giovedì 30 luglio 2020

2 Agosto 2020 – XVIII Domenica del Tempo Ordinario

“Dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla” (Mt 14,13-21).

Gesù cerca un luogo appartato. Pressato dalla gente e dal bisogno di stare un po’ da solo per ritemprarsi, per ascoltarsi, per riposare, sale su una barca e si allontana. Quando ritorna, la folla si è moltiplicata: una moltitudine enorme di gente lo sta aspettando: gente accorsa dalle città, che per vederlo ha fatto tanta strada; e lo ha aspettato.
Dove c'è la verità la gente aspetta, si mette in coda, affronta sacrifici, fatiche, distanze chilometriche, pur di ascoltarla. Perché la verità soddisfa tutti, finisce per appianare ogni difficoltà.
Ma sta sopraggiungendo la notte, il luogo è deserto, e un problema assilla i discepoli: “Qui si fa sera, la gente ha fame. Che facciamo?”. Alla loro preoccupazione, Gesù risponde tranquillamente: “Date voi stessi da mangiare” (dòte autois umeis faghèin). “Ma Signore, non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!”. “Portatemeli qui”. 
Ed ecco il miracolo: la moltiplicazione di quei pani e di quei pochi pesci! E tutti ne mangiarono a sazietà, circa cinquemila uomini oltre donne e bambini e alla fine rimasero addirittura dodici ceste piene di avanzi.
Una straordinaria moltiplicazione che ci dice: “condividi”: più si condivide, più le cose si moltiplicano e bastano per tutti”. L'unione fa la forza. Condividiamo quello che abbiamo, quello che siamo, quello che conosciamo e tutto si moltiplicherà. Se ci mettiamo insieme, i miracoli avvengono. Se ognuno fa la sua parte, l'impossibile diventa possibile. In qualunque realtà sociale, lavorativa, religiosa, più ognuno mette a disposizione degli altri le proprie informazioni, le proprie capacità, le proprie risorse professionali, umane e spirituali, più quella realtà funzionerà, raggiungerà i suoi obiettivi. In una comunità, in una famiglia, più uno condivide ciò che vive, ciò che prova, gli alti e i bassi delle proprie giornate, più l'unione si moltiplica, più diventa forte, intima, inattaccabile, profonda.
Una gioia condivisa si moltiplica; un dolore condiviso si dimezza.
Mentre la società moderna tende a dividerci sempre più, a privatizzarci, a singolarizzarci, noi abbiamo bisogno di metterci insieme, di aiutarci, di condividere, di offrire ciascuno ciò che può offrire.
Il miracolo di Gesù ci offre un ulteriore significato: “quel che sembra impossibile spesso non lo è”. Essere credenti significa considerare l'impossibile come possibile. Sfamare cinquemila uomini, un’impresa impossibile! Ma non per Gesù. Non per chi crede veramente.
Le cose molte volte non sono impossibili; le immaginiamo tali, ma sono solo faticose: sono “impossibili” perché ci costringono a faticare, ci costringono a cambiare e a rivoluzionare la nostra vita. E questo ci spaventa, ci porta ad evitarlo.
Questo vangelo inoltre è anche un meraviglioso inno all'umiltà: “fidati di quel poco che sei, di quel poco che hai”. Cinque pani e due pesci è quello che noi siamo. Ben poca cosa!
Se consideriamo le nostre aspirazioni, le nostre capacità, le nostre doti, ciò che possiamo fare o che siamo capaci di fare, siamo effettivamente ben poca cosa.
Ma qui sta il miracolo della vita e del vangelo: ciò che per l'uomo è scarso, piccolo, limitato, per Dio è grande, prezioso, senza limiti. E se ci fidiamo di quel poco che Dio ci ha dato, faremo sicuramente cose grandi.
A tutti noi piacerebbe avere doti straordinarie, essere bravi musicisti, atleti, simpatici ed empatici, avere doti fuori dal comune, essere abili nell'informatica, nelle lingue, profondi e sensibili con le persone. Ma se avessimo tutto questo ci crederemmo sicuramente persone “superiori”, dotate di poteri divini, quasi altrettanti dei; per questo Dio, conoscendo bene questo pericolo, non ci ha concesso troppe capacità, si è fermato a “cinque pani e due pesci”.
Ma è proprio da qui che deve emergere la nostra fede: perché se ci fidiamo di quel poco che Dio ha messo nel nostro cuore, compiremo sicuramente cose grandi e meravigliose.
