«All’udire queste cose, tutti
nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della
città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro
città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino»
(Lc 4,21-30).
Il
vangelo di oggi continua e conclude il brano di domenica scorsa: siamo ancora
nella sinagoga di Nazareth e tutta l’assemblea insorge contro Gesù. E Lui cosa
fa? Invece di difendersi, attacca senza paura: “Nessun profeta è bene accetto in patria” (Lc 4,24). E si spiega
citando in proposito due episodi dell’Antico Testamento, molto imbarazzanti per
gli ebrei, al punto che essi da sempre preferiscono ignorarli. Di che si
tratta?
Durante
una lunga e tremenda siccità su tutto il territorio, a causa della carestia che
aveva duramente colpito gli abitanti, si erano diffuse ovunque malattie mortali
come la peste e la lebbra: il grande profeta Elia, però, non si fermò ad aiutare
il suo popolo, ma preferì portare soccorso proprio a quelle persone che erano
odiate e disprezzate dai suoi connazionali. Si recò infatti da una vedova
pagana di Sarepta di Sidone, e a lei guarì il figlio morto (1Re 17,17-24).
L’altro
episodio riguarda il profeta Eliseo, già discepolo di Elia: al suo tempo il
territorio di Israele era pieno di lebbrosi, ma egli non guarì nessuno di loro:
guarì invece Naaman il Siro, un militare pagano (2Re 5,1-14).
Gesù incalza
quindi i presenti, ponendoli di fronte ad una tragica responsabilità: “Vi siete
mai chiesto perché questi vostri grandi profeti sono andati l’uno a soccorrere
una vedova pagana, invece di tutti i bisognosi che c’erano in Israele? E come
mai l’altro, con tutti gli ammalati che c’erano qui da noi, ha guarito un unico
pagano straniero?”. La risposta è chiara: “Perché qui non c’era fede! I vostri
grandi profeti, quelli che voi stimate e di cui parlate sempre, se ne sono
andati altrove, come me, proprio perché qui non poterono operare nulla”.
A
queste parole scoppia il finimondo, tutti sono pieni d’ira: “Gesù ha superato ogni
limite, bisogna fermarlo, bisogna fare qualcosa; non possiamo più lasciarlo
agire indisturbato; quello che dice è inaccettabile. Deve essere eliminato”. E
cosa fanno? Lo prendono, lo cacciano fuori e lo conducono sulla sommità del
monte su cui erge la città, per gettarlo giù dal precipizio (Lc 4,29). E il testo termina con un’ultima
amara constatazione: “Gesù se ne andò”.
Gesù dunque
è costretto ad andarsene da Nazareth e dal suo paese perché i suoi compaesani,
i suoi famigliari, quelli di casa sua, non lo vogliono. È cacciato fuori,
eliminato, escluso perché scomodo, perché importunava, perché era un problema.
Tra di essi c’erano solo pregiudizi, barriere, resistenze, difficoltà. Frequentavano
regolarmente la sinagoga, è vero, avevano la religione, ma non avevano Dio.
Pregavano dentro la casa di Dio, ma senza Dio. Innalzavano preghiere ma non
pregavano. Avevano Gesù e lo hanno buttato fuori dalla loro vita.
A
Nazareth quel giorno è successo proprio questo. I suoi compaesani quando hanno
visto che Egli non era come lo volevano, lo hanno rifiutato. E rifiutandolo, hanno
rifiutato proprio chi li poteva salvare, chi li poteva guarire, chi poteva cambiare
la loro vita.
Ma non
occorre risalire a Nazareth: anche oggi, anche noi, possiamo andare a pregare in
chiesa ed essere senza Dio. Possiamo andare in chiesa ed essere indifferenti a
Dio o addirittura contro Dio. Anche noi vogliamo spesso le persone diverse da
come sono: le vogliamo identiche a come le immaginiamo, vogliamo i nostri figli
in un certo modo, i nostri genitori, i nostri superiori in un altro modo ancora;
vogliamo che quanti ci sono vicini corrispondano in tutto e per tutto a quelle
che sono le nostre esigenze, le nostre vedute, le nostre aspettative; vogliamo insomma
che il mondo sia soltanto come noi lo immaginiamo. Ma le persone non sono così,
il mondo non è così: la realtà è un’altra. La realtà o la si accetta o la si
rifiuta. Volerla diversa, significa voler evadere dal presente, dalle nostre
responsabilità. Quante volte anche noi rifiutiamo situazioni, occasioni,
incontri, esperienze che riteniamo ostili, difficili, non comprensibili. Invece,
se avessimo un po' più di pazienza, un po' più di apertura mentale, un po’ più di
umiltà e di amore, capiremmo che ciò che rifiutiamo potrebbe costituire al
contrario la nostra salvezza.
Gesù
viene rifiutato dall'uomo, dal pregiudizio, da chi vuole modellare Dio secondo
le proprie idee, da chi lo vuole adattare alle proprie esigenze.
Essi avevano
già in testa come doveva essere; sapevano già cosa avrebbe dovuto fare, quali
miracoli, quali comportamenti: sapevano già tutto; Gesù non poteva essere
diverso da come l'avevano in testa e quindi non poteva essere come lui dimostrava
di essere. È per questo che un giorno lo uccideranno e, secondo loro, a ragion
veduta: “Non è Dio”, cioè, “non è secondo il modello di Dio che vogliamo noi”. Finché
corrisponde alle loro idee lo accolgono, ma quando si fa vedere per quello che
è, lo escludono. Quante volte anche noi quando le persone non corrispondono ai
nostri schemi, le eliminiamo dalla nostra vita: “fuori!”.
