«Credete che quei Galilei
fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi
dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,1-9).
Nel
vangelo di questa domenica Gesù, nella sua predicazione, fa riferimento a due fatti
di cronaca straordinari avvenuti in quel tempo: l’uccisione da parte di Pilato
di una moltitudine di giudei che si erano recati a Gerusalemme per offrire i
loro sacrifici nel tempio, e la morte accidentale di altre persone coinvolte
nel crollo della “torre di Siloe”. I commenti della gente a tali notizie
rivelano la mentalità predominante di allora, secondo cui le disgrazie, le
malattie, la morte, sarebbero la giusta punizione per delle colpe commesse o
direttamente dai malcapitati oppure dai loro antenati. Ebbene, Gesù sconfessa decisamente
queste convinzioni: “Quelli che sono
morti non erano assolutamente più colpevoli di quanto non lo siate voi!”. Come
a dire: “Non è vero che quei poveretti sono morti per espiare le loro colpe
personali, né tantomeno quelle dei loro antenati; voi, poi, che state bene e siete
illesi, non crediate di essere così fortunati solo perché pensate di essere più
giusti di loro”. In altre parole la sfortuna, le disgrazie, le malattie, i
lutti, insomma tutti gli eventi negativi che la vita ci riserva, non dipendono
in alcun modo dalla volontà di Dio, come castigo per la nostra condotta morale.
Non è questo che Dio vuole; Dio non ce l’ha in modo particolare con noi, non ci
ha preso di mira, non si comporta come se non ne potesse più di noi. Bestemmiamo
gravemente quando ci lasciamo andare ad esclamazioni del genere: “Ma che male
ho fatto io perché Dio mi castighi in questo modo?”. È una esclamazione sbagliata:
eppure, fratelli, quante volte ci siamo espressi e continuiamo ad esprimerci in
questo modo!Gesù oggi ci ricorda che la vita ha una sua logica, una sua libertà, una sua verità.
Non è più un mistero, per esempio, che le stesse malattie sono legate in qualche modo al genere di vita che conduciamo, ai nostri vissuti profondi, ai nostri schemi mentali, ai nostri eccessi: cancro, leucemia, sclerosi, allergie, intolleranze, malattie della pelle e tanto altro ancora, trovano terreno fertile proprio nel modo in cui ci poniamo di fronte alla vita sia materiale che morale. Non sono mai una punizione divina, non sono un “virus” che si prende a caso, un contagio che “se siamo bravi” non ci tocca. Le disgrazie avvengono sempre per una somma di concause, di cui il più delle volte siamo noi stessi l’origine scatenante.
Non è Dio quindi che condiziona la nostra vita. Siamo noi che ce la gestiamo come vogliamo. Siamo noi che decidiamo liberamente di fare o non fare certe cose. Egli, nel suo immenso amore, ci lascia completamente liberi nelle nostre scelte. Di conseguenza ognuno riceverà, quando sarà ora, il premio o il castigo che ha meritato. Ognuno è l’artefice della propria felicità o infelicità: in completa libertà. Dio non sta dietro l’angolo con il pungolo del castigo, pronto ad intervenire ad ogni nostra mossa negativa. Egli al contrario è il padre amoroso che ci segue con amore, disponibile a darci una mano solo se noi glielo chiediamo.
Per cui dell’azione di Dio, ai nostri ragazzi, non dobbiamo inculcare soltanto l’aspetto negativo “errore = castigo; colpa = punizione”, descrivendo Dio come un arcigno giudice, attento e vigile per reprimere anche il più piccolo sgarro: dobbiamo invece preoccuparci di inculcare loro la visione di un Dio che è soprattutto Amore; perché Lui questo solo ci dimostra; Lui ci ama veramente, e chi ama non si diverte a punire, a fare del male, a procurare dolori materiali o morali a quanti ama. Il punto è proprio questo: che noi, al suo amore, dobbiamo rispondere con altrettanto amore; e se noi ricambiamo veramente il suo amore, ci sarà impossibile rinnegarlo, umiliarlo, mancargli di rispetto, addolorarlo conducendo una vita dissoluta.
Con le parole di oggi Gesù, dunque, annulla definitivamente la visione di un Dio vendicatore, sterminatore dei peccatori.
“Pensate che quelli [i morti] fossero più peccatori di voi? No vi dico”.
Immediatamente dopo tale affermazione, però, Gesù sembra affermare il suo contrario: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. Cioè: “se non cambierete vita, farete tutti la stessa fine di quei Giudei”. Cosa vuol dire Gesù con queste parole? Per caso si rimangia tutto quello che aveva detto prima? È una frase intimidatoria? Vuol dire che Dio ci punirà comunque? Assolutamente no: Dio non punisce mai di sua iniziativa. Vuol semplicemente dire: “Fate attenzione, perché di tutto quello che fate, delle scelte operate, siete solo voi i responsabili, e solo voi ne dovrete giustamente sopportare le conseguenze, le ripercussioni; ricordatevi che se fate questo, in cambio avrete quello! Se vivete nel male e non “cambiate vita”, accadrà anche a voi una “morte” simile: non è una condanna la sua; è semplicemente un avvertimento. Vuol ricordarci molto paternamente che siamo noi gli unici responsabili di noi stessi. La vita è nelle nostre mani e nelle nostre scelte. Pertanto, se tutto dipende da noi, dobbiamo stare molto accorti, se abbiamo sbagliato, dobbiamo correre ai ripari. In altre parole dobbiamo “convertirci”.
