martedì 9 ottobre 2007

28 ottobre 2007 - XXX domenica del T.O.

Guardarsi dentro
La preghiera è una questione di fede: credere che il Dio che invochiamo non è una specie di sommo organizzatore dell'universo che, se da noi corrotto, potrebbe anche concederci ciò che chiediamo. Dio non è un potente da blandire, non un sottosegretario da cui farsi raccomandare, ma un padre che sa ciò di cui abbiamo bisogno. Se la nostra preghiera fa cilecca, sembra suggerirci Gesù, è perché manca l'insistenza, o manca la fede. Oggi, con la parabola del pubblicano e del fariseo, ci viene suggerita un'altra pista di riflessione.
I due personaggi, il fariseo e il pubblicano, sono due modi diversi di essere discepoli.
Modi molto diversi. Il fariseo - leggete - dice il vero, tutto sommato: vive la fede con entusiasmo, pratica la giustizia, è un fedele modello, e sa di esserlo. Prega anche nel modo giusto: ringrazia Dio, subito, prima di chiedere qualcosa. Ma presume d'essere giusto e disprezza gli altri, ha un nemico, fuori di sé. Guarda con disprezzo il pubblicano (che è davvero peccatore!) e ne prende le distanze. Il pubblicano - invece - non osa alzare lo sguardo: conosce il suo peccato, non ha bisogno di fare l'esame di coscienza: glielo ha già fatto il fariseo! Solo chiede pietà. Succede anche a noi: facciamo fatica a guardarci dentro con equilibrio. Fatichiamo a non deprimerci nei momenti di difficoltà, in cui emergono più evidenti i nostri limiti e i nostri difetti. Fatichiamo a non tentare di mostrare il nostro "meglio" quando stiamo con gli altri. Ma soprattutto fatichiamo a paragonarci agli altri in maniera serena. Se capissimo di essere unici, imparagonabili! Se sapessimo amarci come Dio ci ama, senza eccessi! No, non abbiamo bisogno di guardare al peggio o al meglio di chi sta intorno per esaltarci o deprimerci, specialmente nella fede. L'errore del fariseo è questo: è giusto e sa di esserlo, ma non ha compassione né misericordia. Misericordia e compassione che - invece - Dio ha verso il pubblicano, che esce cambiato. Ecco una buona battaglia per noi discepoli: l'equilibrio in noi stessi: senza trovare colpevoli "fuori", senza autolesionismo depressivo. Consapevoli della nostra fragilità e della nostra grandezza, perdonati che sappiamo perdonare, pacificati che sappiamo pacificare.
Tutti dobbiamo avere il coraggio di fare un passo indietro! Di scendere dal piedistallo che ci costruiamo per crescere in umanità e verità! Il nemico è dentro, non fuori. È il nostro egoismo, la parte peggiore di noi, che deve essere illuminata dal Vangelo; è scoprire l'altro, accoglierlo e accoglierci. Iniziamo a costruire la pace dall'unica persona su cui abbiamo influenza: noi stessi. Quanta più armonia ci sarebbe nella coppia con un po' più di umiltà e verità, con qualche "scusami" in più...
E la Chiesa, comunità di credenti, è popolo di perdonati, non di perfetti. Le paranoie, le prese di distanza dalla Chiesa che sentiamo in giro (non vado più a quella messa perché Tizio è veramente insopportabile; non mi va di incontrare Caio perché in chiesa si dà un sacco di arie... ma scusate, ma di quale "chiesa" si tratta? Giusto di quella che immaginiamo nella nostra testa!), il più delle volte si basano su questo equivoco di fondo: il mio fratello che si professa cristiano, deve essere irreprensibile, deve essere “santo”… dentro e fuori la chiesa! È vero. Ma solo in parte. E non facciamo gli ipocriti! Il cristiano è e resta peccatore, ma è un peccatore toccato dalla tenerezza del perdono. E come tale, con grande umiltà, deve comportarsi...
Noi tutti ci troviamo in chiesa non per lucidarci l'aureola, o per guardare in cagnesco i fratelli che non riteniamo alla nostra altezza.
Ma ci troviamo tutti insieme per celebrare coralmente quella misericordia divina che ci ha cambiato.
Non è splendido?

2 commenti:

Francesco da Los Angeles ha detto...

splendido si'
e splendidamente centrato

Anonimo ha detto...

molto utile