«Ed ecco, una donna, una
peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò
un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a
bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li
cospargeva di profumo» (Lc 7,36-8,3).
L’episodio
riportato da Luca nel vangelo di questa domenica potrebbe essere giudicato, da
certi farisei contemporanei, come inopportuno, fuori luogo, motivo di confusione,
addirittura, per certi versi, scandaloso.
Non
dobbiamo però lasciarci coinvolgere dai facili pregiudizi, derivanti come al
solito da una lettura superficiale e distratta. Per capire il vero significato
di questo testo dobbiamo andare più a fondo, dobbiamo come al solito leggerlo
nel suo naturale contesto, tenendo cioè presente la mentalità e il modo di
vedere le cose al tempo di Gesù. Cerchiamo allora di analizzare alcuni
particolari importanti.
Prima
di tutto il comportamento di Gesù nei confronti dei “pranzi”. Contrariamente a
certa letteratura che ci offre un’immagine stereotipata di grande austerità, Gesù
era un uomo allegro, aperto, amava pranzare, pranzava molto e con tutti. Gesù
nel vangelo non è un mistico, un asceta, uno che si macera continuamente nel
digiuno rinunciando agli innocenti piaceri della vita: Gesù non fa penitenze
straordinarie, non si mortifica macerando il suo corpo. Anzi! Gesù nel vangelo
è l’uomo della festa, della gioia, dei pranzi, degli abbracci, dei sorrisi,
delle emozioni. È proprio per questo che lo invidiano e lo accusano di essere
“amico dei pubblicani e dei peccatori”, un “mangione e un beone”. Proprio per
questo i religiosi, gli osservanti puri, le autorità del Tempio, si guardano
bene dall’invitarlo: lo considerano ritualmente “impuro”, né più né meno di
quella feccia della società che egli frequenta, con cui entra in contatto, con
cui soprattutto si siede a mangiare: del resto “dimmi con chi vai, dimmi con
chi mangi, e ti dirò chi sei”.
Quindi, se Gesù va con certa gente di scarto, vuol
dire che Egli “sostiene” quella gente, accetta quella gente, “scende a patti ” con
essa. E questo, agli occhi delle persone religiose, è decisamente
improponibile, scandaloso: “Ma che maestro sei?”.
In
realtà, per Gesù, mangiare con quella gente è una manifestazione di grande amore:
Dio non tollera, non vuole, che qualcuno si senta discriminato da lui o dal suo
amore. Tutti devono sapere che Dio ama tutti, e tutti si devono sentire amati,
accolti, riconosciuti, degni dell’amore di Dio, a prescindere dalla loro
condotta di vita. Egli frequenta di proposito questi pranzi, proprio per incontrare
tutte quelle persone emarginate, escluse, reiette, perché devono sapere che se
la società o la religione le esclude, Dio no, Dio le ama, Dio sta volentieri
con loro!
Un
comportamento il suo che è causa di dure e rabbiose critiche da parte di scribi
e farisei.
Per
cui dobbiamo pensare che l’invito di Simone il fariseo, non risponda tanto ad un
sentimento di “amicizia”, di accoglienza, di amore, quanto ad un pretesto per
metterlo alla prova, per trovare nuovi motivi di accusa, per controllare ancora
una volta chi sia davvero quest'uomo.
D’altronde
i farisei erano i perfetti, gli osservanti, i “super” cristiani di quel tempo.
Fariseo infatti significa “separato”: gente quindi che preferiva vivere separata,
che si “isolava” dagli altri, dalle folle, per non correre il rischio di contaminarsi.
La loro vita era davvero complicata: per ogni cosa, anche la più piccola e
insignificante, avevano una regola precisa da osservare, un precetto da eseguire.
Per esempio al mattino dovevano scendere dal letto prima con il piede destro,
recitare un preghiera, poi con quello sinistro e recitarne un’altra. E poi durante
tutto il giorno, continue preghiere, cose da fare, cose da non fare, lavori da fare
e da evitare, ecc.
