«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Quando sentiamo queste parole del vangelo, il nostro pensiero, come ci è stato insegnato, corre immediatamente all'Eucarestia, al Pane consacrato, alla Comunione. Ma non è stato sempre così: chi ascoltava Gesù non pensava affatto a questo. Nel primo millennio, per esempio, il Corpo del Signore non era l'Eucarestia, ma l'assemblea dei fedeli, gli uomini e le donne radunati in chiesa: retaggio di ciò è rimasta l’incensazione del popolo durante le messe solenni: si incensa cioè Dio, presente nell’altare, nel Vangelo, nel pane consacrato e nelle persone dell'assemblea liturgica. Erano esse il “verum corpus” di Cristo mentre l'eucarestia era detta il “Corpus mysticum”; poi, nei secoli, le cose si sono invertite: l’Eucaristia ha preso il suo significato attuale di “verum corpus” e l’assemblea, la Chiesa, quello di “corpus mysticum”. In particolare, la festa di oggi nasce nel 1264 dal miracolo di Bolsena, a cui dobbiamo il duomo di Orvieto: un sacerdote dubita della presenza reale di Cristo nel Pane e nel Vino consacrati; durante una messa, quando spezza il pane, dalla bianca ostia scorre del sangue che macchia il corporale steso sull’altare (è conservato in un reliquiario nel duomo di Orvieto).Oggi è dunque la festa del Corpo e Sangue del Signore: del Pane e del Vino che, “consacrati” durante la messa, si “transustanziano” (da “trans-substantia”: il passare da una sostanza ad un’altra) in carne e sangue di Cristo. Perché ciò possa avvenire necessitano sempre tre elementi: la materia (pane e vino), il ministro, in questo caso il sacerdote che agisce in “persona Christi”, e infine la forma (ossia le parole pronunciate dal ministro).
Ma oggi è anche la festa, come dicevo, dell’assemblea cristiana, di tutte le persone, di tutta la Chiesa; è la festa di tutti, uomini e donne, è la nostra festa, del nostro corpo, della nostra entità oltre che identità: un’occasione per ricordarci che abbiamo precisi doveri di amore nei confronti di tutte le persone, di tutti questi nostri fratelli.
Ora, amare un pezzo di pane è abbastanza facile: credere che lì ci sia Dio, non ci cambia poi così tanto la vita, non ci comporta particolari e difficili conseguenze. È amare le persone, fratelli miei, che non è assolutamente facile; è amare il nostro prossimo, quello lontano, sconosciuto, magari sporco e maleodorante, vedere in lui e credere che in tutti quei volti c’è veramente Dio, ecco, questo è decisamente impegnativo: perché coinvolge e sconvolge noi e la nostra vita.
Madre Teresa amava dire: “Mi è difficile credere che la gente possa vedere il Corpo di Cristo in un pezzo di pane, e non lo possa vedere nelle persone, negli uomini e nei volti”. Beh, i santi erano profondamente convinti di ciò; essi vedevano Cristo in chiunque incontrassero! Per noi invece non è proprio la stessa cosa. Dire e credere fermamente che in quella persona c’è Dio, che tutte le persone incarnano Dio, un pò ci destabilizza, ci condiziona radicalmente nella nostra vita, nel nostro modo di comportarci.
È vero anche che in certi uomini si può vedere tutto, tranne Dio; in essi Dio non appare, non traspare; ciò non vuol dire però che Dio non ci sia comunque: è magari sepolto, nascosto, ingabbiato, mortificato, travisato, ma lui c’è! Sempre!
Che poi noi siamo fatti di materia (carne) e di spirito (anima) lo sappiamo dai banchi di scuola, è pacifico. Dimostrare però che noi viviamo dello Spirito di Dio, che nobilitiamo la materia carnale con lo Spirito, questo non è automatico, dipende da noi ma ci costa fatica.
