Uno preso, l’altro lasciato
É che Dio arriva quando meno ce l’aspettiamo. Magari lo cerchiamo tutta la vita, o crediamo di cercarlo, o siamo convinti di averlo trovato e quindi dormiamo sugli allori e, intanto, la vita ci passa addosso. È che Dio è evidente e misterioso, accessibile e nascosto, già e non ancora. È che la nostra vita passa, con i suoi desideri e le sue delusioni, le sue scoperte e le sue pause, le sue paure e le sue ironie, i suoi entusiasmi e i suoi fallimenti. Passa e fatichiamo a tenerla ferma in un punto, un punto qualsiasi, attorno a cui far girare tutto il resto.
Oggi inizia l'avvento. E tra 23 giorni è Natale.E abbiamo urgente bisogno di capire come possiamo trovare il Dio diventato accessibile, fatto volto, divenuto incontrabile. Vogliamo poterlo vedere questo Dio consegnato, arreso, palese, nascosto in mezzo agli sguardi e ai volti di tanti neonati.
Sono pochi 23 giorni, lo so. Ma vogliamo provarci ancora. Perché possiamo celebrare cento natali senza che mai una volta Dio nasca nei nostri cuori. Come dice splendidamente Bonhoeffer: «Nessuno possiede Dio in modo tale da non doverlo più attendere. Eppure non può attendere Dio chi non sapesse che Dio ha già atteso lungamente lui.»
Oggi Iniziamo a leggere Matteo. Il pubblicano divenuto discepolo, colui che si è fatto bene i conti in tasca ci accompagna e ci incoraggia sull'impervia strada della conversione.
Il brano del Vangelo è faticoso e ostico e rischia di essere letto in chiave grottesca. Gesù, al solito, è straordinario: cita gli eventi simbolici di Noè, dice che intorno a lui c'era un sacco di brava gente che venne travolta dal diluvio senza neppure accorgersene. Perciò ci invita a vegliare, a stare desti, proprio come fa Paolo scrivendo ai Romani. E Gesù avverte: uno è preso, l'altro lasciato. Uno incontra Dio, l'altro no. Uno è riempito, l'altro non si fa trovare. Dio è discreto, modesto, quasi timido, non impone la sua presenza, la sua venuta è come la brezza della sera. A noi è chiesto di spalancare il cuore, di aprire gli occhi, di lasciar emergere il desiderio. Come? Non lo so, fratelli. Cerchiamo di farlo ritagliandoci uno spazio quotidiano alla preghiera, per meditare la Parola. Alcuni tra voi riescono a prendersi una domenica pomeriggio per fare un paio d'ore di silenzio e di preghiera, altri fanno una piccola deviazione andando al lavoro per entrare in una chiesa. Se vissuti bene, aiutano anche i simboli del Natale cristiano: preparare un presepe, addobbare un albero, partecipare alla novena. Facciamo qualcosa, una piccola cosa, per chiederci se Cristo è nato in noi, per non lasciarci travolgere dal diluvio di parole e cose che ognuno vive. E ci tocca combattere anche contro la secolarizzazione del Natale, contro il suo svilimento, contro quel Natale finto che tanti vivono.
Non capisco perché una festa splendida, la festa che celebra la notizia dell'inaudito di Dio che irrompe nel mondo, sia stata travolta dalla frenesia di un buonismo natalizio falso. È un dramma, il Natale, è la storia di un Dio presente e di un uomo assente. Non c'è proprio nulla da festeggiare, non abbiamo fatto una gran bella figura, la prima volta. Natale è un pugno nello stomaco, una provocazione, un evento che obbliga a schierarsi.
Natale è l'arrendevolezza di Dio che ci obbliga a conversione. Quindi: viva i regali, viva la festa. Ma che sia autentico ciò che facciamo, che sia presente il festeggiato, Dio, alle nostre ipercaloriche cene, che i bimbi capiscano che è il suo compleanno: a lui spetterebbero i regali, non a noi!
