha derubato dei soldi ma io non lo deruberò della vita”. E così si ferma, lo tira su, se lo mette sulle spalle e faticosamente, in mezzo alla tormenta, riprende il cammino. Dopo aver marciato per un lungo tratto, improvvisamente si imbatte su qualcosa, immobile per terra: è il suo amico che aveva tirato dritto: era morto di freddo. Lui, invece, sudando per il peso e con il calore dell'altro sulle spalle, era rimasto vivo, e poté raggiungere il rifugio. Il suo nemico fu per lui il suo vero amico»!
Morale della favola: nella nostra “civiltà” odierna tira un’aria così nebbiosa di confusione, che a volte molti si arrogano il diritto di farsi arbitri di ciò che è bene o male, a seconda della loro convenienza personale, travolgendo in questo modo gli eterni valori cristiani, proponendone altri personalizzati, miseri, scadenti, effimeri. È come voler mandare in soffitta la voglia di verità, l’eroismo dell’amore, la bellezza della giustizia. Ebbene: in questo clima di sfacelo morale, noi dobbiamo cercare di fare sempre e comunque del bene a tutti; anche a chi ci fa del male: perché il bene che facciamo, prima o poi, ci ritornerà indietro. Amen.
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