(Lc 17,5-10).
Nel vangelo di oggi gli apostoli chiedono a Gesù di aumentare la loro fede. Il fatto che gli chiedano una cosa del genere, sta ad indicare che nel loro animo sentono il bisogno di crescere, di maturare, di capire; dopo i discorsi fatti da Gesù in precedenza, essi si rendono conto di non aver afferrato il vero senso delle sue parole, di essere ancora terra terra, di avere ancora tantissima strada da fare. Indiscutibilmente una prova di umiltà, la loro. Se anche noi arrivassimo a provare sinceramente una simile necessità, beh, significherebbe che stiamo già a un buon punto del nostro cammino. Sarebbe quanto meno una concreta presa di coscienza dei nostri limiti.
Gesù a tale richiesta, tuttavia, non risponde né sì né no; e non dice neppure cosa dovrebbero, o non dovrebbero fare, per raggiungere una maggior comprensione del suo annuncio; si limita semplicemente a indicare alcune possibilità estreme, realizzabili con una fede veramente autentica: un modo per metterli in condizione di fare da soli delle considerazioni, di fare un'autoverifica sulla portata e l’autenticità della loro fede: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe».
Un granello di senape è veramente poca cosa, è minuscolo, insignificante, quasi invisibile: salvo poi, una volta seminato e messo a dimora, crescere rapidamente a dismisura, per diventare, nell'arco di un solo anno, una pianta alta anche tre o quattro metri. Il gelso, invece, è un albero secolare, che può vivere anche seicento anni; ha radici molto profonde, che si abbarbicano tenacemente nella terra. È un albero molto difficile da sradicare, è simbolo di solidità, di staticità, di inamovibilità. Ora, che un gelso si sradichi dal suo posto e si radichi addirittura nel mare, beh non solo è difficile, ma sicuramente impossibile!
Eppure – dice Gesù – basta una fede minima, purché autentica, sincera, trasparente, per rendere possibile anche l’impossibile.
In altre parole, nessun ostacolo, di qualunque natura, può arrestare il cammino di chi ha un po’ di fede.
Nel vangelo troviamo molti riferimenti sulle possibilità della fede: “Tutto è possibile per chi crede”; “la tua fede ti ha salvato”; “chi ha fede sposta le montagne”; “credete e tutto ciò che chiederete vi sarà dato”, ecc.
Ma come facciamo a misurare la qualità della nostra fede, se abbiamo veramente fiducia in Dio e nella Vita? Semplice: basta guardare a come reagiamo di fronte agli ostacoli che incontriamo.
Abbiamo un problema da affrontare e da risolvere nella nostra vita? Se abbiamo anche un briciolo di fede vera (il granello di senapa!) riusciamo a fare miracoli, anche enormi.
Dobbiamo spostare il “gelso”, l’albero possente, inattaccabile, che ci sbarra la strada? Il primo impatto ovvio è di esclamare: “Impossibile! Non ce la farò mai! È troppo grande”. Ma il gelso, in fin dei conti, altro non è che la nostra paura di cambiare, la paura dell’ignoto, del non sapere cosa ci accadrà poi; il timore di non essere all’altezza, di non avere le forze per reggere; la paura di guardarci dentro; la paura di affrontare quelli che temiamo, quelli che consideriamo superiori; la paura che ci fa mendicare amore per non rimanere soli; la paura di diventare impopolari, di essere derisi per aver fallito il nostro inserimento nella società,; la paura di una malattia improvvisa e mortale...
Ma niente è impossibile, niente insuperabile, niente insopportabile: basta solo un po' di fede. Dobbiamo solo iniziare, darci da fare, metterci in movimento: e poi scopriremo che il nostro iniziale barlume di fede diventerà ben presto enorme (il piccolo seme che diventa un albero rigoglioso) e compirà l'impossibile.
Quante volte ci lamentiamo anche noi con Gesù: “Ho poca fede! Così non ce la faccio, non ci riuscirò mai, aumenta Tu la mia fede!”. E quante volte Lo abbiamo puntualmente sentito nel nostro cuore rassicurarci: “Lo so che ne hai poca, è normale. Fidati di quel poco che hai! Fallo crescere! Nutri quel poco che c'è in te... e vedrai!”.
Aver fede non vuol dire pregare: la fede non sono le “nostre” preghiere. La fede è fiducia, convinzione, certezza, percezione interna di essere amati, di essere degni d'amore, di essere protetti e di avere la forza per affrontare ciò che abbiamo davanti. La fede non è quello che sappiamo ma quello che viviamo, che abbiamo dentro; è il sentimento, la forza, l'energia. Religione e Fede sono due cose completamente diverse: religione è quello che facciamo, l’insieme delle nostre pratiche; la fede invece è la vitalità, l'energia, la passione che mettiamo nel farle. Esattamente come nella vita normale: la religione è il comportamento esteriore, sono i regali, le attenzioni per la persona amata, la cortesia, la galanteria: i fiori, un anello, un invito a cena. La fede è invece l’amore, la forza del sentimento che percepiamo dentro di noi, la passione che nutriamo per lei, il desiderio che ci brucia nel cuore. Tutto chiaro?
Quindi: da come reagiamo di fronte alle piccole cose, come pure davanti alle difficoltà, agli imprevisti, agli ostacoli della vita, possiamo misurare la nostra fede, la nostra fiducia in Dio. Certo, la fede non elimina materialmente i problemi e le difficoltà: ci dà però sicuramente la pace e la serenità per poterli affrontare. L'uomo di fede vive con una fiducia profonda: “Io sono protetto da Dio; Lui è con me. Se Lui è con me, di cosa ho paura? Perché mi devo preoccupare? Perché devo temere?”. In questo modo affronta ogni cosa con una tale energia da riuscire a piegare veramente gli eventi e le situazioni a suo favore.