Abbiamo detto che di fronte ad ogni “transustanziazione” sono necessari tre elementi: materia forma e ministro. In questo caso la materia è il nostro corpo da spiritualizzare, il ministro siamo noi, ciascuno di noi, la forma sono gli insegnamenti del Vangelo lasciatici da Gesù: ciascuno di noi deve “trasformare” la sostanza carnale del nostro corpo in sostanza “spirituale”.
Possiamo vivere la nostra esistenza, la nostra vita, soltanto materialmente, di lavoro, di cose da fare, di guadagni, di corpo, di divertimenti. In questo caso non c'è nessun passaggio da materiale a spirituale; non abbiamo alcun merito spirituale, Dio in noi è irriconoscibile, non c’è nessuna elevazione, non avviene nessuna “transustanziazione”. Se invece “trasformiamo” la nostra vita, la rendiamo “spirituale”, allora vivremo la dimensione dello spirito, sprigioneando dal nostro cuore tutta l’energia divina che vi abita dentro.
Si, fratelli miei, noi siamo come il sacerdote nella Messa, nell’Eucaristia: perché il pane e vino della Comunione si trasformino veramente nel nostro cuore in Corpo e Sangue di Cristo, dipende esclusivamente da noi: siamo noi i sacerdoti, siamo noi che dobbiamo compiere il miracolo: noi dobbiamo operare questa “transustanziazione”: non basta che riceviamo dentro di noi il Corpo di Cristo; se poi non lo trasformiamo, non lo facciamo diventare veramente tale dentro e fuori di noi, la nostra comunione non servirebbe a nulla, sarebbe incompleta, inefficace, ostacoleremmo la sua stessa grazia; sarebbe come se ci fossimo limitati a mangiare un pezzo di pane qualunque: se dentro di noi non accade niente, non avviene “trasformazione”, noi usciamo dalla Chiesa così come siamo entrati. Non è successo nulla! Capite la grande responsabilità? Dobbiamo “trasformare” quel pezzo di pane, in Cristo: il Divino per eccellenza, la forza dell'universo, l'energia per vivere e far vivere. Per questo in ogni istante dobbiamo essere “sacerdoti” della nostra vita; dobbiamo “trasformare” le nostre giornate, i nostri incontri, ciò che viviamo e facciamo; dobbiamo cogliere la luce dentro ogni cosa, lo spirito racchiuso in ogni evento, il divino nascosto in ogni essere. Dipende da noi!
Noi abbiamo un grande potere sulle persone che incontriamo: le possiamo lasciare “materia” oppure possiamo trasformarle in “spirito”. Dipende da noi. Le lasciamo “materia” se vediamo in loro soltanto un incontro e non una persona, se non ci lasciamo "toccare", se rimaniamo impassibili, insensibili, inaccessibili; le trasformiamo in “spirito” se le facciamo entrare in simbiosi con noi, se ci lasciamo coinvolgere, se ci lasciamo toccare il cuore. Nella nostra vita possiamo fermarci soltanto alle chiacchiere, ai pettegolezzi, soltanto alle parole, alle parole vuote, senza senso... e allora tutto rimane “materia”; dentro di noi non rimane nulla, rimaniamo vuoti; il nostro “spirito” rimane il grande assente. Ma se nel nostro relazionarci, incontriamo lo Spirito dell’altro e gli mettiamo a disposizione lo Spirito che abita in noi, allora non saranno più parole, ma saranno due anime che si incontrano in Dio. Dipende da noi.
Ancora: se nella vita matrimoniale il nostro amore rimane “materia”, solo sesso, la nostra unione non ci darà nulla, non ci arricchirà, perché non c'è incontro, non c'è Spirito, non c'è calore, non c’è umanità “divina”. Ma se trasformiamo il nostro amore in “Spirito”, nella unione di due anime, allora il matrimonio sarà preghiera a Dio, elevazione di una lode all'Altissimo, sarà il canto di due persone pronte a donare a loro volta il soffio della Vita. Dipende da noi.
