“Andate in tutto il mondo e
proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà
salvato, ma chi non crederà sarà condannato”.
Dio lascia
questa terra e sale in cielo. È l’ascensione. Da quel momento Lui non è più
materialmente presente su questa terra; ci ha lasciati, ma solo materialmente:
perché il suo Spirito sarà sempre con noi, “fino alla fine dei secoli”. Lui è
la forza che ci sorregge, è la fiducia, la vita; a Lui possiamo ricorrere
continuamente, da Lui possiamo sempre attingere grazia a piene mani.
Lui è
tornato al Padre: non sarà più Lui ad agire di persona quaggiù, ma lo farà
nostro tramite: dobbiamo essere noi infatti le sue mani, i suoi piedi, i suoi
occhi, la sua voce. “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”. È questo il delicato e fondamentale compito che Egli ci ha affidato al momento del suo commiato.
Una volta si cercava di attuare queste parole mediante le missioni a tappeto, le guerre “sante”, le conversioni in massa degli infedeli: “Bisogna convertire il mondo. Bisogna rendere cristiani tutti gli abitanti del mondo. Bisogna battezzare tutti”.
Ma Gesù non vuole imporre nulla a nessuno, non vuole conquistare nessuno, né tantomeno fare seguaci con la forza. Gesù vuole solo che il suo annuncio di salvezza, il vangelo, arrivi a tutti: “Guarda, amico mio, che Dio è già dentro di te; tiralo fuori, fallo vivere, esprimilo. Io vengo solo per convincerti a guardarti dentro per capire chi è Colui che vive insieme a te”.
È quanto Lui faceva per le strade della Palestina: e chi gli credeva, guariva dalle malattie del corpo (ciechi, zoppi, lebbrosi, ecc.), e dalle malattie della vita (depressione, attaccamento, paura di ogni cosa, indifferenza, voglia di morire); guariva dall’aridità del cuore, dalla freddezza e dalla rigidità interna. Alcuni di questi credenti poi erano così “presi”, così entusiasti, così “toccati” da questa nuova prospettiva, che lasciavano tutto (casa, famiglia, moglie, figli, lavoro, giudizio della gente) e lo seguivano. Erano così cambiati, da chiamare “vita vera, vita autentica” perfino la morte corporale.
Per quanto ci riguarda, allora, non si tratta tanto di mettere qualcosa di “nuovo” dentro al loro cuore, ma di aiutarli a relazionarsi con quel Qualcuno che già posseggono! Significa realizzare la possibilità di un incontro personale, concretizzare un’esperienza che tutti possono e devono fare. Nessuno ha l’esclusiva di Dio. Dio non “appartiene” a nessuno: non è né mio né tuo. Non è neppure della Chiesa cattolica: semmai è la chiesa cattolica che appartiene a Dio. Nessuno può dire: “Io conosco già abbastanza di Dio, e questo mi basta”; al contrario: “Io voglio far crescere ogni giorno di più quel poco che conosco di Dio per viverlo coerentemente”. La catechesi, la predicazione, non devono cercare di annunciare un Dio nuovo: devono semplicemente far capire lo splendore, la grandezza, la potenza di quel Dio che, nel suo amore infinito, vive già in ogni creatura umana.
Tutti
abbiamo Dio in dono (siamo di Dio!). Ma tutti lo abbiamo in maniera “diversa”,
con personalissimi carismi: “Tu hai la tua esperienza di Dio; io la mia. Non
devi darmi ad ogni costo la tua; aiutami soltanto a trovare la mia”.
Dio non
è una formula, né una preghiera, né una pagina di catechesi: Dio è una
presenza. Educare a Dio vuol dire mettere gli altri in collegamento, in
relazione, col Dio che già vive in loro. Altrimenti non facciamo “annuncio”, ma
“costrizione”, imponiamo soltanto la nostra idea, la nostra immagine di Dio
(piena tra l’altro dei nostri personalismi), senza pensare che in questo modo allontaniamo
la gente dal “loro” Dio. Questo è il nostro compito, questo vuol dire continuare l’opera di Gesù, questo vuol dire lavorare in stretta collaborazione con lui.
Il vangelo è chiaro: “Essi (cioè noi) partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano” (16,20).
Sono le ultimissime parole del vangelo di Marco: la storia di Gesù finisce qui; da questo momento inizia quella della sua Chiesa, inizia la “nostra” storia.
Ma non dobbiamo mai dimenticare che è sempre Lui che “opera” attraverso di noi: è Lui che “conferma” quello che di buono facciamo in suo nome.
“Operando insieme”, in greco è “sinerguntos”, da “sin-ergo”: collaborare, cooperare, essere coadiutore, socio, collega; agiamo cioè in “sinergia” con Dio, solo che noi siamo il telaio, le ruote, il volante; Lui è il motore, la potenza, la forza motrice, la energheia.