“Convertirsi”, come ho detto all’inizio della quaresima, vuol dire cambiare direzione (shub in ebraico indica proprio un cambio radicale di rotta): cioè, se stiamo andando in una direzione, e ci accorgiamo che è sbagliata, dobbiamo cambiare strada: dobbiamo convertirci.
Molti dei nostri comportamenti ci portano decisamente a morire dentro... alla superficialità... ad allontanarci sempre più dal nostro cuore e da noi stessi. Il fatto grave è che non ce ne rendiamo conto; e quando poi succede il “colpaccio”, quando il nostro comportamento ci si ritorce contro, ci meravigliamo, non accettiamo la situazione: “Com'è possibile? Come mai è successo questo proprio a me?”. Beh, fratelli, il motivo c’è; solo che noi non l’abbiamo visto o non abbiamo voluto vederlo. Perché allora rimandare ancora? Convertiamoci finché siamo in tempo: convertiamoci, svegliamoci, accorgiamoci, perché verrà il giorno in cui sarà troppo tardi. Non sottovalutiamo i “segni”; non giustifichiamo sempre e comunque i nostri comportamenti. Non perdiamo la nostra lucidità, non offuschiamo la nostra sensibilità.
Non prendiamocela con Dio nei momenti di dolore e di sofferenza: come se Lui non sapesse fare il suo mestiere di Dio! Convertiamoci piuttosto: perché “convertirsi” vuol dire aprire gli occhi, smettere di dormire, accorgersi, farsi aiutare, riconoscere, rendersi conto, vedere ciò che dobbiamo vedere; un atteggiamento che all'inizio può riuscirci molto difficile. Ma solo se vediamo, se riconosciamo, se evitiamo, riusciremo a troncare certe spirali che ci portano a morire dentro e fuori.
“Responsabilità” (da respondeo, rispondere, risposta) vuol dire che noi “rispondiamo” in prima persona della nostra vita, che non deleghiamo, che non scarichiamo le colpe della nostra vita sulla società, sugli altri, sul prossimo, sul mondo, che è “cattivo” e ce l'ha con noi. “Responsabilità” significa accettare che siamo noi al comando dell'auto della nostra vita; e che essa va esattamente nella direzione che noi le diamo.
Il riferimento all’albero del fico infruttuoso, infine, conferma e completa ciò che Gesù vuole insegnarci. Nei vigneti della Palestina questi alberi da frutto sono molto comuni: si piantano, si lasciano crescere; non hanno bisogno di cure particolari; dopo tre anni, iniziano a portare i primi frutti. Ma l'albero della parabola, che ha già sei anni, non ha ancora portato alcun frutto. Per questo il vignaiolo chiede al padrone di pazientare, di consentire quei trattamenti “speciali” che normalmente non si fanno; tenta insomma un'ultima possibilità.
L’allusione è chiara: quel fico della parabola siamo noi. Noi possiamo portare frutto; noi possiamo vivere in maniera feconda, possiamo essere felici, possiamo svilupparci e realizzarci. Noi possiamo farlo tranquillamente: come il fico possiamo crescere e portare frutto. Ma al momento siamo una nullità. Nella parabola, il vignaiolo si prende cura in maniera speciale di questo fico: in questo senso, la vita offre anche a noi dei “trattamenti” speciali, delle occasioni particolari, ci fa incontrare situazioni uniche che ci maturano e ci portano ad essere fertili.
È la stessa vita infatti che in modi diversi, e in certi momenti, offre a tutti la possibilità di portare il loro frutto. Pensiamoci: tutti noi abbiamo avuto degli incontri determinanti; tutti noi abbiamo incontrato persone che ci hanno fatto respirare un'altra aria. Tutti noi abbiamo incrociato qualcuno che ci diceva: “Vieni qui; provaci; dai che ce la puoi fare!”. Tutti noi, ad esempio, abbiamo vissuto esperienze - come la morte di un familiare, di una persona cara; un momento difficile di vita; una sofferenza interiore; una malattia, ecc. - che ci hanno ispirato a cambiare stile di vita. Ebbene: noi cos'abbiamo fatto in tali situazioni? Le abbiamo accolte, oppure come al nostro solito le abbiamo accantonate, disattese, rimandate? Una cosa, fratelli, dobbiamo una buona volta chiarire in noi: che a forza di rinunciare, di posticipare, di rimandare, di tralasciare, di abbandonare, di evitare, arriveremo prima o poi al punto di “non ritorno”; verrà cioè un giorno in cui non potremo più appellarci al “domani”, non potremo fare più nulla: il nostro albero verrà inesorabilmente tagliato, perché dentro è già morto, arido, secco. È così, fratelli: se rifiutiamo qualunque “linfa”, qualunque proposta di Vita, verrà un momento in cui saremo talmente vuoti, talmente interiormente rinsecchiti, così morti nell'anima, così incapaci di guardarci dentro, che qualunque disperato tentativo di rianimazione risulterà vano. Nessuna condanna, nessuna vendetta, nessun castigo da parte di Dio: i responsabili siamo soltanto noi e le nostre scelte: troppo lente, troppo tardive, assolutamente inefficaci.
Che questa nostra quaresima, allora, sia una quaresima straordinaria, fratelli miei: in cui riscoprirci, in cui convertirci, da cui ripartire per raggiungere il Dio di Gesù. Amen.
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