Così nella vita religiosa, nella vita professionale, nella vita comunitaria, nella società. Se ci fermiamo alla “materia” senza trasformarla in “Spirito”, manchiamo la nostra missione, non realizziamo la nostra vocazione. Siamo dei falliti. Non abbiamo capito nulla. Dipende da noi.
Troppe persone vivono soltanto di “materia”: nascono, lavorano, procreano, si divertono, mangiano, bevono, muoiono. Tutto qui. Non vanno oltre il "corpo", il materiale. Non abbassiamoci anche noi a tanto, fratelli miei. La vita non è questa; non è così, non va sprecata così: la vita è anche e soprattutto “Spirito”, vibrazione, luce, incontro con l'altro, è significato, scopo: la vita, vissuta nello “Spirito” è molto di più della vita stessa, è vivere una Vita ancor più grande, più entusiasmante, impareggiabile. In una parola, è vivere l’incontro con Dio. Dipende da noi.
Abbiamo anche molti pregiudizi da sfatare riguardo al nostro corpo. Ricordo che alla mia Prima Comunione una vecchia suora mi disse: “Non masticare la particola perché fai male a Gesù!”. Mi ha colpito profondamente questa raccomandazione, al punto che ancora oggi mi condiziona. Era peraltro il risultato di una mentalità che per secoli ha tenuto rigorosamente separati “materia” e “spirito”. E si diceva: “Tutto ciò che è materia, ciò che è corpo, che è umano, muore, è indegno, spregevole, negativo, è peccato. Soltanto ciò che è spirito è elevato, sublime. Per far emergere lo spirito dobbiamo umiliare il più possibile la materia”. La “materia”, il corpo, era considerato soltanto un rivestimento, il contenitore, la prigione dello “spirito”: chi desiderava rispondere ad una vocazione religiosa, chi ambiva seguire Cristo, doveva mortificare il suo aspetto materiale, doveva fustigare il proprio corpo, doveva purificarlo, in nome di Dio, da ogni piacere mondano. La via della santità passava attraverso la totale privazione di ogni piacere naturale: per il cibo e le bevande, per le gioie sessuali e l'affetto, per il divertimento e le sane risate. Qualunque debolezza in questo senso, era “peccato”, tutto era opera del demonio.
Poi finalmente si è capito che oltre allo spirito, abbiamo avuto in dono da Dio anche un corpo; inscindibili l’uno dall’altro: non esiste nessun corpo senza spirito, come nessun spirito senza corpo; ogni corpo è anche spirituale come ogni spirito è anche corporeo. Quando stiamo male nel corpo, per esempio, anche lo spirito sta male, soffre; e quando lo spirito sta bene anche il nostro corpo sta bene. Forse non ce ne rendiamo conto ma molte delle nostre malattie corporali sono malattie dell'anima. Possiamo prendere tutti i farmaci che vogliamo, tutti gli antidepressivi in circolazione, ma non ne usciremo mai, perché non è il corpo che è ammalato, ma il nostro spirito. In questo caso il corpo funge da termometro, è il display, la “radiografia” del nostro spirito.
