Dio ci viene incontro
Gesù è nato in noi, piccolo neonato da far crescere ed accudire; come Maria e Giuseppe lo abbiamo accolto; come i pastori, emarginati del tempo, abbiamo udito la notizia che egli è nato per noi; come i Magi, atei cercatori di verità, ci siamo messi in cammino.
Ora, finita la breve e intensa parentesi di Natale, vogliamo far crescere quel Battesimo che abbiamo ricevuto e che ci ha permesso di essere abitati dal Mistero di Dio.
Prima di riprendere la riflessione del pubblicano Levi, ci concediamo una parentesi teologica tratta da Giovanni. È l'occasione per meditare sulla splendida figura del Battista, che ora si mette da parte, non prima di avere dato un'ultima bruciante testimonianza su Gesù il Messia, che egli ha atteso e riconosciuto.
Giovanni Battista vede Gesù "venire verso di lui" (1,29): è Dio che prende l'iniziativa, è lui che viene incontro, è lui che muove i primi passi, sempre.
Eppure il Battista stenta a riconoscerlo. Sono parenti, lui e Gesù, e quindi Giovanni lo conosce, ma lo vede con occhi diversi, con i suoi occhi consueti, abituali; il segno del Battesimo lo spinge invece a capire, lo obbliga a riconoscere il Figlio bene-amato, nel quale il Padre si compiace; anzi: questo riconoscimento permane, come abbiamo visto nella terza di Avvento, quando il Battista in carcere è invitato a non scoraggiarsi, a non aspettare un altro Messia.
Il problema del Battista è il nostro: guardare senza vedere, sapere già, essere abituati. Giovanni deve aguzzare lo sguardo interiore per riconoscere nella banalità del quotidiano la presenza del Messia.
É questa la radice del problema, di ogni problema: la dimenticanza, l'abitudine, la compagnia di Cristo che diventa sbadiglio e vaga rassicurazione.
Non pensiamo allo scorso anno, a due anni fa, non pensiamo ad un momento passato: oggi Cristo ci viene incontro, con discrezione (come al solito), con semplicità e verità.
Abitudinari della fede, discepoli della prima ora, stiamo desti, per favore, siamo attenti.
Dio ci scampi dal rischio del professionismo nella fede.
Questo Dio che passa va riconosciuto ed accolto, ciò che ci viene chiesto è, semplicemente, di accoglierlo.
Chi è Gesù? Tre titoli gli vengono attribuiti; tre sintesi di un cammino semplice e strepitoso fatto da chi scrive, Giovanni l'evangelista, discepolo prima del Battista e poi del Nazareno, e dalla sua comunità.
- Gesù è l'agnello di Dio che porta il peso del peccato (1,29),
- colui su cui rimane lo Spirito e battezza in Spirito (1,33),
- il Figlio stesso di Dio (1,34).
Sono titoli teologici che possiamo scoprire nella nostra ricerca di Dio.
Gesù è l'agnello che porta il peccato, come quello usato nello Yom Kippur, giorno di purificazione del popolo che scarica le sue colpe sul capro immolato in sacrificio per tutti: immagine prefigurata in Isaia del mite agnello condotto al macello.
Rispetto alla tragedia dell'umanità, all'inquietante dilemma del male e della violenza, Dio si schiera, si esprime, si coinvolge: egli è colui che si lascia uccidere, che assume su di sé sofferenza e tenebra, che la redime, portandola.
Giovanni resterà turbato dal vedere il Messia mischiato tra la folla di penitenti.
Dio condivide e assume su di sé tutta l'oscurità e la fragilità del mondo, si sporca le mani, non guarda dall'alto, redime dal basso.
Il dolore del mondo è assunto, salvato, redento.
Non è vero che vogliamo capire la ragione del dolore, ciò che vogliamo è non soffrire oppure, ed è ciò che Dio fa accadere, redimere questo dolore, dargli un peso, dargli un'utilità.
Fratelli che soffrite, fratelli travolti dalle tenebre, le vostre tenebre sono portate, accolte, salvate.
Egli è colui che dona lo Spirito in abbondanza; lo Spirito: dono del Risorto, di Colui che permette al discepolo di accorgersi di Dio, che lo mette in sintonia.
Fede che non è sforzo ma scoperta, non conquista ma abbandono, lasciando che lo Spirito che dà vita ad ogni cosa ci apra – finalmente! – lo sguardo dentro.