Dalla lettura del testo possiamo cogliere due atteggiamenti molto indicativi: quello dei discepoli, che non valorizzano quel poco che hanno, e quello di Gesù che, al contrario, prende la loro “miseria”, guarda il cielo (cioè ringrazia Dio per quel che c'è) e la benedice.
Sono gli stessi nostri atteggiamenti nei confronti della vita: possiamo cioè disprezzarla o benedirla. Possiamo cioè rinfacciare a Dio di non averci concesso quello che secondo noi meritavamo, e in tal caso viviamo praticamente in uno stato cronico di auto commiserazione; oppure possiamo ringraziarlo e benedirlo per ciò che siamo, e vivere in una laboriosa serenità.
Conosciamo molto bene l’antica esortazione: “Accettati per quello che sei”.
Ma in realtà difficilmente ci accettiamo, ci vorremmo diversi, più belli, più intelligenti, più simpatici, più atletici, più benestanti, e via dicendo: quando invece dovremmo imparare ad accontentarci, ad accettarci per come siamo; dovremmo in una parola imparare ad amarci, ad essere felici e soddisfatti anche se disponiamo di soli “cinque pani e due pesci”.
Aver fede significa appunto accettare con riconoscenza la nostra realtà, perché tutto, la vita stessa, è un grande dono che viene dall'Alto, viene da Dio; è Lui che ci ha creati, che ci ha voluti con la nostra specifica fisionomia. Recriminare, voler essere diversi, significa rimproverare a Dio di essersi sbagliato, di aver creato con noi qualcosa di scadente, di fatto male.
Mentre, al contrario, dovremmo avere l'umiltà di riconoscere che in quella minuscola e insignificante creatura che siamo, Egli ha lasciato il segno indelebile della sua grandezza, della sua forza, del suo amore: di conseguenza cambiare, diventare migliori, aspirare al Bene Assoluto, non è compito Suo, ma è un progetto a totale nostro carico, è la missione che Lui ci ha assegnato in questa nostra vita.
Capita invece che noi difficilmente ci lasciamo coinvolgere in questo: siamo decisamente contrari a crescere, a condividere, ad investire a favore dei “cinquemila e oltre” fratelli, i nostri “cinque pani e due pesci”. Soprattutto non accettiamo di venire sollecitati dall’esempio altrui, da quanto fanno i nostri vicini, i nostri amici, tutte quelle persone che vivono con fede la loro chiamata.
La nostra è comunque una meschina scappatoia, è un nasconderci dietro un dito; perché alla fine, il vero vincente non è colui che si ferma a guardare e criticare gli altri, ma colui che impegna seriamente i propri carismi, le proprie forze, le proprie potenzialità in una fraterna condivisione: senza grandi proclami, senza tante parole, ma con i fatti concreti.
Se poi nella risposta che Gesù ha dato ai discepoli (“date voi stessi da mangiare”) trasformiamo il soggetto in complemento oggetto, le parole acquistano un senso ancor più impegnativo: “date da mangiare voi stessi”, ossia “offrite la vostra persona in cibo per gli altri, condividete con i fratelli tutto ciò che siete, tutto ciò che avete”: il massimo della condivisione.
Non è un’assurdità: Gesù stesso ci ha lasciato a questo proposito un esempio sublime, reale e concreto.
Pensiamo infatti a quanto succede ogni volta nella santa Messa, nell’Eucaristia: Egli ripete a nostro beneficio lo stesso miracolo della moltiplicazione e condivisione; trasforma cioè la sostanza di un pane, che è ben poca cosa, nel suo Corpo, e lo divide fra tutti.
Un “niente” che diventa “Tutto per tutti”. E non basta: perché oltre al pane, Gesù trasforma anche noi, uno per uno, individualmente: assumendolo, cioè, Egli ci tocca dentro, ci scuote, ci commuove. Dobbiamo aver fede e saperlo ascoltare nel silenzio del nostro intimo: perché il suo è un tocco d’Amore che ci riscalda il cuore, ci travolge l’anima; ci impedisce di essere quelli di prima, ci rinforza, ci risana; insomma ci fa diventare “nuovi”, radicalmente diversi.
Se crediamo veramente in Lui e gli siamo fedeli, avremo la conferma che quel niente, quel nulla che siamo, diventerà con Lui ogni volta davvero tantissimo, una immensità! E il compimento della nostra missione diventerà sempre più lieve, più vicino, più attuabile. Amen.



Nessun commento: