“Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce…” (Gv 1, 6-8. 19-28).
Oggi ci
viene dipinto da Giovanni, l'evangelista suo omonimo, come un “testimone”, un
“indicatore”; noi moderni diremmo come un “navigatore stradale”, un cartello
segnalatore che dice: “Non guardate me, guardate più in là, oltre me: andate
nella direzione che io vi indico”.
Il
Battista è qui enigmatico, non spiega, non dice chi verrà né come verrà. Dice
soltanto: “Preparate la via… verrà uno che non conoscete… e io di fronte a
lui sono niente”.
Bene: è
proprio questo lo spirito dell’avvento. Giovanni “sente” che qualcosa deve
succedere, che qualcosa deve arrivare; e attende, aspetta. Sente che sta per giungere
qualcuno, ma non sa esattamente chi.
Attendere,
vuol dire aspettare qualcosa di nuovo, di diverso, di insolito, che deve
arrivare. La vita è una continua attesa; dobbiamo infatti conservare la
sorpresa, l'imprevisto, il poter essere “sorpresi”, perché se conosciamo già
tutto, se abbiamo già provato e scritto tutto, che vita è? Che attesa è?
Prepararsi
pertanto vuol dire: “Acconsenti che ti succeda qualcosa di cui non puoi
disporre, che non puoi controllare, che non puoi gestire. Permetti che la vita
ti faccia delle sorprese”.
Noi invece,
per natura, tendiamo a controllare tutto. Pianifichiamo tutto. Vogliamo gestire
tutto, o per lo meno ci proviamo. Ma Dio è l’ingestibile, è il sempre nuovo, è
il più grande, è l’oltre, il “più in là” rispetto a noi. Se, incontrandolo, Dio
non ci sorprende, non è Dio. Se Dio non ci spiazza, non è Dio. Se Dio qualche
volta non ci scuote rudemente, magari con un salutare ceffone, per svegliarci, per
scuoterci, per rientrare nei ranghi, per farci capire che è Lui che ci ama
incondizionatamente, che è Lui il nostro unico bene, non è Dio.
Dio lo
troviamo molto di più nell’imprevisto, piuttosto che non in tutto ciò che noi pre-vediamo.
Lasciamoci allora sorprendere dalla Vita! Permettiamole di manifestarci tutta
la sua importanza, la sua ricchezza. Ricordiamoci che Dio/Vita lavora sempre per
noi, con noi, mai contro di noi; se lo intralciamo, se lo ostacoliamo, lo
facciamo contro noi stessi.
Nel
vangelo viene posta a Giovanni Battista una domanda che dovrebbe farci molto
riflettere: “Chi sei tu?”. Già: “Chi siamo noi?”. Risposta: “Sono un uomo, una donna, un marito, una mamma,
un bravo cristiano!”. Sì, d'accordo, noi siamo tutto questo, ma non è tutto. Questo,
semmai, è il nostro “ruolo” provvisorio, è il vestito che indossiamo
nella vita, ma “dentro”, chi siamo noi?
Il ruolo, quella parte di noi cioè
che ci distingue, quella esterna che gli altri vedono, è infatti limitato, è
limitante: ci permette di vivere solo una vita parziale, circoscritta.
È vero, tutti abbiamo un ruolo nella
vita: molti però vivono sempre e soltanto quello. Sicuramente perché recitare
sempre la stessa parte, continuare a vivere nei panni dello stesso personaggio,
ci rassicura: lo capiamo, lo interpretiamo bene, ci è familiare. E non ci
accorgiamo che un po’ alla volta ci ingabbia, ci riduce in schiavitù, ci
impedisce di vivere la nostra totalità. È l’aspetto negativo del “ruolo”,
perché purtroppo sono in tanti quelli che, strada facendo, rinunciano alla
parte migliore di loro stessi, perdono la loro identità spirituale, il loro
essere “altro”, essere “Spirito”: non se ne accorgono, si ostinano a “interpretare”
una vita incompleta, sterile, esanime, immedesimati esclusivamente nel loro
ruolo esteriore.
Per cui la domanda rimane invariata: “Al
di là di tutti i ruoli, di tutti i nostri travestimenti materiali, chi
siamo noi?”. Chi siamo noi, dentro, in profondità, nell’intimità
dell’anima?
Questa è la domanda cui dobbiamo rispondere.
Cos’è che ci rende originali, irripetibili, esclusivi, rispetto a tutte le creature
del mondo? Cos’è che ci rende diversi? Chi ci rende unici davanti a Dio? È il
suo Spirito: è il suo “soffio vitale”. È l’impronta creatrice di Dio che
ci ha voluti a sua immagine e somiglianza.
