venerdì 6 novembre 2009

8 Novembre 2009 - XXXII Domenica del Tempo Ordinario

Gesù si trova nel tempio. E Gesù guarda, osserva, quello che accade.
Perché guardando si può vedere; se uno ha gli occhi aperti vede un sacco di cose.
La gente vede gli scribi e dice: "Ma che santi, ma che religiosi, ma che bravi!". Gesù dirà: "Falsi, ipocriti!". La gente vede una povera vedova e dice: "Che donna da poco". Gesù dirà: "Qui c'è la vita, qui c'è il tutto".
E ai discepoli proprio per questo dirà: "State attenti, guardatevi bene dal non farvi ingannare dalle apparenze". "Gli scribi amano passeggiare in lunghe vesti". Al tempo di Gesù tutti portavano il tallit ma gli scribi lo portavano ampio, lungo e sontuoso. Tutti potevano notare e ammirare il loro vestito. Se portavano un vestito così voleva dire che se lo potevano permettere, voleva dire che erano di alto grado sociale. Ciò che portavano era un modo per esibire chi erano. Il loro vestire determinava il grado sociale; quando camminavano erano ammirati, riconosciuti, la gente comune provava un senso di sudditanza nei loro confronti. Nelle sinagoghe avevano un posto riservato, un posto d'onore, che dava le spalle all'armadio sacro e di fronte a tutta l'assemblea.
Nelle feste e nei banchetti erano a capotavola, nei posti più avanti e più vicini al festeggiato.
Uomini come gli scribi faranno di tutto per non perdere la loro immagine perché altrimenti dovrebbero fare l'amara scoperta che dietro c'è il nulla, che non c'è personalità. Sono uomini di cartapesta. Sono come un regalo confezionato meravigliosamente: carta, fiocco, nastrino, busta, ma dentro non c'è il regalo! Per cui uomini così sono di una resistenza incredibile: non cambiano, non si mettono veramente in gioco, mai.
Ma essere individui veri non vuol dire essere fuori, sopra gli altri, ma differenziarsi, essere unici. Gli scribi, come i personaggi famosi, parlavano delle loro imprese: leggevano la Torah, osservavano tutte le leggi, erano scrupolosi in tutto, pregavano più volte al giorno. Ma non c'era la Vita in loro.
Essere vivi vuol dire che gli occhi sono luminosi, che i sentimenti fluiscono, che ci si ascolta con interesse, che ciò che si dice ha un senso e non è banale; che c'è spazio per sé e per l'altro, che ci sente bene a stare con queste persone; che non si ha bisogno di attaccare, né di difendersi, né di elevarsi o di umiliarsi; che si è persone vibranti e che si sa ciò che si vuole e ciò che non si vuole.
Chi non può avere successo si eleva giudicando. Giudicare è un modo per abbassare gli altri, per ridurli alle proprie dimensioni. Siccome vorrei il successo ma non ne sono capace, mi elevo sopra gli altri non mettendomi sopra (non ne sono capace) ma mettendo sotto loro: li giudico.
L'egoista (lo scriba, il narcisista) non è nient’altro che un poveraccio che si preoccupa soltanto della sua immagine: "Cosa si dirà in paese? Cosa si dirà in giro? Cosa si pensa di me? Piaccio?".
L'uomo di fede si interessa della vita. L'egoista crede nella magia dell'immagine e del buon nome; l'unica sua preoccupazione non è per sé, per sviluppare la Vita, il Dio che ha dentro, ma per accrescere il suo potere e avere effetto e successo negli altri. L'uomo di fede, invece, crede in sé e nella vita dello spirito che lo abita dentro. La sua preoccupazione non è risultare gradito ma sviluppare il divino e lo spirito che lo abita.
Agli scribi Gesù dirà: "Guai a voi, Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume… "
Gli scribi erano gli esperti della Scrittura, della Bibbia, di Dio. Essi parlavano un sacco di Dio. Avevano Dio sempre nella bocca ma non nel loro cuore. Lo conoscevano benissimo con la mente ma erano totalmente ignoranti nella conoscenza del cuore. Dio non era più un'esperienza, un incontro, ma diventava scienza della religione, qualcosa che si poteva imparare a memoria o applicare. Se poi pagavi avevi assicurata la benevolenza di Dio.