Ma allora
che amore è il nostro se lo diamo soltanto a quelli che ci vanno a genio? Che
amore possiamo ricevere da Dio, se siamo noi a stabilire come Lui deve essere e
cosa deve fare?
In
questo modo Dio Amore non potrà mai più manifestarsi a noi, perché il “nostro” Dio
non è altro che un idolo che ci siamo costruito a nostra immagine e
somiglianza. Per questo Gesù è costretto ad andarsene: anzi, non è lui che se
ne va, siamo noi che lo buttiamo fuori.
Gli
abitanti di Nazareth si sono lasciati condizionare dalla barriera del
pregiudizio. “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. Cioè: “ Ma chi si crede di
essere? Lo conosciamo bene, non si desse tante arie, in fin dei conti è un poveraccio
come noi”. Lo hanno etichettato. E di etichette, durante il suo peregrinare per
le strade della Palestina, gliene piazzeranno molte altre: “amico dei
pubblicani e delle prostitute, mangione e beone, uno che sta con la gentaglia”.
Gesù, il figlio di Dio, è stato coperto da una valanga di insulti, di pregiudizi,
di insinuazioni: tutto falso!
Credevano
di sapere molto bene chi era Gesù. Credevano di conoscerlo. E, invece, erano
colmi dei loro pregiudizi. Credevano di saper tutto su Dio. Credevano di non
aver più niente da imparare. Credevano di credere. Per questo Gesù ha dovuto
andarsene. Perché credevano così tanto in loro stessi, e solo in loro stessi,
che non potevano vedere nient'altro che loro stessi. Se fossimo più attenti, se
fossimo meno giudicanti, se fossimo più aperti, se fossimo più sensibili,
avremmo l'umiltà di ascoltare prima di parlare, di conoscere prima di
sentenziare.
Gesù
non fu ucciso dagli atei o dai miscredenti ma dai credenti più credenti: così
credenti, così pii, così zelanti, così pieni di loro stessi, da non avere più spazio
per nient’altro di nuovo. Gesù annunciava la Buona Novella (il vangelo): fu
ucciso non perché era buona ma perché
era nuova. Gesù mandava in frantumi
gli schemi, i pregiudizi, le visuali delle persone: in una parola, l'idea della
Bibbia tradizionale. Annunciava un Dio diverso e i “fedelissimi” di quella che
era la “tradizione”, non gliela perdonarono. Annunciava un Dio amico anche
delle donne, e i maschilisti del tempo gliela fecero pagare. Annunciava un Dio
della vita, dell’amore, dell’onestà, della coerenza: insegnava che non ci può
essere separazione tra ciò che si dice di credere e ciò che si fa materialmente,
e i farisei se la legarono al dito. Annunciava un Dio della giustizia, un Dio
che denuncia le falsità e le ipocrisie nascoste: i nobili e i ricchi si
sentirono chiamati in causa in prima persona. Annunciava un Dio che rompeva con
la tradizione, se la tradizione era nemica dell'uomo: e i rispettosi della
regola, i “bravi”, i conservatori, si sentirono spiazzati nel loro orgoglio di unici
fedeli alla Legge.
In
questo vangelo dunque, Gesù, vistosi rifiutato, se ne va. A Gesù non
interessava essere riconosciuto come messia, quel messia che la gente
aspettava; ciò che gli stava a cuore era essere se stesso e mantenersi fedele
alla sua verità e al suo Dio: per questo era il Messia.
Gesù è
rimasto sempre e profondamente se stesso. Gesù non ha mai tradito il suo nome,
la sua vocazione, la sua chiamata e la sua missione. Per questo Gesù è un uomo
compiuto. E quando sulla croce dirà: “Tutto è compiuto”, Gesù esprime che tutto
ciò che doveva fare, tutto ciò che poteva fare, l'ha fatto. Gesù ha compiuto la
sua vita, il motivo per cui Dio lo aveva mandato e per cui era venuto a questo
mondo.
Gesù
non ha permesso al pregiudizio di limitarlo: quando poteva lo attaccava direttamente;
quando non c'era niente da fare se ne andava altrove. Perché non c'è peggior
cieco di chi non vuol vedere.
A Gesù
non importava molto cosa diceva la gente di lui (e dicevano un sacco di
cattiverie!). Non gli importava di salvare la faccia, di essere gradito,
ammirato, accettato. Per questo era un uomo libero. Per questo poteva dire le
cose come stavano; per questo era libero di muoversi, di abbracciare, di incontrare
chiunque: per questo stava con i poveri e con i ricchi. Non c'era pregiudizio
nella sua mente e neanche nel suo cuore. Non gli interessava sapere cosa la
gente pensasse di lui, non gli interessava controllare sempre se era accettato
o no. Non gli interessava sapere cosa pensasse l'opinione pubblica delle
persone: lui le incontrava e le amava comunque.
Gesù
fu un uomo autentico (autentico, da autos, se stesso). Solo chi è libero dal
giudizio degli altri può vivere la propria vita, può essere autentico, può
essere se stesso. Se uno non vive la propria vita, finisce col vivere quella
degli altri. Ma c'è già chi vive quella vita: per cui diventa un doppione, una
fotocopia. Vivere una vita non nostra ci rende irrealizzati, profondamente infelici
e insoddisfatti.
Chi è
fedele a se stesso non sarà mai tradito, perché il male peggiore, il male unico
della vita, è rinunciare a se stessi. Il grande peccato dell'uomo è perdersi e
perdere la propria vita, per correre dietro agli altri, a ciò che gli altri si
aspettano da lui. E allora non facciamoci del male; perché quando ci saremo persi,
di noi non rimarrà più nulla.
Amen.