Chi non ama il proprio corpo non ama neppure Dio perché il corpo è l’abitazione di Dio Spirito. Sempre da piccolo sentivo dire: “Il corpo è di Satana”. E invece no, fratelli, il corpo è di Dio. S. Paolo dice appunto che è “tempio dello Spirito Santo”: per questo dobbiamo riconciliarci con il nostro corpo, dobbiamo conoscere e rispettare i suoi ritmi, i suoi limiti e le sue possibilità; dobbiamo amarlo, volergli bene.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia: dal disprezzo pressoché totale di una volta, oggi siamo passati alla più sfrenata esaltazione del corpo umano; la società del consumismo è arrivata ad idolatrare il corpo, e non solo quello femminile. Oggi il corpo viene ostentato, viene pubblicizzato in tutta la sua felina armoniosità; è diventato merce di scambio. Qualunque deformità viene bandita; è diventato oggetto di culto, ma dubito fermamente che tanta ostentazione equivalga ad amare il nostro corpo come ci insegna Gesù, ad amarlo come Lui lo ama. Quando infatti andiamo a fare la Comunione, il ministro ci mostra la particola e dice: “Corpo di Cristo” e noi rispondiamo “Amen; è vero, è così! Questo che sto per mangiare è veramente il Corpo di Cristo”. In quello stesso istante, dovremmo sentire anche il nostro cuore dire: “Signore, questo è il mio di corpo, te lo offro umilmente come abitazione, entra tranquillo” e Gesù rispondere: “Amen; Lo so, va bene, tranquillo, farò così!”. Perché l’Eucaristia, fratelli, è un piacere ed un onore reciproco. Un piacere nostro e di Dio. Dio non si vergogna di venire dentro il nostro corpo, anzi non solo si degna di entrare nella nostra casa, ma viene per amarla; viene perché è felice d'incontrarci; viene per diventare un tutt'uno con noi, Corpo nel corpo; ma, e questo è molto importante, viene anche perché in questo tempo egli ha bisogno del nostro corpo; il nostro corpo gli serve, ad ogni costo: per muoversi in questo mondo, per poter fare, operare, per poter parlare; perché, fratelli miei, noi siamo la sua voce, il suo viso, le sue braccia, le sue gambe, il suo cuore. E scusate se è poco! Almeno ci faccia capire meglio quanto sia importante il “santificare” il nostro corpo. Ci faccia essere più prudenti, più attenti a non esporre volutamente il nostro corpo al male e al peccato.
E un’ultima considerazione (scusate i miei troppi voli pindarici): chissà se capita anche a voi di chiedervi perché Gesù, invece del suo "corpo", non ci invita a mangiare e a nutrirci della sua santità e giustizia? perché non ci dice di bere la sua innocenza e mitezza? perché non ci dice di prendere forza dalla sua potenza divina? Invece ci dice soltanto: “Prendete e mangiate la mia carne!” Vi rendete conto, fratelli? Sembra incredibile! Gesù, il Dio onnipotente, ci lascia in eredità la debolezza, la fragilità del suo corpo umano! Avrebbe potuto scegliere mille altri modi per rimanere con noi: avrebbe potuto lasciarci un segno straordinario della sua potenza e della sua gloria, evidente e definitivo, quanto meno per rassicurare la nostra fede sempre traballante. Avrebbe potuto... E invece no! Gesù ha scelto di rimanere in mezzo a noi con il suo corpo, la sua storia, la sua vita appassionata d'amore, il suo Volto, trasparenza di quello del Padre.
Mangiare la carne e bere il sangue del Signore significa pertanto nutrirsi del cuore incandescente dell'Amore, significa assimilare la linfa di quella vita più forte della morte, significa scoprire che Dio ci è più intimo di quanto noi lo siamo con noi stessi.
Mangiare e bere di Lui è scoprire che solo Lui sfama e disseta le nostre inquietudini, che solo Lui può dare forza e orientamento alla nostra vita, che solo Lui sa riempire di bellezza la nostra quotidianità. Nutrirci di Lui significa infine dire il nostro “Sì” di totale adesione al suo progetto universale di vita e di Amore.
Preghiamo allora, fratelli miei, per la nostra conversione, perché ogni discepolo si apra allo stupore e all’amore dell’Eucaristia, perché ogni prete, ogni cristiano, che agisce nel Suo nome, diventi trasparenza di Dio. Preghiamo perché nessuno svilisca, “cosifichi”, invalidi, l'Eucarestia domenicale; ma che essa sia una forza dirompente all'interno della nostra settimana, un salubre pungolo per diventare discepoli sempre più autentici e veri, sempre più consapevoli dell'immensità di Dio. Non spegniamo mai, fratelli, lo Spirito che è in noi, lasciamo invece che la Sua grazia ci raggiunga e ci cambi radicalmente. Amen!
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