C’è anche il Natale per i poveri veri, per chi ha subito un abbandono, un trauma, un lutto, un Natale che diventa ricordo e sofferenza insostenibile. Di fronte alle immagini stereotipate della famiglia felice intorno all'albero e armonia e canti di angeli che ci propinano i media, chi vive affettività fragili e solitudini, è travolto da un insostenibile dolore. E questo deve farci pensare. Il Dio dei poveri, il Dio che viene per i pastori, emarginati del tempo, il Dio che non nasce nel Tempio di Gerusalemme, ma nella grotta di Betlemme, viene purtroppo sostituto dal Dio piccino del nostro buonismo posticcio. Se i nonni soli, se le persone abbandonate, se i feriti dalla vita non hanno un sussulto di speranza nella notte di Natale, significa che il nostro annuncio è ambiguo, travolto e sostituito da un inutile messaggio di generica pace.
In questo tempo di Avvento Dio si pone ancora in cammino verso di noi, è Lui che viene, è Lui che prende l'iniziativa verso di noi, è una nuova occasione di salvezza, è un nuovo avvento straordinario.
Egli sta alla porta e bussa, attende che qualcuno gli apra. Motivo della sua visita? Offrirci la possibilità di rinnovare e consolidare il nostro rapporto di amicizia e di comunione con lui, con il Padre, con i nostri fratelli.
«Credo in un Dio che non si nasconde dietro ad un mistero, che non seduce con un miracolo, che non mi opprime con la sua autorità. Credo in un Dio che non mi chiede di rinunciare alla mia libertà, ma che mi pone di fronte alla scelta del bene o del male; che non accetta compromessi, ma che benedice la follia di chi Lo segue. Credo in un Dio che non fa della sua potenza persuasione, che non rimette le cose a posto dall'alto, che non esercita la giustizia degli uomini. Credo in un Dio che si lascia tradire, che al mio 'no' risponde con un bacio silenzioso e credo in un Dio sconfitto, crocifisso e poi Risorto. Credo in un Dio che non ho inventato io, che non soddisfa i miei bisogni, che non dice e non fa quello che voglio io: un Dio scomodo che non si può né vendere, né comperare. Credo in un Dio vero, che si fa uomo, amico, fratello della mia umanità, che si fa piccolo, debole, indifeso, perché non debba salire troppo in alto per poterLo incontrare. Credo in un Dio che a volte gioca a nascondino, perché possa scoprirlo nel cuore di ogni uomo. Credo in un Dio che si fa vicino, che mi viene incontro e mi dice: "Ti amo", un Dio che si può solo amare». (Ester Abattista).
É che Dio arriva quando meno ce l’aspettiamo. Magari lo cerchiamo tutta la vita, o crediamo di cercarlo, o siamo convinti di averlo trovato e quindi dormiamo sugli allori e, intanto, la vita ci passa addosso. È che Dio è evidente e misterioso, accessibile e nascosto, già e non ancora. È che la nostra vita passa, con i suoi desideri e le sue delusioni, le sue scoperte e le sue pause, le sue paure e le sue ironie, i suoi entusiasmi e i suoi fallimenti. Passa e fatichiamo a tenerla ferma in un punto, un punto qualsiasi, attorno a cui far girare tutto il resto.
Oggi inizia l'avvento. E tra 23 giorni è Natale.E abbiamo urgente bisogno di capire come possiamo trovare il Dio diventato accessibile, fatto volto, divenuto incontrabile. Vogliamo poterlo vedere questo Dio consegnato, arreso, palese, nascosto in mezzo agli sguardi e ai volti di tanti neonati.
Sono pochi 23 giorni, lo so. Ma vogliamo provarci ancora. Perché possiamo celebrare cento natali senza che mai una volta Dio nasca nei nostri cuori. Come dice splendidamente Bonhoeffer: «Nessuno possiede Dio in modo tale da non doverlo più attendere. Eppure non può attendere Dio chi non sapesse che Dio ha già atteso lungamente lui.»
Oggi Iniziamo a leggere Matteo. Il pubblicano divenuto discepolo, colui che si è fatto bene i conti in tasca ci accompagna e ci incoraggia sull'impervia strada della conversione.