L'incontro con Dio non migliora né peggiora la nostra vita, non ci mette al riparo da fatica e contraddizione: gli eventi tristi e allegri si alternano come nella vita di chiunque.
Ma la presenza dello Spirito mi permette di vedere in maniera diversa, di cogliere il disegno, di percepire la tessitura nascosta della mia vita.
Il Signore dona lo Spirito senza lesinare, permette, ai discepoli che restano attenti e aperti alla Parola, di leggere la propria e l'altrui storia con uno sguardo nuovo.
Gesù è il "figlio di Dio"; non un grande uomo, non un profeta, non un uomo di tenerezza e compassione, ma la presenza stessa di Dio.
Non c'è mediazione su questo, non sofismi e ragionamenti: la comunità primitiva crede che Gesù di Nazareth, potente in parole ed opere, non sia solo ispirato da Dio, ma parli con le parole stesse di Dio poiché in lui abita la presenza stessa del Verbo di Dio.
Allora dobbiamo convincerci, fratelli: Dio è accessibile, Dio è visibile, chiaro, manifesto, incontrabile, evidente; si racconta, si spiega, si dice, si rivela.
Questo è ciò in cui crede la comunità di Giovanni, questo è ciò in cui dobbiamo credere anche noi.
Così, come Isaia sogna la comunità di Israele non più chiusa in se stessa intenta a proteggersi, ma aperta all'annuncio del vero volto di Dio alle nazioni straniere; così come Paolo augura ai cristiani di Corinto, città delirante e violenta, di essere santi perché santificati da Cristo, anche noi siamo chiamati a dare testimonianza al Figlio di Dio.
Quindi, non più stanche comunità che stentano ad assolvere i compiti istituzionali, ma gruppi di cristiani riempiti dalla luce, testimoni credibili, come il Battista e il suo discepolo Giovanni.
Ce la faremo ad accoglierlo dunque? O continueremo ad accarezzare e celebrare un Dio più approssimativo, più simile alle nostre segrete e distorte immagini di lui?
“Chi mi ama, mi segua…”.
Animo, fratelli: perché un compito serio ci aspetta.
Gesù è nato in noi, piccolo neonato da far crescere ed accudire; come Maria e Giuseppe lo abbiamo accolto; come i pastori, emarginati del tempo, abbiamo udito la notizia che egli è nato per noi; come i Magi, atei cercatori di verità, ci siamo messi in cammino.
Ora, finita la breve e intensa parentesi di Natale, vogliamo far crescere quel Battesimo che abbiamo ricevuto e che ci ha permesso di essere abitati dal Mistero di Dio.
Prima di riprendere la riflessione del pubblicano Levi, ci concediamo una parentesi teologica tratta da Giovanni. È l'occasione per meditare sulla splendida figura del Battista, che ora si mette da parte, non prima di avere dato un'ultima bruciante testimonianza su Gesù il Messia, che egli ha atteso e riconosciuto.
Giovanni Battista vede Gesù "venire verso di lui" (1,29): è Dio che prende l'iniziativa, è lui che viene incontro, è lui che muove i primi passi, sempre.
Eppure il Battista stenta a riconoscerlo. Sono parenti, lui e Gesù, e quindi Giovanni lo conosce, ma lo vede con occhi diversi, con i suoi occhi consueti, abituali; il segno del Battesimo lo spinge invece a capire, lo obbliga a riconoscere il Figlio bene-amato, nel quale il Padre si compiace; anzi: questo riconoscimento permane, come abbiamo visto nella terza di Avvento, quando il Battista in carcere è invitato a non scoraggiarsi, a non aspettare un altro Messia.
Il problema del Battista è il nostro: guardare senza vedere, sapere già, essere abituati. Giovanni deve aguzzare lo sguardo interiore per riconoscere nella banalità del quotidiano la presenza del Messia.
É questa la radice del problema, di ogni problema: la dimenticanza, l'abitudine, la compagnia di Cristo che diventa sbadiglio e vaga rassicurazione.
Non pensiamo allo scorso anno, a due anni fa, non pensiamo ad un momento passato: oggi Cristo ci viene incontro, con discrezione (come al solito), con semplicità e verità.
Abitudinari della fede, discepoli della prima ora, stiamo desti, per favore, siamo attenti.
