Lc 22,14-23.56 (passim)
1 Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio». Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi» […]
2) Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente. […].
3) Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.
La liturgia
di oggi ci presenta la storia della passione. Ogni evangelista offre un
resoconto “personalizzato” di come si sono svolti i fatti, di come lui li ha
“visti” con i suoi occhi. Un evento traumatico che ha “segnato” il cuore di
ciascuno in maniera diversa. Abbiamo infatti uno stesso racconto, ma con
sfumature diverse, con chiavi di lettura differenti: piccoli elementi che
rendono il racconto della passione non una semplice cronaca, ma una raccolta di
esperienze e di emozioni personali, con le quali ogni singolo autore ha voluto
lasciarci, di Gesù sofferente, una sua immagine personale, quella che lui,
rivivendola nella sua memoria, ha poi descritto per noi.
Si tratta, ripeto, di lievi sfumature, di piccole sottolineature, che
possiamo rilevare soltanto attraverso una lettura trasversale dei racconti:
annotazioni personalissime, quasi intime, ma di grande incisività, dalle quali
possiamo sicuramente trarre interessanti considerazioni e utili suggerimenti
per la nostra vita spirituale.
Accostiamoci allora umilmente alla lettura di questi testi: sicuramente
anche questa volta, come ogni anno, essi ci suggeriranno cose nuove, apriranno
il nostro cuore a nuove emozioni: ci parleranno della passione di Gesù, ma in
maniera diversa; forse avremo modo di identificarci meglio in un personaggio
piuttosto che in un altro; probabilmente ci colpiranno più in profondità
espressioni, che in passato non abbiamo colto, e che susciteranno in noi
sentimenti ed emozioni fino ad oggi sconosciuti.
Partiamo per esempio dal racconto di Luca.
Per Luca, Gesù è colui che perdona tutti.
Egli rende migliori i vari personaggi: i discepoli rimangono fedeli a Gesù
nelle prove; nel Getsemani si addormentano solo una volta e non tre come negli
altri racconti, e il loro è un sonno di “profonda tristezza”; gli
accusatori non presentano “falsi testimoni”; Pilato per ben tre volte
insiste nel volerlo liberare perché lo ritiene innocente; il popolo è “addolorato”
per ciò che succede e perfino uno dei due ladroni è fondamentalmente buono. In
Luca Gesù si preoccupa di tutti: guarisce l’orecchio del servo durante
l’arresto, si preoccupa per la sorte delle donne mentre sale sul Calvario,
perdona i suoi crocifissori e promette il paradiso al ladrone pentito.
Per Marco, invece, Gesù è l’abbandonato.
Tutti lo abbandonano, ma proprio tutti. I discepoli, dal monte degli Ulivi in
poi, lo lasciano solo: mentre Gesù prega, essi per ben tre volte si
addormentano; Pietro, riconosciuto come uno dei suoi discepoli, nega imprecando
di conoscerlo; un altro discepolo, Giuda, lo tradisce. Tutti fuggono: uno
perfino lascia lì la veste pur di fuggire lontano da lui. Romani e Giudei sono
cinici: lo lasciano appeso alla croce sei ore e durante tutto questo periodo lo
scherniscono. Perfino quando Gesù, morendo, esclama: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, lo deridono.
Insomma in Marco i suoi amici più cari, quelli più intimi, quelli con i quali
aveva condiviso le gioie e le fatiche, quelli che avevano detto: “Noi, non ti
abbandoneremo mai; noi ci saremo sempre per te; su di noi puoi contare”,
perfino quelli, nel momento critico, se ne vanno.
Per Giovanni, Gesù è l’uomo/Dio che va incontro consapevolmente e
volontariamente al suo destino. Anche se viene condannato e giustiziato, in
realtà è Lui il vero vincitore. È il sovrano per eccellenza, il padrone di sé
stesso che lancia una sfida: “Io offro la mia vita per la salvezza di tutti,
ma poi me la riprendo di nuovo. Perché nessuno può togliermela!”.
Nel Getsemani egli non prega il Padre di liberarlo
dall’ora della prova e della morte, come avviene negli altri vangeli, perché
quell’ora costituisce lo scopo di tutta la sua vita terrena.
I soldati romani e le guardie del tempio, che vanno
ad arrestarlo, cadono a terra tramortiti quando egli ammette la sua identità
dicendo: “Sono io”. Gesù è così sicuro di sé che il sommo sacerdote si
sente offeso; Pilato ha paura di fronte al Figlio di Dio che gli dice: “Tu
non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse dato dall’alto”.