Ora, non coltivare con grande impegno, con
cura, questa nostra identità divina, non cercare di migliorarla, di accrescerla,
di perfezionarla, significa accettare passivamente di “cosificarci”, di
alienarci, di ritornare la “massa” informe di fango primordiale; significa che l’essere
“unici”, essere preziosi agli occhi di Dio, conosciuti per nome, amati
singolarmente da Lui, non ci interessa, non ci attira, non ci esalta, non ci
commuove; significa che non proviamo alcun rimorso, alcuna vergogna di
rifiutare questa nostra dignità soprannaturale; che non proviamo alcun
imbarazzo assimilandoci ai tanti fantasmi in circolazione, a quella miriade di doppioni
senza valore, che volutamente rinnegano il loro “originale”, soffocano la loro
anima, rifiutano stupidamente lo Spirito di Dio; significa insomma scegliere di
essere dei morti viventi, la cui vita è non-vita, ogni loro azione inutile,
ogni ideale inattuabile.
“Tu,
chi sei? Egli confessò e non negò...”. Il
Battista inizia a dire prima di tutto cosa non è: “Non sono Elia, né Cristo,
né un profeta”. È importante rifiutare subito i ruoli che gli altri ci attaccano
addosso, tutte le etichette che ci incollano; è importante ribellarsi e dire
agli altri: “No, non sono uguale a voi, non sono come voi! Io sono io; non sono
te e nessun altro. Io ho il mio nome. Non vi piaccio come sono? Non soddisfo le
vostre aspettative? Non rientro nei vostri schemi? Pazienza!”. È l’inizio della
libertà. Della nostra libertà. Perché noi siamo “altri”!
Affermare
la propria identità, di non essere ciò che gli altri vorrebbero, toglierci tutte
le maschere, le definizioni, le incrostazioni che gli altri ci hanno sovrapposto,
è un’operazione molto impegnativa, difficile, spesso anche dolorosa.
Ma se
coraggiosamente ci togliamo di dosso ciò che non ci appartiene, che deturpa il
nostro essere “unici”, pian piano emergerà la nostra originalità, chi siamo
veramente, immagine e somiglianza di Dio.
“Io
sono voce di uno che grida: Preparate la strada”. Giovanni è dunque un profeta; è
questo il suo ruolo: ma oltre a ciò, egli ha trovato chi è veramente, la sua
vera identità, ha capito qual è esattamente la sua missione: “Essere voce”.
Egli ha trovato il vero motivo per cui vivere, la ragione per cui è stato
creato, ciò che dà senso e valore alla sua vita. Lui è la “voce” che
deve dire a tutti: “State attenti, preparate la via al Signore, non dormite,
non sonnecchiate; il Signore vi passerà vicino, non lasciatevelo scappare! Dio
c’è, ma se voi insistete a tenere gli occhi chiusi, non lo vedrete mai!”.
Il
Battista dà, presta la voce, ma le parole sono di un Altro. È testimone della Luce,
illumina anche, ma non è la Luce. È come la luna che riflette una luce non sua;
non è lei la fonte della luce: la sua “luce” viene dal sole.
Questo
è il Battista: e come il Battista, dobbiamo essere anche noi “voce”;
dobbiamo essere strumento, mezzo, veicolo di Qualcun altro. Dobbiamo
cioè essere l’amplificatore, l’altoparlante della Voce che sussurra al microfono
del nostro cuore.
È questo
il nostro compito principale, primario: dare voce all’Infinito, al Dio,
all’Oltre; dare voce alla Forza, allo Spirito che ci scuote dentro, ma che non
ci appartiene.
Sì,
perché noi viviamo in Lui: la vita non è nostra. Noi siamo padri, madri, ma la
paternità, la maternità, non è nostra, non la possediamo. Noi siamo veri, ma la
verità non viene da noi, siamo liberi, ma non siamo la libertà. Noi danziamo,
ma non siamo la danza. Noi facciamo esperienza di Dio, lo sentiamo, lo
percepiamo, ma non siamo Dio.
Il
soggetto è sempre e solo Dio. È Lui che parla, Lui che ispira, Lui che chiama.
Il
grande male dell’uomo è sentirsi proprietario delle cose e delle persone.
Sentirle sue, quando non lo sono affatto. L’uomo è soltanto un “amministratore”
del creato, è semplicemente la “voce” che deve esprimere lode e riconoscenza al
Creatore di tutto.
Anche
quest’anno Dio busserà al nostro cuore. Vuole ancora una volta ri-nascere
dentro di noi. Gli apriremo il nostro cuore? Lo riconosceremo? Gli crederemo?
Fermiamoci un istante per tempo, e pensiamoci. Seriamente. Amen.