Il brano del Vangelo è faticoso e ostico e rischia di essere letto in chiave grottesca. Gesù, al solito, è straordinario: cita gli eventi simbolici di Noè, dice che intorno a lui c'era un sacco di brava gente che venne travolta dal diluvio senza neppure accorgersene. Perciò ci invita a vegliare, a stare desti, proprio come fa Paolo scrivendo ai Romani. E Gesù avverte: uno è preso, l'altro lasciato. Uno incontra Dio, l'altro no. Uno è riempito, l'altro non si fa trovare. Dio è discreto, modesto, quasi timido, non impone la sua presenza, la sua venuta è come la brezza della sera. A noi è chiesto di spalancare il cuore, di aprire gli occhi, di lasciar emergere il desiderio. Come? Non lo so, fratelli. Cerchiamo di farlo ritagliandoci uno spazio quotidiano alla preghiera, per meditare la Parola. Alcuni tra voi riescono a prendersi una domenica pomeriggio per fare un paio d'ore di silenzio e di preghiera, altri fanno una piccola deviazione andando al lavoro per entrare in una chiesa. Se vissuti bene, aiutano anche i simboli del Natale cristiano: preparare un presepe, addobbare un albero, partecipare alla novena. Facciamo qualcosa, una piccola cosa, per chiederci se Cristo è nato in noi, per non lasciarci travolgere dal diluvio di parole e cose che ognuno vive. E ci tocca combattere anche contro la secolarizzazione del Natale, contro il suo svilimento, contro quel Natale finto che tanti vivono.
Non capisco perché una festa splendida, la festa che celebra la notizia dell'inaudito di Dio che irrompe nel mondo, sia stata travolta dalla frenesia di un buonismo natalizio falso. È un dramma, il Natale, è la storia di un Dio presente e di un uomo assente. Non c'è proprio nulla da festeggiare, non abbiamo fatto una gran bella figura, la prima volta. Natale è un pugno nello stomaco, una provocazione, un evento che obbliga a schierarsi.
Natale è l'arrendevolezza di Dio che ci obbliga a conversione. Quindi: viva i regali, viva la festa. Ma che sia autentico ciò che facciamo, che sia presente il festeggiato, Dio, alle nostre ipercaloriche cene, che i bimbi capiscano che è il suo compleanno: a lui spetterebbero i regali, non a noi!
C’è anche il Natale per i poveri veri, per chi ha subito un abbandono, un trauma, un lutto, un Natale che diventa ricordo e sofferenza insostenibile. Di fronte alle immagini stereotipate della famiglia felice intorno all'albero e armonia e canti di angeli che ci propinano i media, chi vive affettività fragili e solitudini, è travolto da un insostenibile dolore. E questo deve farci pensare. Il Dio dei poveri, il Dio che viene per i pastori, emarginati del tempo, il Dio che non nasce nel Tempio di Gerusalemme, ma nella grotta di Betlemme, viene purtroppo sostituto dal Dio piccino del nostro buonismo posticcio. Se i nonni soli, se le persone abbandonate, se i feriti dalla vita non hanno un sussulto di speranza nella notte di Natale, significa che il nostro annuncio è ambiguo, travolto e sostituito da un inutile messaggio di generica pace.
In questo tempo di Avvento Dio si pone ancora in cammino verso di noi, è Lui che viene, è Lui che prende l'iniziativa verso di noi, è una nuova occasione di salvezza, è un nuovo avvento straordinario.
Egli sta alla porta e bussa, attende che qualcuno gli apra. Motivo della sua visita? Offrirci la possibilità di rinnovare e consolidare il nostro rapporto di amicizia e di comunione con lui, con il Padre, con i nostri fratelli.
«Credo in un Dio che non si nasconde dietro ad un mistero, che non seduce con un miracolo, che non mi opprime con la sua autorità. Credo in un Dio che non mi chiede di rinunciare alla mia libertà, ma che mi pone di fronte alla scelta del bene o del male; che non accetta compromessi, ma che benedice la follia di chi Lo segue. Credo in un Dio che non fa della sua potenza persuasione, che non rimette le cose a posto dall'alto, che non esercita la giustizia degli uomini. Credo in un Dio che si lascia tradire, che al mio 'no' risponde con un bacio silenzioso e credo in un Dio sconfitto, crocifisso e poi Risorto. Credo in un Dio che non ho inventato io, che non soddisfa i miei bisogni, che non dice e non fa quello che voglio io: un Dio scomodo che non si può né vendere, né comperare. Credo in un Dio vero, che si fa uomo, amico, fratello della mia umanità, che si fa piccolo, debole, indifeso, perché non debba salire troppo in alto per poterLo incontrare. Credo in un Dio che a volte gioca a nascondino, perché possa scoprirlo nel cuore di ogni uomo. Credo in un Dio che si fa vicino, che mi viene incontro e mi dice: "Ti amo", un Dio che si può solo amare». (Ester Abattista).
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