Tu puoi sapere tutto di Dio, rispettare tutte le regole formali e andare a messa tutte le domeniche e confessarti ogni mese, ma se il nome di Gesù non ti fa sussultare l'anima e le sue parole non ti fanno vibrare le corde del tuo cuore; se il suo nome non ti instilla desiderio di verità e di ricerca e non ti "prende", appassiona l'anima per questa vita, a che ti serve tutto quello che sai?
Questo faceva imbestialire Gesù: sapevano tutto di Dio ma non avevano Dio.
Per questo Gesù definirà questi uomini religiosi come degli eretici, senza fede, vipere, falsi e ingannatori.
Nauseato, irritato da essi, Gesù si va a sedere vicino alla cassetta delle offerte posta all'ingresso del tempio. E da li osserva la vedova.
Se non fosse stato per lo sguardo di Gesù, nessuno mai avrebbe saputo di questa donna.
Essere vedova, voleva dire non avere sostentamento né reddito: vivere di elemosina, di carità, di quello che altri davano. Le vedove vivevano mendicando. Non avevano niente di niente se non due tre figli da nutrire e sempre affamati.
E' probabile che quei due spiccioli non fossero altro che il frutto della sua giornata di elemosina. Quella donna, allora, agli occhi superficiali dona poco, anzi qualcosa che può far sorridere, un'inezia. Ma ad occhi attenti quella donna dona proprio tutto quello che ha, tutto di tutto.
Dio non vuole mai qualcosa di noi ma tutto di noi.
Dio non vuole cose da noi; vuole noi. Dio vuole stare al centro della nostra vita. Non vuole qualcosa di noi vuole tutto di noi. Dio vuole che noi, per Lui, ci mettiamo in gioco del tutto. Vuole che per Lui noi cambiamo il nostro modo di pensare, di relazionarci, di amare, di vivere, di concepire la nostra fede, che diamo ordine diverso alle nostre priorità.
Tu puoi dare dei soldi per i bambini che soffrono e che muoiono di fame. Molto bene. Ma prenderne uno a casa tua o sentire la sofferenza del loro cuore ti cambia la vita. Tu puoi dare un po' di tempo alla preghiera ma affidarsi a Lui, lasciare che Lui ti trasformi, ti porti dove Lui vuole e tu non vorresti, ti cambia la vita. Tu puoi offrire un po' di disponibilità per gli altri ed è buono, molto buono. Ma cambiare dentro perché gli altri si sentano più compresi da te, perché il tuo amore sia più libero e più vero oppure farne dono per la verità, per la giustizia, perché questo mondo sia più umano, questo ti cambia la vita.
Noi spesso giochiamo con Dio ma Lui, invece, ci chiede di giocarci per Lui. Noi vogliamo che Lui ci sia nella nostra vita ma che non interferisca con le nostre scelte, che non ci sia d'intralcio ma soprattutto che non ci faccia vedere qualcosa che non vorremmo vedere e che non ci chieda di cambiare o di mettere in gioco qualcosa per cui soffriremmo. Magari lo vogliamo tanto, ma volerlo del tutto è su di un altro piano. Solamente chi si da del tutto avrà il Tutto.
Quello che per gli altri era insignificante, banale senza valore, non lo era per Lui.
Tutto risplende nella sua luce! Solo agli occhi di Dio può risaltare, risplendere, l'intensità e il dono di persone povere e umili. Gesù non si scelse i sacerdoti, né i ricchi del tempo, né i sapienti del tempo. Gesù si scelse persone intellettualmente povere, a volte dure e ostinate (vedi Pietro). I dottori, i sapienti, gli scribi, si saranno messi a ridere vedendo quali discepoli si era scelti il Maestro! Ma lui vedeva dentro: forse avevano poco, ma quelle persone erano capaci di dare tutto il poco che avevano.
Non serve chiedersi quanto uno ha, ma quanto può dare. Perché tutto risplende nella tua luce, Signore. Tutto risplende nella tua luce perché tu vedi oltre il poco o il tanto.
Tutto risplende nella luce tua perché il mio buio può essere luce ai tuoi occhi, la mia povertà ricchezza e il mio poco un tesoro inestimabile.
Il tanto di uno è nulla sotto la tua luce. E il niente di un altro è invece tutto.
Perché nella tua luce tutto risplende, tutto ha un significato. Amen.

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