«Quando
verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 15,26-27;
16,12-15).
L’Ascensione
al cielo di Gesù ha concluso il tempo della sua vita terrena, della sua
presenza materiale, delle sue apparizioni post pasquali; con la Pentecoste, che
celebriamo oggi, si apre quindi per i seguaci di Gesù un tempo nuovo, il tempo della
Chiesa, dello Spirito Santo, il tempo degli uomini.
Ma cos’è
successo in questi ultimi “cinquanta
giorni”? Con la morte di Gesù, gli apostoli cadono nello sconforto, nella
paura, nella delusione. Si rinchiudono nel Cenacolo, tutti insieme, terrorizzati.
Il Cenacolo, in cui tutto ricorda ancora la recentissima “cena” con Gesù, è per
loro come un grembo materno; lì si sentono al sicuro, protetti, al riparo da
occhi indiscreti. I giorni trascorsi dalla Pasqua fino ad oggi, sono stati per
loro un tempo di profonda crisi, di severa analisi della loro vita attuale, delle
loro scelte. Improvvisamente, come un terremoto, con il frastuono di un uragano, lo Spirito del Signore scende nei loro cuori, nelle loro menti, rivoluzionando completamente la loro esistenza. I loro pensieri, le loro incertezze, la loro vita, che prima andavano in un senso, ora improvvisamente cambiano direzione. Da timorosi, dimessi, spaventati che erano, diventano forti, intrepidi, battaglieri: lo Spirito li ha completamente trasformati: e grazie alla loro totale adesione, diventano “altri”. Questo è lo stile dello Spirito, e noi dobbiamo lasciarci docilmente sopraffare.
Certo, non è una cosa semplice, da nulla; si tratta di prendere in mano così, su due piedi, la nostra vita, o lasciarci andare. Perché lo Spirito è impetuoso, stravolge in un istante le nostre sicurezze terrene, i nostri progetti, i nostri rifugi mentali, nidi della nostra tiepidezza.
Quando invochiamo lo Spirito, dobbiamo quindi essere pronti ad accettarne le conseguenze: il nostro radicale cambiamento non potrà più essere rimandato, non potremo più accampare scuse, deve essere affrontato immediatamente. Con generosità, senza calcoli o sconti.
L’irruzione dello Spirito è sempre accompagnata da una crisi. Il termine “crisi” in greco vuol dire “separare, distinguere, dividere”: la crisi è quindi un punto di rottura, di separazione, un momento in cui è necessario distinguere nella nostra vita ciò che dobbiamo tenere e ciò che dobbiamo abbandonare; riconoscere il nuovo e avere il coraggio di lasciare il vecchio.
È quindi impossibile crescere, evolvere, rinascere, cercando di sfuggire alle tante crisi che accompagnano la nostra vita. Ci sono le crisi dell’età: gli anni che scorrono velocemente e inesorabilmente; il passaggio dalla giovinezza all’età matura; i sessant’anni; la morte improvvisa delle persone che amiamo; l’abbandono di una persona amata che si allontana da noi; le disavventure e le difficoltà economiche, la perdita del lavoro. Ci sono le crisi mentali, spirituali: la fede che non ci sorregge più; la necessità di maggiori certezze; il decadimento delle nostre certezze, delle nostre convinzioni. Ci sono le crisi affettive: sentiamo che il nostro modo di amare non va più bene, ha bisogno di nuovi impulsi, di nuova vitalità, di maggiore profondità; emergono paure, blocchi mentali, sensazioni destabilizzanti, fino ad allora sconosciute; ci accorgiamo improvvisamente di non essere poi così liberi come pensavamo.
Ogni crisi comporta sofferenza, conflittualità interiore, ma ci matura, ci rende più forti, ci scuote nel profondo: esattamente come avviene con la discesa dello Spirito, momento topico in cui dobbiamo lasciare spazio alla vita, quella Vita che ci rende più veri, più maturi, più liberi, più trasparenti; il momento in cui Dio ci modella, ci plasma, ci forgia, per tornare ad essere come all’origine simili a Lui, a sua immagine perfetta. Chi evita la “crisi”, continuerà a rimanere infantile, involuto, mediocre nella sua stoltezza, uno scarabocchio vivente.
La festa di Pentecoste esprime dunque una verità fondamentale: Dio abita dentro di noi. Dio non è più presente fisicamente in mezzo a noi, ma è presente in noi con il suo Spirito.
Purtroppo tanti cristiani, troppi in realtà, quando si parla di “Spirito Santo” rimangono interdetti, non sanno cosa dire. E non sanno cosa dire perché non lo conoscono, non l’hanno mai percepito, mai sperimentato, mai vissuto. Molti pensano che lo Spirito sia una “fissa” dei preti, un accessorio inutile, un di più di cui oggi se ne può anche fare a meno. Stanno benissimo così come stanno.
Errore macroscopico: lo Spirito non è un supplemento, non è un optional superfluo; è un elemento vitale, un elemento essenziale: è quel “soffio vitale” che Dio ha inspirato in noi fin dal primo istante di vita, anzi è Lui stesso, Dio, il nostro sussistere, la nostra vita, anche se il più delle volte non ne siamo consapevoli.
