«In principio era il Verbo, e
il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1-18).
Il
vangelo che la Liturgia ci propone questa Domenica, è il brano più profondo e
difficile di tutti i Vangeli. Alcuni studiosi hanno passato la loro vita a
studiarlo; S. Giovanni Crisostomo o anche Sant’Agostino hanno detto che è un
vangelo che va al di là della comprensione umana.
In principio c’era il Verbo: in greco Logos, un termine che ha due significati: Progetto e Parola. Per
cui potremmo anche dire: “All’inizio c’era
un Progetto”. Un’affermazione meravigliosa con cui Giovanni afferma che Dio,
prima di creare ogni cosa, aveva già nella sua mente un progetto, un’idea. Questo
significa che noi non siamo qui per caso; siamo qui perché Dio aveva ed ha un
progetto su di noi; pensate: noi, creature insignificanti, facciamo parte del Progetto
di Dio. Se così non fosse, noi neppure esisteremmo. Ma ci siamo, e siamo qui
per un motivo ben preciso... e visto che Dio ci ha creati, il motivo deve
essere davvero importante. In altre parole Dio ha bisogno di noi. Magari i nostri
genitori neppure ci volevano... magari la gente ci rifiuta e ci respinge...
magari noi stessi non ci vogliamo, non ci piacciamo, ci facciamo schifo... ma
Dio ci ha voluto, e continua a volerci, perché gli serviamo per attuare il suo Progetto.
Che aspettiamo allora a dargli una mano?
Dio ci
ha fatto un dono: la vita. Il dono che noi facciamo a Dio è quello di vivere.
Lui vuole questo da noi. “Io sono venuto,
perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza”. In pratica dobbiamo vivere, rischiare, metterci in gioco:
chi espone le proprie idee, rischia di mostrare a tutti i propri sentimenti, il
proprio io intimo; chi ama, corre il rischio di non essere corrisposto; chi
vive corre il rischio di morire; chi spera, corre il rischio della disperazione,
chi tenta corre il rischio di fallire. Ma bisogna correre i rischi, perché il
rischio più grande nella vita è quello di non rischiare nulla. Colui che non
rischia nulla, è un nulla e non diventerà mai che un nulla. Può evitare la
sofferenza e l’angoscia, ma non può imparare a sentire, a cambiare, a
progredire, ad amare, a vivere. Incatenato alle sue certezze, è uno schiavo. Ha
rinunciato alla libertà. Solo colui che rischia è veramente libero. La vita,
come ho detto, è il dono che Dio ci fa: una vita vissuta è il nostro dono a Lui:
una vita sprecata è il più grande peccato. Cosa aspettiamo allora a vivere? Non
diamo anni alla vita, ma diamo vita ai nostri anni, perché solo così saremo luce che risplende nelle tenebre. L’uomo
che vive, cioè colui che ha accolto il messaggio di Dio, è vita, è luce; non dice
luce che lotta, ma semplicemente luce che splende, luce cioè che brilla, libera,
senza subire costrizioni e senza costringere nessuno.
“Ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1,5).
Naturalmente le tenebre odiano la luce, non la vogliono: qui Giovanni allude
alle autorità religiose. Infatti esse “sono dei morti” che vivono,
inflessibili, freddi, autoritari, senza un cuore caldo. Avrebbero dovuto
portare la luce e invece...
“Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo” (Gv 19,9). La luce vera, Gesù, il verbo incarnato, è venuto
nel mondo. “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre
ma avrà la luce della vita”.
Gesù-Vita
è quindi la vera luce che illumina ogni uomo: facciamo però attenzione a non
prendere abbagli, perché il potere (orgoglio, superiorità, mancanza d’amore,
rigidità, ecc) non può conoscere Dio.
Anche coloro
che si lasciano incantare da altre luci, diverse dalla Luce vera, sono comunque
“divini”, sono cioè fatti, impregnati di Dio; ma poi si sono, come dire,
dimenticati di chi sono veramente, si sono dimenticati che hanno l’impronta di
Dio nel loro cuore e vivono non riconoscendolo e non riconoscendosi più. Che
tristezza: essere dei re e vivere come degli schiavi!
