Cristo nasce, ma... è già nato nel nostro cuore?
Natale porta con sé questa domanda ineludibile, nascosta sotto le tonnellate di regali e di buonismo, con cui rischiamo di soffocare il messaggio crudo e devastante dell'incarnazione, lo scandalo del Natale.
Dio viene: c'è ancora qualcuno disposto ad accoglierlo?
L'avvento ci ricorda delle tre venute di Cristo: nella storia, nella gloria e in ciascuno di noi. Molti cristiani pensano di essere tali semplicemente perché credono nella venuta nella storia del Signore Gesù. Non c'è bisogno di essere cristiani per crederlo!
Diventare discepoli significa invece far nascere (ri-nascere per alcuni) la presenza interiore di Dio.
Dopo la prima domenica forte, tesa a svegliarci dal rischio di lasciarci passare la vita addosso, a non accorgerci della salvezza, del volto sorridente di Dio, del destino di ogni uomo, ci raggiunge oggi il grido forte e inquietante del Battista, grande asceta e uomo carismatico che invita la gente alla conversione, e non certo con parole dolci!
La conversione – sembra dirci il Battista – è il modo migliore per accogliere il Signore, per essere presi mentre stiamo "alla mola", (ricordate?), per trovare senso a ciò che facciamo.
Giovanni, con la sua vita, proclama il primato di Dio sulla vita, richiama tutti ad uscire da una visione stereotipata e immobilista della fede per incontrare l'inaudito di Dio. Persone ragguardevoli e devote come i farisei vengono duramente criticate, la loro innegabile fede è annientata da un ritualismo esasperato. Severo monito per chi, tra noi, vive a servizio delle comunità, siamo chiamati a interrogarci continuamente sul rischio dell'abitudine alla fede. Simile alla sindrome dell'altronatale, anche la più autentica devozione rischia di sconfinare nell'esteriorità, svuotando la fede dall'incontro con Dio.
Giovanni è un profeta austero, ancora tutto legato all'Antico Testamento. Fedele al modello del profeta coerente e severo, minaccia punizioni divine. Dico sempre, scherzando, che Giovanni è l'ultimo e il più sfortunato dei profeti: minaccia vendetta e castighi divini. Poi, arriverà Gesù a svelare che, invece, Dio non punisce ma ama e perdona!
Il volto di Dio che Gesù svela nel Natale è così inaudito e inatteso che Giovanni stesso stenterà a riconoscerlo...
Abbiamo bisogno di profeti, e profeti ancora abitano le nostre grigie città.
Persone all'apparenza normali e che, pure, sanno parlare in nome di Dio, sanno leggere il presente alla luce della fede. Perché il profeta non predice il futuro (quello è l'indovino!) ma ci aiuta a capire il presente. E Dio solo sa di quanti profeti necessitiamo per riuscire a discernere un percorso di fede nella faticosa vita quotidiana!
Il Dio che il Battista annuncia, il Dio che aspettiamo è il Dio che brucia dentro, che spazza via con forza i timori, un Dio forte e impetuoso! Un fuoco che divampa bruciando le lentezze, divorando impetuoso e forte. Giovanni ammonisce: non basta rifugiarsi dietro alla tradizione ("abbiamo Abramo come padre!") o in una fede esteriore, di facciata, di coscienza tiepida ("fatte frutti degni di conversione"). Colui che viene chiede reale cambiamento, scelta di vita, schieramento.
Dio – diventando uomo – separa la luce dalle tenebre, obbliga ad accoglierlo o a rifiutarlo.
Finché Dio è sulle nuvole, da invocare per chiedere un miracolo o da insultare perché il miracolo non è avvenuto, è un conto. Ma qui parliamo di un Dio neonato! Un Dio indifeso che frantuma le nostre teorie approssimative sulla natura divina, un Dio mite e fragile, che chiede ospitalità e non vana devozione.
Siamo invitati a riconoscere i profeti intorno a noi, siamo chiamati a diventare profeti.
Non c'è bisogno di vestire pelli di cammello, ma di essere trasparenza di Dio, lasciare che il fuoco che Gesù è venuto ad accendere divampi nell'oscurità della nostra vita e dia luce a chi incontreremo.
Niente crocifissi al collo o padrepii sui cruscotti, no, ma un'unica notizia, che è quella che Matteo mette in bocca al Battista e che è il cuore dell'annuncio di Gesù. E del nostro: "Accorgiti che il Regno si è fatto vicino".
Diciamolo a tutti, fratelli, Dio si è avvicinato, è incontrabile, conoscibile, presente, evidente.
Allora coraggio, imitiamo il Signore Gesù, come chiede Paolo ai cristiani di Roma, rendiamo presente la profezia (splendida!) di Isaia che sogna un bambino che gioca con la vipera, e il leone e il capretto che giocano insieme... e questo è quel tempo, tempo in cui porre gesti di pace e di solidarietà autentica.
Grande Giovanni, amico dello sposo, che ci scuoti dalle nostre tiepidezze, che sbricioli le nostre fragili verità, le nostre assonnate parole, le nostre svuotate celebrazioni.
Animo, fratelli, questo è davvero il tempo di preparare la strada al Signore che viene, questo è davvero il tempo di schierarsi, di accogliere questo Dio sempre inatteso, sempre diverso.
