«La parola di Dio venne su
Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Lc 3,1-6).
La
parola di Dio scese su Giovanni. È un incontro vivo, che lo trasforma, che lo fa
fiorire e genera il suo frutto. Dopo questa discesa il Battista se ne va per
tutta la regione a predicare.
Quando
la parola di Dio all’inizio della storia scende sulla creazione nasce il mondo
e ogni essere vivente. Quando la parola di Dio attraverso l’angelo scende su
Maria, nasce Gesù. La parola che scende su Giovanni lo invia, lo spinge e lo fa
profetizzare. Dio quando scende, quando viene, produce una creazione, una
nascita, un rinnovamento.
Allora:
l’incontro con Dio è un incontro che ci crea, ci cambia e ci invia, produce cioè
un movimento. Noi eravamo qualcosa ma dopo aver ascoltato la Parola, nel senso
di “mangiata, assimilata, gustata, fatta penetrare”, noi non siamo più gli
stessi: perché quella produce un movimento, un cambiamento, un’apertura dentro
di noi.
Noi durante
una giornata ascoltiamo tantissime parole! Ma la parola di Dio non è così. Nella
nostra vita abbiamo detto una miriade di parole religiose. Ma la parola di Dio
non è così. Quante volte abbiamo ascoltato il vangelo in chiesa! Ma la parola
di Dio non è così. La parola di Dio è quella parola che ci penetra nelle
profondità, ci scuote, è sempre destabilizzante, ci tocca, ci colpisce nell’intimo.
È quella parola che ci viene sempre in mente, anche se non sappiamo il perché,
che ci risuona, che ci vibra, che sentiamo che ci richiama e che ci riguarda. È
quella parola che non ci lascia indifferenti. È quella parola che fa succedere
qualcosa.
Il Battista predica nel deserto.
Deserto
(in ebraico midebar) vuol dire “ciò che viene dal Verbo”.
Geograficamente il deserto palestinese è una regione montuosa, con scarsa
vegetazione, poco abitata, sede di pastori, predoni ed eremiti (eremos in greco vuol dire proprio deserto).
Ma
nella Bibbia il deserto è un luogo per cui si deve passare. Non si può giungere
da nessuna parte, in nessuna terra promessa se non si ha il coraggio e la forza
di affrontare il proprio deserto.
È
stato un passaggio necessario dopo la liberazione dall’Egitto (Es 5,1; 13, 17-21), per quella
babilonese (Is 40,3); è stato un
luogo necessario per Mosè (Es 3), per
Elia (1Re 19), per Paolo (Gal 1,17), per Gesù (Lc 4,1-13).
Il
deserto più che un luogo fisico è una dimensione della vita. Viene, cioè, un
momento in cui bisogna smettere di sfuggire a se stessi, smettere di cercare
risposte fuori di noi, smettere di riempirci e di imbottirci di idee, filosofie
e pensieri vari, e guardarci per davvero in faccia senza mentirci. Nel deserto
non c’è nessuno: ci siamo noi, completamente soli.
Molte
persone hanno il terrore di stare da soli con loro stessi. Molte persone
cercano il “tempo per sé”: si
riposano, leggono un libro, fanno qualche sport, escono con gli amici; fanno,
insomma, quello che di solito non fanno mai. Bene! Ma “stare con sé” è un’altra cosa.
Nel
deserto il Battista predica un battesimo di conversione per il perdono dei
peccati
Predicare:
kerysso, vuol dire urlare, dire ad
alta voce. La radice ker indica il
cuore. Giovanni non fa catechesi, lunghi discorsi o omelie; i suoi sono messaggi
semplici che partono dal cuore e che arrivano al cuore: messaggi brevi,
appassionati, diretti e incisivi. Anche Gesù parlava così. Il messaggio non ci
deve convincere: dobbiamo solo accettarlo perché ci tocca l’anima.
Il battesimo è di conversione
per il perdono dei peccati.
Conversione
è meta-noeo (“tornare indietro”) e
indica il cambiamento di pensiero. Perdono (afiemi) indica il “lasciar andare,
il liberare, il mandare via, il rimettere”. Peccato
in ebraico è una freccia che non giunge al bersaglio.