Il “gelso” però, oltre che le difficoltà materiali, rappresenta anche i nostri schemi mentali malsani, le nostre abitudini distorte, le nostre convinzioni egoistiche; i nostri schemi ci danno sicurezza, sono conosciuti, ci fanno agire in maniera automatica, senza fatica; anche se spesso sono inutili, inconcludenti. Aver fede, in tal caso, vuol dire: “Riconosco i miei automatismi, che mi fanno vivere come un robot, e li rompo”. Spacco, spezzo, cambio le dinamiche automatiche che vivo senza neppure sapere di averle. Mi credo libero e invece sono un manichino che reagisce in maniera predeterminata. Più vivo di automatismi, di pensieri fatti, di idee degli altri, di frasi ricorrenti e preconfezionate, di ciò che fanno e pensano gli altri, più mi immedesimo negli altri, uniformato, adeguato, adattato al sistema; e più sono condizionato, meno padrone di me stesso, meno libero.
Fede, fiducia, vuol dire che le cose si possono fare in maniera diversa. Fede, fiducia, vuol dire che ciò che sembra impossibile si può affrontare.
Attenzione però, perché c’è anche il rovescio di questa medaglia: ed è la “fissazione”, l’esatto contrario di “fede e fiducia”. “Fissazione” è quando, di fronte al mutarsi di una idea, di una situazione, di un comportamento, noi reagiamo sempre allo stesso modo: ci siamo “fissati”, fermati, e non c'è verso di cambiare prospettiva, posizione. “Fissazione” è quando noi stessi siamo il “gelso”, ostinati sulle nostre posizioni, cocciuti e testardi; per paura di cambiare (abbiamo fatto sempre così!), e di ciò che comporta, ci ostiniamo a percorrere la solita strada, quella conosciuta e più facile, anche se senza uscita.
La nostra società è piena di fissazioni. Persone che, quando hanno deciso una cosa, rimane quella per tutta la vita, anche se continuano a sbatterci contro. La fissazione impedisce di crescere in quanto esclude ogni possibilità di trovare strade alternative, più consone alla situazione. Molte persone, in questo modo, si sono create una loro personale realtà. Un'idea sull'amore? l'amore è così. Un'idea su Dio? Dio è così. Un'idea sulla politica? la politica è così. “Questa cosa si fa così e basta”; “quella persona, per quanto possa fare, sarà sempre così, non cambierà mai!” (è una sentenza di morte!).
La fede, al contrario, è innanzitutto elasticità; è non rimanere ancorati, fissati, sclerotizzati nelle rispettive posizioni, idee, schemi. Fede è poter cambiare, poter divenire. Fede è dare nuove possibilità alle persone, è credere nel Dio che le abita. Fede è donare fiducia.
E concludo: abbiamo fede, abbandoniamoci nelle braccia di Dio; ma questa volta facciamolo sul serio, non come siamo soliti fare, per finta, a parole.
Purtroppo abbiamo la brutta abitudine di ricordarci di Dio soltanto quando stiamo con l'acqua alla gola, quando ci accorgiamo di non farcela più; e mettiamo Dio alla prova. Gli diciamo che ci fidiamo di Lui, ma lo facciamo solo apparentemente; sappiamo solo parlare e straparlare, ma non abbiamo la fede e il coraggio di camminare sulle acque, di staccarci dalla riva, andare al largo e raggiungerlo. Eppure Lui ci ascolta sempre, e spesso lo fa anche in maniera così totale e clamorosa da spiazzarci completamente, mettendoci in condizione di dovergli dare delle risposte finalmente coerenti.
A volte la nostra vita è irrequieta, piena di dubbi, di ansie: ma ci guardiamo bene dal ricorrere a Lui con fede, per paura di dover poi cambiare; Lo invochiamo, ma non gli lasciamo nessuna possibilità di agire e di salvarci; lo invochiamo, è vero, ma pretendiamo anche di spiegargli cosa deve fare.
Allora, vogliamo essere veramente suoi discepoli? Mettiamo la nostra vita e la nostra volontà nelle sue mani: ma per davvero, sul serio! Pregando con fede e come si deve.
A questo proposito un prete, in modo scherzoso (ma non troppo), metteva in guardia i suoi parrocchiani: “Non affliggete troppo Dio con le vostre continue lamentele, con le vostre continue preghiere di insoddisfatti cronici; ricordate che l’unico, serio rischio, delle vostre preghiere è che Dio le ascolti; e così l’unica cosa che vi rimane poi da fare, è diventare santi sul serio, con i fatti, non a chiacchiere!”.
Un’ultima provocazione per concludere: non dimentichiamoci mai che, nonostante tutto quello che facciamo, siamo sempre “servi inutili”. In ogni caso. Evitiamo allora di armarci di quel sacro “zelo” così fuori luogo; non imbarchiamoci in “sante crociate”, per le quali siamo completamente inadeguati. Impariamo invece a stare umilmente al nostro posto. Quello che Gesù vuole da noi è che viviamo da uomini di grande fede, che andiamo avanti per la nostra strada con un cuore umile e caritatevole, stracolmo di pace, completamente aperto all’accoglienza dei nostri fratelli. Con gioia, riconoscenza, serenità. Nient’altro. Accantoniamo quindi definitivamente le nostre arie di superiorità, sempre inopportune e commiserevoli, e lasciamo fare a Dio il suo mestiere. Anche perché, detto tra noi, non abbiamo assolutamente nulla da insegnargli. Amen.
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