Natale porta con sé questa domanda ineludibile, nascosta sotto le tonnellate di regali e di buonismo, con cui rischiamo di soffocare il messaggio crudo e devastante dell'incarnazione, lo scandalo del Natale.
Dio viene: c'è ancora qualcuno disposto ad accoglierlo?
L'avvento ci ricorda delle tre venute di Cristo: nella storia, nella gloria e in ciascuno di noi. Molti cristiani pensano di essere tali semplicemente perché credono nella venuta nella storia del Signore Gesù. Non c'è bisogno di essere cristiani per crederlo!
Diventare discepoli significa invece far nascere (ri-nascere per alcuni) la presenza interiore di Dio.
Dopo la prima domenica forte, tesa a svegliarci dal rischio di lasciarci passare la vita addosso, a non accorgerci della salvezza, del volto sorridente di Dio, del destino di ogni uomo, ci raggiunge oggi il grido forte e inquietante del Battista, grande asceta e uomo carismatico che invita la gente alla conversione, e non certo con parole dolci!
La conversione – sembra dirci il Battista – è il modo migliore per accogliere il Signore, per essere presi mentre stiamo "alla mola", (ricordate?), per trovare senso a ciò che facciamo.
Giovanni, con la sua vita, proclama il primato di Dio sulla vita, richiama tutti ad uscire da una visione stereotipata e immobilista della fede per incontrare l'inaudito di Dio. Persone ragguardevoli e devote come i farisei vengono duramente criticate, la loro innegabile fede è annientata da un ritualismo esasperato. Severo monito per chi, tra noi, vive a servizio delle comunità, siamo chiamati a interrogarci continuamente sul rischio dell'abitudine alla fede. Simile alla sindrome dell'altronatale, anche la più autentica devozione rischia di sconfinare nell'esteriorità, svuotando la fede dall'incontro con Dio.
Giovanni è un profeta austero, ancora tutto legato all'Antico Testamento. Fedele al modello del profeta coerente e severo, minaccia punizioni divine. Dico sempre, scherzando, che Giovanni è l'ultimo e il più sfortunato dei profeti: minaccia vendetta e castighi divini. Poi, arriverà Gesù a svelare che, invece, Dio non punisce ma ama e perdona!
Il volto di Dio che Gesù svela nel Natale è così inaudito e inatteso che Giovanni stesso stenterà a riconoscerlo...
Abbiamo bisogno di profeti, e profeti ancora abitano le nostre grigie città.
Persone all'apparenza normali e che, pure, sanno parlare in nome di Dio, sanno leggere il presente alla luce della fede. Perché il profeta non predice il futuro (quello è l'indovino!) ma ci aiuta a capire il presente. E Dio solo sa di quanti profeti necessitiamo per riuscire a discernere un percorso di fede nella faticosa vita quotidiana!
Il Dio che il Battista annuncia, il Dio che aspettiamo è il Dio che brucia dentro, che spazza via con forza i timori, un Dio forte e impetuoso! Un fuoco che divampa bruciando le lentezze, divorando impetuoso e forte. Giovanni ammonisce: non basta rifugiarsi dietro alla tradizione ("abbiamo Abramo come padre!") o in una fede esteriore, di facciata, di coscienza tiepida ("fatte frutti degni di conversione"). Colui che viene chiede reale cambiamento, scelta di vita, schieramento.
Dio – diventando uomo – separa la luce dalle tenebre, obbliga ad accoglierlo o a rifiutarlo.
Finché Dio è sulle nuvole, da invocare per chiedere un miracolo o da insultare perché il miracolo non è avvenuto, è un conto. Ma qui parliamo di un Dio neonato! Un Dio indifeso che frantuma le nostre teorie approssimative sulla natura divina, un Dio mite e fragile, che chiede ospitalità e non vana devozione.
Siamo invitati a riconoscere i profeti intorno a noi, siamo chiamati a diventare profeti.
Non c'è bisogno di vestire pelli di cammello, ma di essere trasparenza di Dio, lasciare che il fuoco che Gesù è venuto ad accendere divampi nell'oscurità della nostra vita e dia luce a chi incontreremo.
Niente crocifissi al collo o padrepii sui cruscotti, no, ma un'unica notizia, che è quella che Matteo mette in bocca al Battista e che è il cuore dell'annuncio di Gesù. E del nostro: "Accorgiti che il Regno si è fatto vicino".
Diciamolo a tutti, fratelli, Dio si è avvicinato, è incontrabile, conoscibile, presente, evidente.
Allora coraggio, imitiamo il Signore Gesù, come chiede Paolo ai cristiani di Roma, rendiamo presente la profezia (splendida!) di Isaia che sogna un bambino che gioca con la vipera, e il leone e il capretto che giocano insieme... e questo è quel tempo, tempo in cui porre gesti di pace e di solidarietà autentica.
Grande Giovanni, amico dello sposo, che ci scuoti dalle nostre tiepidezze, che sbricioli le nostre fragili verità, le nostre assonnate parole, le nostre svuotate celebrazioni.
Animo, fratelli, questo è davvero il tempo di preparare la strada al Signore che viene, questo è davvero il tempo di schierarsi, di accogliere questo Dio sempre inatteso, sempre diverso.
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