Dio ci scampi dal rischio del professionismo nella fede.
Questo Dio che passa va riconosciuto ed accolto, ciò che ci viene chiesto è, semplicemente, di accoglierlo.
Chi è Gesù? Tre titoli gli vengono attribuiti; tre sintesi di un cammino semplice e strepitoso fatto da chi scrive, Giovanni l'evangelista, discepolo prima del Battista e poi del Nazareno, e dalla sua comunità.
- Gesù è l'agnello di Dio che porta il peso del peccato (1,29),
- colui su cui rimane lo Spirito e battezza in Spirito (1,33),
- il Figlio stesso di Dio (1,34).
Sono titoli teologici che possiamo scoprire nella nostra ricerca di Dio.
Gesù è l'agnello che porta il peccato, come quello usato nello Yom Kippur, giorno di purificazione del popolo che scarica le sue colpe sul capro immolato in sacrificio per tutti: immagine prefigurata in Isaia del mite agnello condotto al macello.
Rispetto alla tragedia dell'umanità, all'inquietante dilemma del male e della violenza, Dio si schiera, si esprime, si coinvolge: egli è colui che si lascia uccidere, che assume su di sé sofferenza e tenebra, che la redime, portandola.
Giovanni resterà turbato dal vedere il Messia mischiato tra la folla di penitenti.
Dio condivide e assume su di sé tutta l'oscurità e la fragilità del mondo, si sporca le mani, non guarda dall'alto, redime dal basso.
Il dolore del mondo è assunto, salvato, redento.
Non è vero che vogliamo capire la ragione del dolore, ciò che vogliamo è non soffrire oppure, ed è ciò che Dio fa accadere, redimere questo dolore, dargli un peso, dargli un'utilità.
Fratelli che soffrite, fratelli travolti dalle tenebre, le vostre tenebre sono portate, accolte, salvate.
Egli è colui che dona lo Spirito in abbondanza; lo Spirito: dono del Risorto, di Colui che permette al discepolo di accorgersi di Dio, che lo mette in sintonia.
Fede che non è sforzo ma scoperta, non conquista ma abbandono, lasciando che lo Spirito che dà vita ad ogni cosa ci apra – finalmente! – lo sguardo dentro.
L'incontro con Dio non migliora né peggiora la nostra vita, non ci mette al riparo da fatica e contraddizione: gli eventi tristi e allegri si alternano come nella vita di chiunque.
Ma la presenza dello Spirito mi permette di vedere in maniera diversa, di cogliere il disegno, di percepire la tessitura nascosta della mia vita.
Il Signore dona lo Spirito senza lesinare, permette, ai discepoli che restano attenti e aperti alla Parola, di leggere la propria e l'altrui storia con uno sguardo nuovo.
Gesù è il "figlio di Dio"; non un grande uomo, non un profeta, non un uomo di tenerezza e compassione, ma la presenza stessa di Dio.
Non c'è mediazione su questo, non sofismi e ragionamenti: la comunità primitiva crede che Gesù di Nazareth, potente in parole ed opere, non sia solo ispirato da Dio, ma parli con le parole stesse di Dio poiché in lui abita la presenza stessa del Verbo di Dio.
Allora dobbiamo convincerci, fratelli: Dio è accessibile, Dio è visibile, chiaro, manifesto, incontrabile, evidente; si racconta, si spiega, si dice, si rivela.
Questo è ciò in cui crede la comunità di Giovanni, questo è ciò in cui dobbiamo credere anche noi.
Così, come Isaia sogna la comunità di Israele non più chiusa in se stessa intenta a proteggersi, ma aperta all'annuncio del vero volto di Dio alle nazioni straniere; così come Paolo augura ai cristiani di Corinto, città delirante e violenta, di essere santi perché santificati da Cristo, anche noi siamo chiamati a dare testimonianza al Figlio di Dio.
Quindi, non più stanche comunità che stentano ad assolvere i compiti istituzionali, ma gruppi di cristiani riempiti dalla luce, testimoni credibili, come il Battista e il suo discepolo Giovanni.
Ce la faremo ad accoglierlo dunque? O continueremo ad accarezzare e celebrare un Dio più approssimativo, più simile alle nostre segrete e distorte immagini di lui?
“Chi mi ama, mi segua…”.
Animo, fratelli: perché un compito serio ci aspetta.
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