Inoltre: Gesù porta da solo la propria croce, senza l’aiuto del Cireneo; la sua
regalità è confermata in tre lingue; Egli non è solo ai piedi della
croce, ma con lui c’è sua madre e il discepolo che egli amava; non grida: “Dio
mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”, perché il Padre è sempre con lui;
le sue ultime parole esprimono, invece, la fine della sua “missione”, la
consapevolezza di aver eseguito puntualmente quanto previsto dal Padre: “Tutto
è compiuto”. Perfino la sua morte è fonte di vita perché da lui sgorga
acqua viva. La sua sepoltura non è improvvisata, come negli altri vangeli;
grazie a Nicodemo, il corpo è cosparso di cento libbre di mirra e di àloe, come
si conviene ad un re.
Perché lui è il vero re: è colui che dominando
sempre la scena, porta a compimento la sua missione fino in fondo, con grande
dignità e regalità.
Infine Matteo. Egli cerca di dare una risposta al
quesito drammatico che lacera la sua anima: chi è il vero colpevole
della morte di Gesù? Egli è categorico: per lui tutti, in qualche modo, hanno
contribuito alla sua crocifissione: chi direttamente, chi indirettamente; chi
operando in tal senso, e chi non facendo nulla per evitarla.
Vediamoli allora da vicino questi personaggi
descritti da Matteo, identifichiamoli con il loro nome; cerchiamo di capire
anche noi la loro personalità, così come l’evangelista ce lascia intuire.
Iniziamo per esempio con Giuda? Giuda s’impicca
perché si rende conto di essere stato un fantoccio in mano ai sommi sacerdoti:
non è stato altro che una insignificante pedina mossa da imbroglioni e
truffatori in una partita truccata. È una nullità che per denaro, per avidità,
vende Gesù e, tutto sommato, vende sé stesso. Poi schiacciato dai rimorsi, non
regge e si uccide. Come lui sono tutte quelle persone pronte a disfarsi di
tutto ciò che hanno di più bello: non si accorgono che per il successo, per la
carriera, per il denaro, per i soldi, stanno svendendo l’anima. Poi un bel
giorno si svegliano e si accorgono di essere dei falliti, vuoti, insoddisfatti,
senza più nulla; si lasciano andare alla deriva, consumano inutilmente la loro
vita nell’apatia e nell’indifferenza, finché un giorno, davanti alla morte, si
accorgeranno che la loro anima è morta già da molto tempo!
Proseguiamo poi con Pietro? Pietro
è l’uomo dei grandi entusiasmi: “Io non ti rinnegherò mai, Signore”. È l’uomo
dalle acute intuizioni, dalle solenni affermazioni, cui fanno seguito rovinose
cadute, immediati ripensamenti, che annullano ogni sua fermezza, ogni suo
proposito. È l’uomo “roccia” per eccellenza, il più affidabile tra i discepoli,
che però, in maniera puerile, d’impulso, tradirà per ben tre volte il suo
maestro e amico. Come Pietro sono tutti coloro che non si conoscono in
profondità: gente che si eccita all’idea di spaccare il mondo, che fa progetti
ambiziosi, che promette amore eterno, che giura eterna fedeltà, ma che al
dunque si defilano, si rivelano degli eterni inconcludenti. Forse in cuor loro
sono anche convinti nei loro entusiasmi, ma purtroppo sono dominati da tanta,
troppa, presunzione; o, più semplicemente, da tantissima ignoranza: insomma non
si conoscono, non conoscono i risvolti, le conseguenze delle loro affermazioni;
non sanno cosa significhi “fedeltà, continuità, lotta, sacrificio”. Sono tutti
quei cristiani tiepidi, superficiali, che si accostano puntualmente ai
Sacramenti, che vanno a messa tutte le domeniche, che pregano Dio ogni giorno,
che gli promettono a cuore aperto, amore, dedizione, lealtà: ma poi? Sono
quelli che dopo una meditazione, una catechesi, un ritiro, una bella predica,
giurano con entusiasmo a Dio di seguirlo con passione, di amarlo concretamente
nei fratelli, attraverso una vita di intensa carità: ma poi? Sono quelli che,
dopo ogni peccato, dopo ogni caduta, ogni infedeltà, si pentono sinceramente,
promettono a Dio di non ricadere mai più nelle loro miserie umane, promettono
di convertirsi, di cambiare completamente vita: ma poi?...