Gesù lotterà
tantissimo contro questa mentalità: il succo dei suoi discorsi era che se le
regole soffocano il cuore, uccidono l’amore, la misericordia, la tenerezza, vuol
dire che sono regole e prescrizioni stupide. Non vengono da Dio ma dagli
uomini.
Altro
particolare poi che merita la nostra attenzione è la figura di questa donna, di
questa “prostituta” che tutti guardano con disprezzo. E qui dobbiamo capire bene
cosa significasse la prostituzione per quel tempo, per quel mondo.
Le
prostitute di allora non sono in alcun modo assimilabili a quelle dei nostri tempi moderni. Per queste la prostituzione è una scelta libera, anche se
talvolta sofferta: per le donne dell’epoca, invece, la scelta era obbligata. Le
donne di allora erano decisamente discriminate in tutto. La nascita di una
bambina era vista come una grave disgrazia, addirittura come una punizione di
Dio. La donna, la bambina, era solo una bocca in più da sfamare, non potendo
esercitare, come il maschio, alcuna attività produttiva per aiutare economicamente la famiglia. Era quindi abbastanza normale, ucciderla appena
nata: un’usanza, del resto, che permane ancora oggi in India, in Cina, nei
tanti paesi in cui le bambine vengono considerate ancora una disgrazia, e quindi
anche lì molto spesso soppresse.
Di fronte a tali prospettive, l’unica possibilità di vita per le donne di quel tempo era pertanto quella di
prostituirsi.
Ecco perché nella donna del vangelo di oggi, dobbiamo vedere una creatura che noi
definiremmo “sfortunata”, una creatura che fin dalla sua più tenera età è stata
“allevata” per questa professione, costretta ad essere “gentile” con gli uomini,
abituata ad essere vista solo come “oggetto” di piacere.
Nel suo approccio con Gesù, per lei è quindi
naturale servirsi dei gesti tipici della sua professione: lei non
conosce altra forma per esprimere il suo affetto, la sua riconoscenza,
il suo amore, se non attraverso quell’arte che gli è stata inculcata fin da
bambina. Non conosce altro.
Ma con Gesù, come vedremo, questo “cerimoniale” della
poveretta ad un tratto si stravolge: dalla finzione del mestiere, lei passa
all'improvvisa constatazione di se stessa, della nullità della sua vita, si rende cioè conto
di tutta la drammaticità della sua esistenza di peccatrice. E piange. Si dispera. Chiede perdono.
Per
questo Gesù ha subito pietà di lei, la accetta così com’è, a differenza del fariseo
che la trova immorale. Gesù non si scandalizza di lei, sa che questa persona non può
essere “diversa”, non può vivere in maniera diversa da quella che le ha
riservato la sua natura, marchiata dal suo essere donna. Lei non è una che esercita
la prostituzione, lei è nata prostituta: questo le ha imposto la società.
Ecco
perché Gesù non le chiede di cambiare vita, come ha sempre fatto con le altre
“guarigioni”: Gesù non dice a questa poveretta: “Va’ e non peccare più, non
fare più la prostituta”. Gesù sa che lei non ha alternative: “Va bene, tu sei così, e io
ti accetto così”.
Certo,
per noi oggi, ciò è difficile da capire, è troppo lontano dalla nostra
mentalità: ma questo atteggiamento di Gesù è assolutamente evangelico.
Ma leggiamo questo vangelo dall’inizio: “Gesù entrò nella
casa del fariseo e si mise a tavola” (Lc 7,36). Letteralmente, “si sdraiò”; secondo cioè l’usanza ebraica
e romana: al centro c’era un grande piatto e tutti intorno erano sdraiati. Si reggevano
appoggiandosi su un gomito, con i piedi all’esterno della tavola.
“Ed ecco una donna, una
peccatrice di quella città” (Lc 7,37).
Viene spontaneo chiederci: “come ha fatto ad entrare una donna come lei in casa
di un fariseo?”. Le prostitute giravano infatti solo nei pranzi dei nobili
romani, mai assolutamente in casa di un fariseo: i suoi pranzi erano
rigorosamente riservati agli uomini.
