lunedì 5 luglio 2010

4 Luglio 2010 - XIV Domenica del Tempo Ordinario

Dio ha un sogno: svelare ad ogni uomo il tesoro nascosto nel campo, far scoprire ad ogni persona la propria dignità, il proprio carisma da mettere a servizio del Regno, manifestarsi ad ognuno come il Dio della misericordia e della consolazione. Dio non vuole salvare il mondo senza di noi, non ci tratta come burattini, vuole, desidera, chiede al nuovo Israele, ai settantadue discepoli protagonisti del Vangelo di oggi, a noi, di diventare suoi discepoli, narratori di Dio. Il Signore ci chiede di costruire la Chiesa senza fanatismi, senza scorciatoie o nostalgie, cercando una piena e matura umanità.
Dovrebbe essere una cosa chiara per tutti, ma così non è.
Quando si parla di "Chiesa", spontaneamente la stragrande maggioranza di noi pensa al proprio parroco, o al Papa, o ai Vescovi o più in generale ai preti. Questa distinzione tra cristiani di prima (il clero) e cristiani di seconda classe (i fedeli) è durissima a morire e non è bastato un Concilio per farci entrare nella corretta prospettiva biblica: ogni discepolo fa parte della Chiesa, e ad ognuno è affidato il Vangelo da vivere e da annunciare, secondo il proprio carisma e il proprio ministero.
La Chiesa è unica, e nell'unica Chiesa ci sono fratelli chiamati a costruire comunità, altri a conservare il deposito della fede, altri a manifestare in coppia l'amore che Cristo ha per la Chiesa, altri a vivere la continenza per il Regno. Ma ad ognuno, lo ripeto, è affidato l'annuncio.
I nostri paesi di tradizione cristiana rischiano di sedersi sugli allori, di confondere la cultura cristiana con l'appartenenza a Cristo. È bello che il nostro paese senta ancora una forte appartenenza ai valori cristiani (almeno a certi valori), ma questo non significa incontrare Dio.
Quant'è difficile, fratelli, annunciare Cristo ai cristiani! Sanno già tutto!
Ma chi deve annunciare la speranza del Vangelo all'ottanta per cento dei battezzati che non celebra la presenza del Risorto ogni settimana? Chi deve consolare, scuotere, incoraggiare, ascoltare i tantissimi che credono di credere? Io, tu, fratello che leggi, noi tutti! Senza distinzione.
Questa è la sfida che ci aspetta: far uscire Dio dalle chiese, riportarlo là dove aveva deciso di vivere, tra la gente. Strapparlo dagli angusti abiti del sacro in cui l'abbiamo relegato, per farlo tornare in quella umanità che aveva deciso di assumere. Gesù ci indica con precisione lo stile e la modalità di questo annuncio, lo stile da assumere.
I discepoli sono mandati a due a due, precedendo il Signore.
Non dobbiamo convertire nessuno: è Dio che converte, è lui che abita i cuori. A noi, il compito di preparargli soltanto la strada. In coppia veniamo mandati: l'annuncio non è atteggiamento carismatico del singolo, di qualche guru, ma dimensione di una comunità che si costruisce, che fatica nello stare insieme. L'annuncio è fecondato dalla preghiera: perché non diventare silenziosi operatori di bene, seminando benedizioni e preghiere segrete là dove lavoriamo? Affidando invece al Signore il compito di giudicare?
Il Signore ci chiede di andare senza troppi mezzi, usando gli strumenti sempre e solo come strumenti, andando all'essenziale. Il Signore ci chiede di portare la pace, di essere persone tolleranti, pacificate. Nessuno può portare Dio con la supponenza e la forza, l'arroganza dell'annuncio ci allontana da Dio in maniera definitiva.
Infine il Signore ci chiede di restare, di dimorare, di condividere con autenticità. Noi non siamo diversi, non siamo a parte: la fatica, l'ansia, i dubbi, le gioie e le speranze dei nostri fratelli sono proprio le nostre, esattamente le nostre.
È faticoso e crocifiggente, lo sappiamo bene. Lo sa anche Paolo che, pur convertendo il bacino del Mediterraneo, sente tutto il limite del suo carattere. Ma, come Isaia, siamo chiamati a incoraggiare gli esiliati di ritorno da Babilonia, a volare alto, a sognare in grande, a costruire il sogno di Dio che è la Chiesa.
E pazienza per i risultati che mancano: è un'epoca di profezia, la nostra. Smettiamola di restare impantanati nella routine, superiamo le paure del mondo, non valutiamo i risultati come un'azienda del sacro: e gioiamo fratelli cari, perché i nostri nomi saranno scritti nei cieli: e Dio ha già colmato i nostri cuori, affidandoci il Regno. Amen!

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