martedì 9 ottobre 2007

21 ottobre 2007 - XXIX domenica del T.O.

Troverò la fede sulla terra?
Di interrogativi Gesù ne ha posti a sufficienza, nel suo ministero. Ma quello di oggi ci fa veramente pensare. Gesù, con un velo di tristezza chiede: "Quando tornerò, ci sarà ancora fede sulla terra?". Attenzione, non dice: "Ci sarà ancora un'organizzazione, la gente andrà ancora a Messa, si farà ancora l'elemosina?". No, Gesù è angosciato perché vede che, troppe volte, la nostra religione è senza fede, la nostra preghiera è senza fede, la nostra lotta per un mondo diverso è senza fede. Davanti al grido della vedova invadente che chiede giustizia, simbolo del grido dell'oppresso di tutti i tempi, la fede vacilla.
Come può Dio permettere la sofferenza, la guerra, la malattia? Davanti agli avvenimenti che percepiamo "ingiusti", la nostra fede vacilla, retrocede. Il dubbio ottenebra il nostro cuore, perché credere è difficile. La sofferenza dell'innocente è e resta la più grande obiezione dell’uomo della strada alla bontà di Dio: intuisce che sotto sotto c'è una risposta, ma gli sfugge.
La sofferenza che esiste nel mondo, più che mettere in discussione Dio, coinvolge e responsabilizza ciascuno di noi. Noi facciamo le guerre e Dio le deve fermare! Bella pretesa!Al grido dell'oppresso, davanti alla violenza, davanti agli uomini che si massacrano, gridiamo: "Dio dove sei?" E Dio ci risponde: "Tu dove sei?". Il Signore ci ha consegnato un mondo che potrebbe essere un capolavoro di misericordia e di fraternità. Noi lo abbiamo ridotto a un covo di malfattori, di indifferenza, di ingiustizia. La nostra preghiera, spesso, cade nel vuoto perché, semplicemente, non facciamo nulla perché si realizzi. Dio infatti fa prontamente giustizia, afferma Gesù alla fine della parabola della vedova... Sì, mi fido, lo credo! Stento a capire, ma mi ci metto, ci sto, lavoro!
Devo credere in un mondo in cui la giustizia inizia dal mio cuore, per poi uscirne e contagiare il mondo. Nella lotta per la giustizia, per creare spazi e luoghi di amore solidale, abbiamo bisogno di fede per pregare, abbiamo bisogno di costanza per tenere le braccia alzate durante la battaglia. Solo la preghiera autentica, profonda, incarnata, ci può sostenere nella conversione del mondo che parte da me. Non esiste dualismo tra vita interiore e impegno sociale: l'uno scaturisce a approda all'altro. Un mondo che cambia necessita di interiorità; un'interiorità che non diventa impegno, è sterile devozione. Nella lotta della vita, dobbiamo osare la preghiera.
Mosé che tiene le braccia alzate, per far vincere il suo popolo, è l'immagine di come la preghiera ci porti in una dimensione nuova, capace di vincere la lotta della vita.
Chiediamoci se l'insistenza della vedova è la nostra insistenza, se la sua costanza è la nostra, quando si tratta di rendere giustizia, di dare una testimonianza di trasparenza nel nostro essere "prossimo". C'è purtroppo il rischio di stancarci, per strada, c'è il rischio di lasciar cadere le braccia, perché stanchi di pregare.
Allora, com'è successo a Mosé, saranno i fratelli vicini, quelli della nostra comunità, ad aiutarci a tenere alzate nella preghiera le nostre braccia.
La dimensione comunitaria, che ancora tanto dobbiamo scoprire, è questa volontà, questa capacità di camminare insieme, di lasciarci anche trasportare dalla preghiera della Comunità. L'Eucarestia, allora, diventa il momento in cui ci raduniamo per tenere le braccia alzate gli uni per gli altri, e invocare la benedizione di Dio su noi e sul nostro cammino.
Allora potremo rispondere al Signore Gesù convintamente: "Signore, oggi se verrai, troverai ancora fede sulla terra.
Si, Signore: la mia, quella della comunità in cui vivo, quella di altri milioni di fratelli sparsi nel mondo".

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