Sicuramente
apparteneva al gruppo di persone che seguivano Gesù, e nessuno l’aveva notata
in precedenza. Luca sottolinea molto bene il fattore sorpresa: “ed ecco”; quando cioè tutti hanno preso
posto, si accorgono finalmente di lei, ma ormai è troppo tardi, lei è già distesa
ai piedi di Gesù. È una prostituta molto conosciuta: nel suo frequente
spostarsi in città, doveva aver già visto Gesù che insegnava per le strade, o doveva
averne sentito parlare, perché il suo comportamento, tutto quello che fa per Lui,
rivela chiaramente il suo grande desiderio di incontrarlo.
“E fermatasi dietro (lett. stando dietro) si rannicchiò
piangendo ai piedi di lui” (Lc 7,38).
L’attenzione
generale a questo punto è ormai concentrata solo su questa situazione; ma i vari sentimenti sono assolutamente diversi tra loro; come per esempio: sorpresa, stupore, indignazione nel
padrone di casa; angoscia, determinazione, tenerezza nella donna; soddisfazione, gioia
e approvazione in Gesù.
Con il
suo inatteso buttarsi ai piedi di Lui, dimostrandogli un amore vero, autentico,
l’esperta peccatrice, che “sapeva amare”, denuncia il grande peccato del fariseo
“giusto”: cioè il suo “non saper amare”. Quelli che si proclamano apertamente “giusti”,
“retti”, “osservanti”, commettono in genere un gravissimo peccato, il peccato che
va direttamente contro Dio Amore: non lo amano con cuore sincero, non lo amano concretamente,
non lo amano coerentemente, ma sono tuttavia convinti di essere “giusti”, magari
perché ogni tanto fanno delle “buone azioni”. Né più né meno dei farisei.
Anche
noi viviamo tranquilli: pensiamo di dimostrare il nostro amore a Dio, limitandoci
solo al “fare” senza “l’essere”; ci accontentiamo di qualche preghiera
distratta, di elemosine, di messe domenicali “ascoltate”, ma non “vissute” durante
la settimana, nella carità del quotidiano. E in questo, anche noi, non siamo molto diversi dai “farisei”.
La
donna versa sui piedi di Gesù il “suo” unguento, vuole profumare Gesù: è venuta
per questo. Intende regalargli l’olio profumato del suo cuore, segno di gioia,
di abbondanza, di amore, di consacrazione. È l’unica persona, fino a questo
momento, che offre qualcosa a Gesù, per amore: vuole cioè donare questo suo grande amore
a Colui che, dal canto suo, l’ha sempre offerto generosamente a tutti quelli
che ha incontrato.
La sua
è una decisione che denota grande coraggio e soprattutto una grande umiltà: i suoi gesti usuali,
accattivanti e di grande dolcezza, cambiano da subito significato, tradiscono immediatamente questo suo nuovo
sentimento, un sentimento che fino ad allora lei stessa non immaginava, questo amore
vero, sincero, smisurato che trabocca dal suo cuore, e che improvvisamente si
trasforma in un pianto irrefrenabile, un pianto
di serenità, di liberazione, di gioia, di amore, con cui lava i piedi di Gesù:; e in segno della sua venerazione,
del suo rispetto, della sua gratitudine, glieli asciuga con i suoi lunghi
capelli.
Il
fariseo vede la scena, e seguendo la sua vera natura ipocrita, coglie l’occasione per continuare a negare tra sé la divinità di Gesù: “Se costui fosse un profeta,
saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice” (Lc
7,39). Egli è scandalizzato, schifato, dal comportamento di entrambi. Il suo
disprezzo per la donna è così forte che neppure la nomina: “Chi e che specie di donna...”.
Le
persone super religiose sono maliziose e vedono malizia dappertutto: Gesù invece, che conosce bene il profondo, vede nella donna solo il suo gesto d’amore; nel fariseo invece il grave peccato della sua mancanza d’amore.
