giovedì 24 gennaio 2008

27 Gennaio 2008 - III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Il Dio dei confini
Dopo una lunga preparazione, durata più di trent'anni, Gesù incomincia la sua missione pubblica.
E inizia con piglio, con sfida. Quando incarcerano Giovanni Battista, Lui riprende le stesse parole che Erode aveva fatto tacere: “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino”.
Queste prime mosse svelano lo stile di un uomo, il senso di una missione. La scelta del luogo, le parole e i gesti di guarigione che compie, la chiamata dei primi discepoli mostrano un Gesù ben consapevole di quel che vuole, già con un progetto preciso in testa: “predicava la buona novella del Regno”.
Gesù lascia Nazaret per stabilirsi a Cafarnao. Cafarnao è la piazza più battuta di tutta la regione. Si trova sulla famosa “Via maris”, strada internazionale principale che collegava Damasco - capolinea di tutte le piste del deserto e della Mesopotamia - con Cesarea Marittima, porto d'attracco di tutti i commerci del Mediterraneo e transito obbligato per giungere in Egitto. Qui c'è una dogana, perché confine di Stato dove tutti si fermano, e una guarnigione militare romana. E' il centro commerciale del mondo pagano, dove regnano chiasso, confusione, disordine. È nel territorio di Zabulon e di Neftali, nella “galilea”, ossia nella regione dei pagani.
Viene subito indicato il perché di tale scelta: “Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata”. Finalmente su tutti gli uomini - anche sui pagani - spunta la luce della salvezza promessa da Dio. Poiché l'antico Israele non ha saputo riconoscerla - “Venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto” (Gv 1,11) - la Buona Novella sarà rivolta ad un popolo che la sappia accogliere. Già i Magi ne erano stati il simbolo. “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Ognuno ora è chiamato: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tim 2,4). La fede è un dono gratuito, dato a tutti, sufficiente ed efficace per la salvezza.
É offerta di vita, quella del Regno. È riscatto da una schiavitù, quella del male, della morte e del peccato: “Poiché tu, come al tempo di Madian, hai spezzato il giogo che l'opprimeva, la sbarra che gravava le sue spalle e il bastone del suo aguzzino”. Gesù pone i primi segni di tale liberazione proprio nei miracoli di guarigioni: “Percorreva tutta la Galilea curando ogni sorta di malattie e infermità nel popolo”. “Passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo” (At 10,38).”Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia”. Il Regno è la signoria di Dio sul male e sulla morte, è la signoria del Dio della vita, di questo Dio amante dell'uomo, “la cui gloria è l'uomo vivente” (sant'Ireneo), la cui passione cioè è la pienezza di vita per l'uomo.
Ma a questa proposta di Dio l'uomo è chiamato a rispondere, deve aderire al Regno.
“Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: CONVERTITEVI”. É la prima parola: metanoèite!
Si tratta cioè di cambiare testa, cambiare direzione, cambiare riferimento, aprirsi alla novità, aprirsi alla salvezza, aderire al progetto di umanità che Dio ci propone, perché il vostro progetto - ci dice Gesù - è fallito! Voi uomini avete come sfigurato l'immagine di Dio che è in voi, annebbiata l'identità dell'uomo così come era uscita dalla mano del Creatore. C'è bisogno di restauro, di una riformulazione più precisa di ciò che è veramente e profondamente umano, e di una ricostruzione. Gesù ebbe a dire un giorno: “Da principio non era così ..!” (Mt 19,8). Qualcosa s'è rotto. Va riaggiustato. L'inizio del Regno è inizio d'umanità autentica, è inizio dell'unico vero umanesimo per la riuscita d'ogni uomo.
Seconda parola: “SEGUITEMI”. Il Regno è una convocazione diretta, una chiamata da parte di Dio: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16). E' Dio in persona che ti invita e richiede la tua adesione. Non per qualcosa di alternativo a te, ma per te e con te per una tua storia diversa. Ciascuno certo ha qualcosa da lasciare, cui rinunciare (affetti sbagliati, situazioni negative ..), ma per una libertà maggiore aperta ad un'opera più grande.
Ecco la terza parola: “VI FARO' PESCATORI DI UOMINI”. E' una missione che dilata la vita, che fa compiere un salto di qualità, aprendo nuove prospettive: essere costruttori di una umanità nuova, operai diretti di quella storia unica, grande, definitiva che è il Regno di Dio, l'inizio di quei “cieli nuovi e terra nuova” nei quali si consuma tutto il cammino dell'umanità e del cosmo. Chiamati quindi a dare finalità e motivazione diversa al proprio operare quotidiano. Ciascuno certo per un suo ruolo specifico e diverso entro il popolo di Dio, ma tutti per una impresa comune che esalta e riscatta la propria attività quotidiana sempre bruciata dalla insoddisfazione e dall'inefficacia. Questo è l'essere cristiano: l'umano con l'innesto del divino, il tempo nell'eterno, .. o anche: la professione elevata a missione. Quei primi quattro discepoli, da modesti e anonimi pescatori del mare di Galilea sono diventati le colonne di un edificio che si protende nell'eternità.