Possiamo dire che c’è in atto una stretta cooperazione: Lui fa sempre la sua parte; ma noi?
“Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi non crederà sarà condannato”.
Per Gesù “salvezza” significa vivere alla luce del vangelo, significa vivere una vita vibrante, appassionata, una vita che esprima gioia, in cui l’amore scorra copioso; una vita in cui poter andare con la fede oltre le nostre piccolezze, i nostri limiti; in cui poter incontrare veramente Dio, venire infiammati dal suo amore.
Il vangelo, a questo proposito, enumera anche i segni che distingueranno coloro che credono, i “salvati”.
“Scacceranno i demoni”: nel vangelo i demoni parlano e hanno voce, esattamente come nella nostra vita: sono tutto quel vociare, quell’ammasso di programmi, di discorsi, di prediche, di schemi inutili; quel peso superfluo che ci appesantisce, che ci impedisce di volare in alto, che ci uccide d’inedia, che ci fa morire di sovrappeso. Noi possiamo scacciare tutti questi demoni, queste voci, questi schemi: possiamo liberarci di tutta questa zavorra che non ci conduce a Dio, ma lontano da lui. Non è neppure troppo difficile: gli schemi, le parole, sono solo schemi e parole: si possono cambiare, sostituire, eliminare.
“Parleranno lingue nuove”. Abbiamo mai ascoltato i nostri discorsi, i discorsi della gente? Del tempo, di ciò che ha fatto il vicino, il collega, il capoufficio, dell’ultimo gossip; e poi tante “chiacchiere” inutili, insinuazioni, discorsi vuoti, spersonalizzati, senza un’anima. La gente, parlando, crede di comunicare, di esprimersi; ma non fa altro che moltiplicare linguaggi inutili!
Quali sono allora le lingue nuove con le quali noi dovremo esprimerci? È il linguaggio del silenzio, il grande linguaggio del frenare la lingua, di chiudere la bocca e ascoltare; è il linguaggio degli occhi, specchio dell’anima; il linguaggio del cuore, con cui esprimere le nostre emozioni, le nostre paure, i nostri bisogni, i nostri desideri; è il linguaggio dell’anima, con cui piangere di gioia, commuoverci, stupirci, meravigliarci, essere felici. Noi siamo talmente distratti, che neppure immaginano quali vibrazioni, quanta vita, quanta energia, quanta forza, possiamo comunicare attraverso questi linguaggi, con queste parole, che non sono “parole”, ma effusioni dell’anima.
“Prenderanno in mano i serpenti”. Il serpente è pericoloso, a volte mortale. Quante volte evitiamo cose e persone perché ci sembrano viscide, sfuggenti come serpenti: ci fanno ribrezzo, paura, pensiamo di non farcela ad affrontarle; sono situazioni troppo impegnative per noi, troppo pericolose, troppo insidiose. Ma la nostra è solo paura. “Con me puoi tutto”, dice il Signore: prendiamo in mano i nostri serpenti, affrontiamoli: non crediamo più in niente, non andiamo più in chiesa, siamo stanchi di sentire sempre le stesse prediche, i preti non ci trasmettono più nulla? Esaminiamo il problema! Non abbiamo più fiducia né stima per nessuno, non sopportiamo più i vicini, i parenti, gli amici, la loro presenza ci infastidisce? Fermiamoci: affrontiamo la questione; prendiamo in mano il serpente, analizziamo la nostra fede, la nostra carità, la nostra coerenza. Svegliamoci dal nostro torpore, scuotiamoci dalle nostre paure; chiediamo a Dio nuova forza, nuovo vigore, nuovo entusiasmo. Non tiriamo avanti fingendo che tutto vada bene! Non permettiamo che il serpente di turno si annidi in noi, strisciando nella nostra vita. Se abbiamo fede, se ci comportiamo come ha fatto Gesù, se usiamo la Sua carità, il Suo amore, troveremo sicuramente la forza, il modo giusto e indolore per rendere inoffensivi tutti i nostri serpenti! Con Lui possiamo affrontare e vincere tutto. Quello che Lui, il Figlio di Dio, ha umanamente fatto, noi lo possiamo ripetere.
Se siamo convinti di questo, se la nostra fede è tale da smuovere le montagne, nulla ci sarà mai impossibile. Gesù stesso lo ha detto: “Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi perché io vado al Padre” (Gv 14,12).
Questo ci dice l’Ascensione. Non fermiamoci allora come i “viri Galilaei” col naso all’insù, “aspicientes in caelum” a “guardare il cielo”. Non continuiamo a rimanere “imbambolati”; di cosa dubitiamo ancora? Muoviamoci. Tutto dipende da noi; Egli sta aspettando! Amen.
Nessun commento:
Posta un commento