Gv 13,31-35
Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Per capire il significato del vangelo
di oggi dobbiamo inserirlo necessariamente nel suo contesto originale,
altrimenti i riferimenti e il significato delle parole, sfuggirebbero alla
nostra comprensione Il testo infatti inizia con “Quando fu uscito…”: ma a chi si riferisce? Chi è quella persona
che, una volta allontanatasi, costringe Gesù a commentare quanto è appena
successo, spiegando ciò che subito dopo sarebbe successo? Cosa significano le
parole di Gesù: “ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio in lui?”
per che cosa? Ebbene: cerchiamo di dare un senso a questi interrogativi,
partendo dall’antefatto.
La scena si svolge all’interno del cenacolo, durante
l’ultima cena: Gesù ha appena finito di lavare i piedi ai dodici, e sta
raccomandando ai presenti di seguire il suo esempio, mettendosi a servizio
degli ultimi, di chi ne ha maggior bisogno. È un momento di grande intimità:
egli sta impartendo le ultime raccomandazioni, sta consegnando loro il suo
testamento spirituale: è serio, parla a voce bassa, confidenzialmente, lascia
emergere dal cuore tutta l’amarezza e l’inquietudine per il suo grande
sacrificio ormai vicino; improvvisamente tace; poi, proseguendo con voce rotta
dall’emozione, rivela un particolare tremendo: “Uno di voi mi tradirà” (Gv
13,21). Ne segue un silenzio tombale. In loro domina lo sgomento, il
dramma, la costernazione, ma si insinua anche il dubbio. Hanno bisogno di
chiarimenti, e gli chiedono increduli: “Ma Signore, chi mai può essere?”.
E Gesù: “È colui per il quale inzupperò il boccone, e glielo offrirò”. A
quel tempo, nei banchetti importanti, c’era l’usanza che il padrone di casa
offrisse il primo boccone all’ospite d’onore, in segno di deferenza e di stima.
È l’estremo gesto d’amore e di riguardo di Gesù nei confronti di Giuda il
traditore, nel tentativo di distoglierlo dal suo insano proposito. Ha già
provato in tutti i modi, gli ha dimostrato tutta la sua amicizia, la sua
disponibilità, il suo cuore generoso. Ma ogni suo sforzo non è servito a nulla:
Giuda rifiuterà ogni cosa, ed uscirà dal cenacolo perdendosi nelle tenebre
della notte.
A questo punto, una volta che Giuda è uscito dal cenacolo -
e qui inizia il nostro vangelo - Gesù offre ai suoi una spiegazione: ma lo fa
con parole ermetiche, di difficile interpretazione: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se
Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo
glorificherà subito”.
Cosa mai vuol dire Gesù
esclamando che è stato glorificato, quando in realtà, sbattendo la
porta, Giuda è appena uscito col proposito di tradirlo, e Lui sa che la sua
fine è ormai imminente? Perché parlare proprio ora così insistentemente di “gloria”,
di “glorificazione”, di “glorificare” (5 volte in due versetti)? Per
cercare di capirne il motivo, dobbiamo ricorrere al linguaggio biblico, che
molto spesso dà alle parole un significato diverso dal nostro: infatti i termini derivanti dal verbo “glorificare” in greco "dokèo", contrariamente al nostro lodare, esaltare, celebrare,
acquistano in Giovanni il significato di “rivelare, dimostrare, far
vedere a tutti”. Per cui Gesù, consapevole del
fatto che tra poco sarebbe iniziata la sua ora, dichiarando ai discepoli di
sentirsi “glorificato”, vuol dire che grazie al rifiuto di Giuda, l’imminente,
tragica conclusione della sua missione redentrice, avrebbe finalmente “rivelato”,
“reso noto”, (glorificato), che l’unica causa, il vero, assoluto “movente”
di tale sacrificio era l’amore: un sentimento profondo, infinito, condiviso da
entrambi per quel programma: l’amore di Dio Padre verso le sue creature, avendolo pensato e voluto fin
dalla creazione, e l’amore di Gesù Figlio verso il Padre, avendo accettato di realizzarlo.
L’elemento portante, quindi, di
questo “inno di gloria”, di questa “rivelazione” del piano di salvezza
voluto da Dio, assunto e realizzato da Gesù, è dunque l’amore.