Da discepoli incontro al mondo
Gesù dunque inizia la sua predicazione, dai confini della storia, da un angolo di terra emarginato e guardato con diffidenza.
Dio è sempre così, preferisce gli indisciplinati ai bravi ragazzi, invita i primi della classe ad uscire e a darsi da fare, obbliga chi lo segue ad andare verso le inquiete frontiere della storia, piuttosto che serrare i recinti delle false certezze della fede. Dio è così, ama il rischio, vuole sporcarsi le mani, parte ad annunciare il Regno là dove nessuno lo aspetta, né lo desidera.
Si, fratelli: è così che possono e devono diventare le nostre comunità cristiane, capaci di uscire dalle chiese per ridare Dio al popolo, per condividere con esso il cammino.
Gesù sceglie di abitare e di condividere tutto con questi abitanti del “confine”; porta loro la luce, dona testimonianza. La nostra fede deve uscire dalle nostre chiese; Dio è stanco di essere venerato nei tabernacoli (quando lo è!) e di non riuscire ad entrare nelle nostre quotidianità; è stufo di essere tirato in ballo nei momenti “sacri” ed essere estromesso dai luoghi usuali della nostra vita, dai luoghi del lavoro, dell'economia, della politica, del divertimento. Il movimento della comunità è l'incontro nella lode, per diventare capaci di dire Cristo nel quotidiano, nel vissuto, nel vero di ciascuno.
E l'annuncio è bruciante: “convertitevi perché il Regno si è fatto vicino”. Sì, così scrive Matteo: è il Regno ad essersi avvicinato, è lui, Dio, che prende l'iniziativa; a noi di accorgerci, di girare lo sguardo (convertirsi, appunto) immedesimandoci in Lui. Dio non esordisce con qualche reprimenda morale, con qualche sensato discorso teso a suscitare pentimento e cambiamento di condotta. Lui, lui per primo si offre, si dona, rischia. Dice: “io ti sono vicino, non te ne accorgi?”. Accorgersi significa davvero mollare tutto, lasciar andare i molti affari, le molte cose, per recuperare l'essenziale, come Pietro, come Andrea, che diventano – finalmente – pescatori di uomini. Il Regno è la consapevolezza della presenza entusiasmante e sorridente di Dio. Il Regno è là dove Dio regna, dove lui è al centro. E la Chiesa, comunità di chiamati e di discepoli appartiene al regno anche se non lo esaurisce.
A Zabulon e Neftali siamo chiamati a dire: “Dio ti è vicino”. Non perché c'è un qualche merito, ma solo per il cuore largo di Dio che viene.
Calma, fratelli, calma discepoli che prestate un difficile servizio ecclesiale con i ragazzi o con le coppie, tranquilli voi che vi giocate nel sociale, là dove l'uomo è meno uomo e dove il dolore domina: il Regno, Lui, si avvicina. Non dobbiamo salvare il mondo, fratelli: il mondo è già salvo! È che non lo sa. E vive nella disperazione. A noi di renderlo presente, questo Regno, a noi di vivere da salvati, a noi di diventare divulgatori del Regno, farne pubblicità, vivere nella luce, in mezzo alle tenebre che avvolgono Neftali e Zabulon.
Per annunciare che il Regno è vicino, Dio ha bisogno di noi, proprio là dove siamo. Chiamati a fare esperienza di fraternità (la parola “fratello” viene ripetuta quattro volte in tre versetti!), possiamo lasciare le reti che ci trattengono (paure, affari, logica mondana) per diventare pescatori di uomini e di umanità. Siamo chiamati a tirar fuori da noi stessi e dagli altri tutta l'umanità che Dio ha seminato nei nostri cuori.
I cristiani non sono a parte, hanno lasciato uscire dal loro cuore l'aspetto più autentico dell'uomo. E ogni uomo è chiamato a fare questa esperienza di comunione e di autentica umanità.
Capiamo allora l'energica protesta di Paolo (e poi ci lamentiamo del brutto carattere di certi cristiani!), che ammonisce le sue comunità a non smembrarsi in maniacali seguaci di questo o quello cammino di spiritualità... Ogni esperienza (movimento, parrocchia, cammino di perfezione) è solo uno strumento e non “esaurisce” il Regno, il Regno è oltre, cominciamo a farne parte convinta come comunità, che va già bene...
Lasciamo le reti che ci trattengono, i pregiudizi e le paure che ci tengono legati, le incomprensioni e le fisime personali che ci impediscono di essere e raccontare il Regno: e coraggio, perché sono ben altre e migliori le cose ci aspettano da fare!

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