Così come anche Pilato? Pilato se ne lava le mani e
con questo gesto crede di tirarsi fuori, di essere esente da ogni
responsabilità. Ma come lui sono tutti quelli che dicono: “Io non c’entro”, e
si credono a posto, si sentono tranquilli. Se c’è un problema in famiglia con i
figli, se ne lavano le mani. Se c’è un problema nella comunità in cui vivono,
non è un problema loro. Di fronte a chi soffre, a chi ha dei gravi problemi, a
chi è in difficoltà, si tirano indietro: “cosa c’entro io? Ci sono gli
incaricati per risolvere questi problemi, ci pensino loro!”.
O come la folla? La folla è “il popolo bue”, la
gente che si lascia condizionare dall’ultima moda, dall’ultima tendenza. I
sacerdoti e gli anziani urlano “Barabba”: e tutti loro fanno così. Uno li
precede urlando, e tutti a seguirlo urlando. La folla raccoglie soprattutto le
persone labili che si lasciano condizionare, influenzare: quelli che si
rifiutano di ragionare sulle cose, che vivono di frasi fatte, preconfezionate,
delle chiacchiere che raccolgono in giro.; quelli che non riescono a sostenere
un ideale, una posizione personale; quelli che assorbono avidamente qualunque
panzana del politicante di turno; quelli che stupidamente pensano che il Grande
Fratello o l’Isola dei Famosi, rappresentino importanti esperienze culturali di
vita.
La folla non ha personalità: si presenta soprattutto
in “gruppi”, associazioni, movimenti, nei quali i “singoli” che ne fanno parte,
preferiscono non assumersi responsabilità dirette; è successo all’epoca con
Gesù, e succede ancora oggi: ogni santo giorno, in cui la moderna folla
continua tranquillamente a crocifiggerlo.
Gesù però, nella sua misericordia, continua a
perdonare tutti, continua a “giustificare” il mondo: “non sanno quello che
fanno!”. La gente si comporta così, perché vive nel buio, nelle tenebre,
nell’ignoranza: fondamentalmente non è cattiva, ma è profondamente inquieta,
turbata, ansiosa, vive in una totale cecità spirituale: non riesce a liberarsi,
a dar voce al proprio caos interiore; non conosce sentimenti vitali, come la
misericordia, la tenerezza, l’amore.
Gesù ci perdona non perché condivida ciò che
facciamo; ma perché sa che siamo ignoranti, siamo ciechi, confondiamo
facilmente il male con il bene e il bene con il male; siamo convinti di essere
religiosi, praticanti, quando al contrario viviamo lontani da Dio.
Quante persone oggi vivono così! Credono di essere i
padroni della loro vita, i programmatori della loro esistenza, quando invece
sono semplici spettatori, oziosi e indifferenti, degli eventi che passano
veloci. Dicono: “La vita è mia, tutto dipende da me”, ma non si accorgono che è
la vita stessa che li coinvolge nelle varie situazioni. Credono di conoscersi,
ma non sanno dire né chi sono, né cosa realmente vogliono; credono di conoscere
Dio, la religione cattolica, la Chiesa, i sacramenti, perché hanno letto
qualche libro, hanno visto qualche trasmissione televisiva, o ascoltato qualche
catechesi. Ma non è con le chiacchiere, non è facendo sfoggio di una pseudo
cultura, posticcia e approssimativa, che si dimostra di conoscere e amare Dio.
Anzi è proprio l’ignoranza, soprattutto quella “travestita”
orgogliosamente da “conoscenza”, che uccide, distrugge, umilia ogni
nostro entusiasmo, ogni nostro passo verso una fede autentica.
Nonostante tutto ciò, nonostante la nostra vita
continui ad essere tiepida e inconcludente, al minimo cenno di un nostro
risveglio, di un nostro pentimento, di una nostra resipiscenza, Egli è sempre
pronto a perdonarci. Perché questo è l’unico scopo per cui ha accettato il
patibolo della croce.
Viviamo allora questa settimana santa, in
preparazione alla Pasqua, meditando nel silenzio del nostro cuore i racconti
della Passione di Gesù: leggiamo e ascoltiamoci. Sentiremo parole che già
conosciamo bene, ma quest’anno non siamo più quelli dell’anno scorso: forse il
nostro cuore ha bisogno di altre rassicurazioni. E allora, nel silenzio
adorante di chi è consapevole di trovarsi di fronte non solo alle vicende del
Figlio di Dio, ma anche alle nostre singole vicende umane, lasciamo che queste
parole ci entrino dentro e portino pace e serenità alla nostra anima. Amen.
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