“A quanti però l’hanno accolto,
ha dato la possibilità di diventare figli di Dio”.
Ecco,
questo è il progetto originario di Dio per ognuno di noi: che noi diventassimo
suoi figli.
Noi abbiamo
imparato che l’uomo è fatto per servire Dio, che Dio è sopra e l’uomo è sotto, è
il suo servitore, che è meglio ubbidirgli perché Dio è potente e se non stiamo
attenti ci punisce con l’inferno o con qualche castigo.
In
realtà non è così: noi non siamo i servi di Dio ma siamo i serviti da Dio. Vi ricordate la lavanda dei piedi (Gv 13,1-20)? È Dio
che serve l’uomo e non l’uomo che serve Dio. Dio non ci chiede preghiere,
servizi, sacrifici per lui: è Lui che è venuto a portare il suo servizio e l’amore
a noi. La fede non è più quello che noi facciamo per Lui, ma quello che Lui fa
per noi.
Noi non
siamo figli di Dio per nascita, ma lo dobbiamo diventare. Come? Amando gli
altri. “L’amore è da Dio: chiunque ama è
generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è
amore” (1Gv 4,7-8). I figli di Dio sono pertanto quelli che sono stati generati nell’amore e vivono nell’amore. Non con preghiere,
digiuni o sacrifici, lo ripeto, ma con l’amore. Amore: questo, e questo solo, Lui
ci chiede.
Questa
di Giovanni è una teologia “trasgressiva”: Dio non è più nelle chiese, in un
posto prestabilito, ma “in mezzo” al suo popolo, alla sua “Chiesa”. Dio non è
più fermo, fisso in un luogo, come lo era nel Tempio, ma in cammino, in un continuo
cammino insieme alla gente. Dio
non è più un luogo (tempio), ma un tempo (kairòs): perché nell’istante
stesso in cui c’è l’amore, lì c’è Dio.
“E noi vedemmo la sua gloria”
(Gv 1,14). “Nessun
uomo può vedere Dio!”, era la convinzione degli antichi israeliti; a Mosè, che ad
un certo punto chiede al Signore: “Mostrami la tua Gloria”, Dio gli risponde: “Tu non potrai vedere il mio volto, perché
nessun uomo può vedermi e restare vivo” (Es 33,18-20). Ma con Gesù questo
non è più vero: Dio non è invisibile; Gesù stesso dirà: “Dio si vede... Chi vede me vede il Padre (Gv 14,9)”. Dio non è
lontano da noi; Dio è qui.
Sulla
vetta di un’alta montagna delle Dolomiti, ricordo un cartello che diceva: “Non
cercare Dio, ci sei immerso”. Lui infatti era lì... bastava guardarsi attorno!
In
Gesù, “unigenito del Padre”, c’è
tutto quello che si può vedere di Dio. Quindi non è Gesù che è come Dio, ma è Dio
che è come Gesù. E allora, se vogliamo sapere chi è Dio, guardiamo, imitiamo,
diventiamo, come Gesù. Tutto ciò che Gesù non è, non viene da Dio. La
caratteristica di Dio, invece, è quella di essere “pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14): una forma che si può
tradurre con “pieno di amore e di verità” oppure con “pieno di amore vero”. Perché
Dio è così: Egli ama di un amore fedele, di un amore che non tradisce, che non
si vendica, che rimane sempre: anche se noi ce ne andiamo o lo tradiamo.
Ancora
oggi molte persone temono di aver perso l’amore di Dio, di aver fatto qualcosa
di irreparabile per Dio, di essere indegni di Lui...: ma Lui non è così! Lui
rimane, Lui è fedele, sempre! “Qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri,
Dio è più grande del nostro cuore” (1Gv 3,19-20). Ricordiamolo in questo
giubileo della Misericordia: l’amore di Dio non tradisce mai, non viene mai
meno, neppure di fronte alle nostre più oscure cadute. Amen.