Chi ha
dentro di sé il peccato, o la paura del peccato, lo vede dappertutto; chi cova
nel suo cuore dei mostri, o è terrorizzato dal demonio, lo vede dappertutto; chi ha dentro il proprio cuore amore e bontà, li vede dappertutto e li
espande in ogni dove. Ognuno vede gli altri secondo i propri occhiali.
Quello
che uno dice degli altri, dice molto più di lui che degli altri. Il fariseo ha
visto nella donna solo una donnaccia, una prostituta da disprezzare; Gesù ha
visto una donna sofferente e pentita da amare e dalla quale accogliere amore. Certo,
i gesti con cui lei dimostra il suo amore per Gesù, sono gesti provocanti,
seducenti, sono i gesti che ripete tutti i giorni nel suo "lavoro". Ma quei gesti che, in quel contesto, diventavano “prostituzione”, svendita di sé, modo per far
soldi, improvvisamente, pur rimanendo uguali, diventano autentici segni di
amore: ciò che prima era peccato, ora è diventato amore. Simone che non ama, vede
solo i gesti e la condanna. Gesù, che ama, vede il cuore e la assolve.
Questo
ci fa capire che nulla in sé è negativo: un contatto, un abbraccio, una
carezza, uno sguardo, possono essere segni di amore puro e di alta
spiritualità. Come anche il contrario: una preghiera, un’azione religiosa, una
parola, un gesto, possono venire da un cuore pieno di odio e di risentimento,
di insoddisfazione e di chiusura. È il cuore, è l’intenzione, lo sguardo, che
rendono pure e impure le persone e le cose, non i gesti!
Gesù poi,
rivolgendosi a Simone il fariseo, racconta una storiella, con cui intende stabilire
un criterio fondamentale: non è più importante ciò che abbiamo fatto di
negativo, ma ciò che abbiamo fatto di positivo. Non i peccati, ma l’amore: “Sì,
Simone, tu sei perfetto, in regola, senza alcuna trasgressione, ma in te non c’è amore, non c’è vitalità, non c’è passione: sostanzialmente sei morto, imprigionato
dalla tua paura di vivere. In te non ci sono peccati, tranne quello di non vivere
più. Vedi questa donna? È vero, ha sbagliato molto, ma il suo cuore,
contrariamente al tuo, sa ancora amare, è vivo, sa piangere, sa chiedere scusa,
sa di aver tanto bisogno di amore e di perdono”.
Quando
andremo di là, per entrare con Lui nel suo regno, Dio non ci chiederà: “Quali e
quanti, peccati hai fatto?”, ma: “Come e quanto hai amato?”. Perché chi vive
con la paura di peccare, di sbagliare, di fallire, vive costantemente sulla
difensiva: semplicemente non vive, non ama, non si dona.
C’è infatti un
unico, grande e vero peccato: quello di non essere più capaci di amare, quello
di diventare secchi, aridi, giudicanti, così arrabbiati dentro, da non sapere
più neppure cosa siano la tenerezza, la compassione, l’affetto, il sorridere,
il giocare, il lasciarsi andare, la passione, la gioia per la vita, l’amore per
gli altri.
“L’uomo
guarda le apparenze; il Signore guarda il cuore” (1Sam 16,7). Quando
Gesù doveva scegliere i suoi apostoli non guardava all’esterno, a cosa facevano,
a come apparivano: tant'è che Giacomo e Giovanni avevano un caratteraccio, Matteo era un
ladro; Giuda un approfittatore che poi finisce per tradirlo; Simon Pietro, l'eterno indeciso, era un pusillanime; l’altro Simone era un Cananeo, una “testa calda”. Un bel manipolo di
persone con mille problemi, mille debolezze; ma Gesù guardava al loro cuore: “Questo
qui, sa amare?”. Se la risposta era: “Sì”, allora aveva tutte le carte in
regola per seguirlo.
Saper amare. Ecco perché la
prostituta del vangelo di oggi deve essere di esempio per tutti noi: un
esempio per tutti quei cristiani che si riconoscono peccatori, bisognosi di perdono, ma con tanta voglia di amare e di essere amati. Amen.