Battesimo
(in greco baptizein, immergersi) indica
l’immersione nelle acque.
È la
legge della vita: per conoscere Dio, la Vita, bisogna immergersi nelle acque
che contengono la luce e la non luce (le tenebre). Bisogna confrontarsi con tutti
i mostri interiori, che noi chiamiamo male, che tendiamo ad isolare, ad
eliminare, a mettere in disparte e a non confrontarci.
Tutta
la storia della salvezza è il tentativo di entrare dentro queste acque buie, tenebrose,
di peccato, per confrontarsi con esse e uscirne, con l’aiuto di Dio,
vittoriosi.
Il
mondo non è un Eden meraviglioso ma un territorio dove dobbiamo accettare la nostra
luce e la nostra non-luce, i nostri lati di splendore e i nostri lati oscuri,
quelli di gloria e quelli di tenebra.
Anche
gli Ebrei dovettero immergersi nelle acque del Mar Rosso, fare un lungo cammino,
confrontarsi con tutta una serie di nemici per uscirne, con la presenza di Dio,
vittoriosi.
Il
cammino degli ebrei fu un cammino con grandi fedeltà, grandi luci, ma anche con
grandi infedeltà e idolatrie, un cammino d’ombra. E dovettero percorrerlo fino
in fondo, tutto, per arrivare alla Terra Promessa.
Anche
Gesù si immerge nel Giordano. Anche Gesù è dovuto discendere in questo mondo di
luce e di buio, di già e di non-ancora. Anche lui ha dovuto confrontarsi con il
buio personale (le tentazioni), le tenebre del mondo e del male che lo
ostacolavano, e che alla fine lo uccisero.
Anche
noi il giorno del nostro battesimo usciamo dalle acque del fonte: da lì inizia
il nostro cammino di confronto con la luce e il buio che vive dentro ciascuno
di noi.
Siamo
già figli di Dio, ma solo immergendoci, incontrando il non-ancora che ci fa
paura, che respingiamo, che a volte demonizziamo, ma che ci appartiene, potremo
diventarlo veramente.
Siamo
un seme che può diventare pianta. L’opera è semplice e complessa: dobbiamo
raddrizzare i nostri sentieri.
Non è forse
vero che siamo aggressivi, crudeli? Non è forse vero che dentro di noi coviamo tanta
rabbia, tanta superbia, tanto egoismo? Non è forse vero che dietro al nostro
bel volto sorridente, dietro a tanto “Dio”, a volte c’è tutto questo?
E
tutto questo “storto”, questo
irrisolto, dove andrà a finire? Come agirà se lo lasceremo libero dentro di
noi?
Come possiamo
essere protagonisti della nostra vita con tutte queste scelte non fatte, con
tutte queste vie non raddrizzate? Come possiamo essere figli della luce con
tutto questo nascosto e questo buio dentro?
Ebbene,
se accettiamo che la sua Parola scenda nel nostro cuore, se la facciamo
crescere dentro di noi, se la facciamo diventare robusta, se la mettiamo in
condizione di produrre fiori e frutta, allora vedremo la Salvezza. Allora
vedremo emergere da noi il Figlio dell’uomo, ciò che siamo veramente, la nostra
immagine originale, nella nostra bellezza pura, naturale, divina: perché quello
che siamo ora non le assomiglia neppure lontanamente. Allora potremo ammirare faccia
a faccia il Figlio di Dio. Allora tutto ci sarà chiaro: non avremo più dubbi o
domande, perché quando si vede, quando c’è la luce, tutto appare luminoso!
Allora nulla ci farà più paura, perché finalmente potremo vedere con i nostri
occhi come stanno le cose: ci renderemo conto cioè che tutti (uomini, mondo, universo,
bene e male) siamo nelle Sue mani, avvolti e riscaldati dal Suo dolce sguardo.
E mentre noi siamo ancora occupati a perder tempo per conquistare chissà chi e
chissà cosa, Lui sorride e ci protegge.
Amen.