Pertanto, essere dello Spirito, essere “spirituali”, non vuol dire pregare continuamente, fare grandi donazioni di carità, compiere solo azioni pie e religiose, frequentare la chiesa assiduamente, partecipare devotamente ad ogni pellegrinaggio. Sono semplici corollari. Essere “spirituali” vuol dire fondamentalmente essere creature dello Spirito di Dio, vuol dire far trasparire, dimostrare apertamente chi è Colui che abita dentro di noi; far capire a tutti che è Lui che guida la nostra vita, che è Lui il nostro Consigliere, il nostro Assistente, il nostro Avvocato difensore. Essere “spirituali”, insomma, significa “indossare” quello stesso “stile di vita” che fu di Cristo, vivere cioè come “uomini nuovi”, che stanno nel mondo senza essere del mondo.
Il mistico cristiano Meister Eckhart diceva: “Tutte le creature sono orme di Dio... Dio dopo aver creato l’uomo non l’ha abbandonato, non se n’è andato per la sua strada, ma è rimasto in lui”.
Grande verità: solo che noi, quando guardiamo qualcuno, un fratello, notiamo tutto, osserviamo anche i particolari più insignificanti, ma non ci accorgiamo della presenza di Dio in lui. Ci fermiamo all’esterno, alle apparenze, quando invece dovremmo andare oltre, dovremmo entrare dentro, ammirarne l’anima, la Luce, sapendovi cogliere la forza, il desiderio nascosto di Vita. Dovremmo in una parola riconoscere e amare lo Spirito, forza dell’Amore di Dio, che inabita ogni essere umano.
Noi
siamo troppo distratti, siamo indifferenti allo Spirito, perché abbiamo un
sacco di cose da fare: viviamo nell’ansia, nell’assillo quotidiano; nel nostro
intimo siamo sempre insoddisfatti, mai pienamente felici. Ma non ci chiediamo
mai il vero motivo di questa nostra irrequietezza, di questo nostro nervosismo.
Cerchiamo di farcene una ragione, accusando lo stress, la vita caotica da cui
tutti sono schiavizzati; ma la verità è che non vogliamo capire cos’è che non
va in noi, preferiamo continuare a correre, a fare, a produrre, convinti di
“crescere”, e non ci accorgiamo di rimanere fermi, immobili, concentrati solo sul
materiale. Non riusciamo ad entrare nello Spirito. Questo è il problema. Non
riusciamo a riconoscere il divino, non riusciamo a vedere il “nostro” Dio, che nonostante
tutto alimenta pazientemente la nostra vita.
Purtroppo viviamo in una società che è incapace di guardare allo Spirito di Dio, concentrata com’è sull’avere, sul benessere, sull’egoismo. È vero: ci scandalizziamo per le nefandezze che succedono nel mondo, per le atrocità trasmesse dai telegiornali, senza pensare che dipendono anche da noi, da come viviamo, dai costumi e dalla mentalità della nostra società contemporanea: una società che non sa più pregare, che non sa più fare silenzio, che è incapace di comunicare con la propria anima; una società ormai alla deriva: sganciatasi dallo Spirito, ha fatto del materiale l’unico scopo di vita.
Purtroppo viviamo in una società che è incapace di guardare allo Spirito di Dio, concentrata com’è sull’avere, sul benessere, sull’egoismo. È vero: ci scandalizziamo per le nefandezze che succedono nel mondo, per le atrocità trasmesse dai telegiornali, senza pensare che dipendono anche da noi, da come viviamo, dai costumi e dalla mentalità della nostra società contemporanea: una società che non sa più pregare, che non sa più fare silenzio, che è incapace di comunicare con la propria anima; una società ormai alla deriva: sganciatasi dallo Spirito, ha fatto del materiale l’unico scopo di vita.
Eppure davanti
a noi abbiamo sempre due opzioni, due stili di vita da scegliere: essere
materia o Spirito: siamo materia quando vediamo nell’amico, nella persona che ci
chiede aiuto, uno che importuna, che scoccia, che dà fastidio; siamo Spirito se
vediamo in lui un fratello che soffre, uno che magari è oppresso dalle
difficoltà della vita; siamo materia quando al mattino pensiamo in negativo: fastidi
da superare, contrarietà da appianare; siamo Spirito se pensiamo in positivo: un
altro giorno regalatoci da Dio per godere della sua infinita bontà e
misericordia; siamo materia quando guardiamo alla nostra vita in termini di
successo, di conquiste, di notorietà, di benessere, di posizione sociale; siamo
Spirito quando iniziamo a percepire e a seguire le aspirazioni del nostro cuore
e della nostra anima; siamo materia quando sull’altare della Messa vediamo solo
del pane e del vino, e siamo Spirito se vediamo in quel pane e in quel vino il
corpo e il sangue di Cristo, la sua amorosa presenza.
Tutto dunque
per noi può essere materia, tutto può essere Spirito: dipende solo da noi; da
come ci poniamo, da come viviamo, dalle priorità che stabiliamo nella nostra
vita. Ben venga allora questo uragano dello Spirito! Scenda nei nostri cuori una nuova scintilla divina che rianimi il fuoco dell’Amore che langue. Abbiamo assoluto bisogno di una nostra Pentecoste, una crisi, uno scossone, una ventata dello Spirito che ci costringa ad uscire dai nostri cenacoli di miseria e di paura. Uno Spirito che ci aiuti a camminare nuovamente a testa alta, sulle vie della vita, incuranti delle lusinghe diaboliche, e gridare al mondo intero: “Dio è con me, Dio è in me, niente e nessuno potrà mai più sopraffarmi!”. Amen.