Un sentimento fondamentale, che
ci offre la chiave di lettura del brano evangelico, ponendoci di fronte alle
nostre responsabilità: in pratica ci fa capire che anche noi cristiani, come ha
fatto Gesù, dobbiamo “glorificare” Dio; dobbiamo cioè “dimostrare”
di essere suoi degni figli e fedeli discepoli, rendendo evidente la sua
presenza nella nostra vita: in altre parole, dobbiamo donare gratuitamente il
nostro amore, la nostra comprensione, a quanti ne hanno bisogno, semplicemente amando;
cercando cioè, come raccomanda Paolo, “di rendere partecipi gli
altri, di quella sovrabbondanza di amore, che Dio ha riversato nei
nostri cuori (Rom 5).
Noi Dio non lo vediamo, è vero:
è difficile per noi amare chi non vediamo, chi non conosciamo personalmente,
chi è lontano da noi; abbiamo però il nostro prossimo, che vediamo
continuamente; abbiamo i nostri fratelli, che ci stanno sempre vicino: amando loro,
è come se amassimo Lui, perché chi ama loro, ama Lui. E Lui ama tutti: vicini o lontani dal suo cuore,
fedeli o infedeli alla sua chiesa, Dio ama veramente tutti, e lo fa senza
pretendere nulla in cambio, senza alcun obbligo da parte nostra, perché il suo
è un amore totalmente gratuito, un amore che è già nostro dal primo
istante di vita; perché è un amore conquistato e assicurato per tutti, dal
sacrificio di Gesù sulla croce. Tutto quello che noi dobbiamo fare, è
semplicemente accoglierlo, accettarlo, nient’altro. “Amatevi anche voi gli
uni gli altri”: questo
è il “comandamento” di Gesù: questo è il comandamento che Giovanni correttamente definisce “kainèn”, quello “nuovo”, non nel senso temporale di ultimo,
di quello “più recente” (avrebbe detto “néan”), ma “nuovo” per il suo contenuto, “nuovo”
nella sostanza, perché Gesù ha rovesciato completamente i contenuti della
vecchia tradizione, della Legge mosaica, ha rivoluzionato il concetto stesso di
Dio: trasformandolo da padrone esigente, in padre innamorato.
Un comandamento nuovo anche
perché: “Da questo tutti sapranno che
siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.
Parole di
estrema importanza, che meritano una più attenta considerazione proprio da
parte nostra, di noi cattolici “chiesaioli super praticanti”, che ci autodefiniamo
appunto “osservanti” grazie alle nostre
frequentazioni religiose domenicali. Gesù infatti non dice: “Si saprà che siete
miei discepoli se andate a messa tutte le domeniche, se dite il rosario tutti i
giorni, se ascoltate attentamente le prediche, se fate delle offerte generose”.
No, Gesù non dice questo. Anzi, all’epoca, egli si è dimostrato particolarmente
severo proprio con quella casta di scribi, di farisei e di custodi del tempio, che
si ritenevano gli unici osservanti perfetti, gli “eletti” da Dio.
Ciò che ci
deve quindi distinguere, non è l’apparire, il “fare”, il “dare”, l’essere
giudicati importanti, diversi dagli altri, magari insostituibili alla nostra parrocchia;
il vero “marchio”, quello che ci fa riconoscere come autentici discepoli di
Cristo, quello fondamentale, è uno solo: l’amore. I riconoscimenti, gli stemmi,
le insegne, gli abiti, le decorazioni, i riti, le celebrazioni, il canto, cose
di cui andiamo tanto fieri, contano ben poco, sono solo dei corollari, inadeguati
da soli a qualificare la nostra fede, la nostra vita interiore.
La nostra
risposta alla “chiamata” di Dio, la nostra coerenza nel seguire i suoi
insegnamenti, va quindi misurata solo ed esclusivamente sull’amore: a Dio, alla
famiglia, ai fratelli, al proprio stato, ai propri doveri di cristiano e di
cittadino; non su un amore “straordinario”, eroico, da prima pagina dei
giornali o da interviste televisive, ma sull’amore discreto, umile, nascosto:
in quei piccoli gesti d’amore, cioè, che non hanno bisogno di grande potenza,
di grande visibilità, ma che comunque raggiungono immediatamente lo scopo,
perché compiuti nella riservatezza, nell’umiltà, nel silenzio. Amen.