«Uno dei farisei, un dottore
della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: Maestro, nella Legge, qual è
il grande comandamento?»
Solita
domanda provocatoria del “Pierino” di turno. Erano seicentotredici i precetti della
Torah ebraica: trecentosessantacinque negativi (tanti quanti i giorni
dell’anno!) e duecentoquarantotto positivi (tanto quante erano le membra del
corpo umano secondo la cultura del tempo). Secondo la tradizione rabbinica ogni
precetto aveva un identico valore e implicava uno stesso obbligo. Ma nella pratica
circolavano opinioni diverse. Alcuni dicevano: “Sono tutti da osservare alla
lettera, scrupolosamente, in tutto e per tutto”. Altri: “No, non sono tutti uguali,
non hanno tutti la stessa importanza”. La risposta di Gesù è, come al solito, di grande semplicità, altamente propositiva: «Ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Ama il prossimo tuo come te stesso». Quindi l’amore è l'unico, il più grande comandamento. Punto. Un unico amore con due beneficiari: Dio e il prossimo. Un accostamento che rende chiaro come il primo non si realizzi senza il secondo: entrambi costituiscono l’unico fondamento della Legge, senza di essi tutti gli altri precetti non hanno ragione di esistere. In pratica per Gesù solo due “consigli” su seicentotredici leggi: un magistrale sfoltimento!
Qualcuno li definisce “comandamenti” dell’amore. Niente di più inesatto. L’amore non si comanda. Nessuna legge, mai, può costringere qualcuno ad amare, perché l’amore vive una sua vita, è libero, autonomo, spontaneo, indipendente: caratteristiche che per loro natura rifiutano qualunque forma di imposizione.
L’amore non si comanda e non si esige: una verità che ci tocca da vicino, ci rende indifesi, spogli, impotenti. Ci rende vulnerabili, perché capiamo che non esistono armi, soldi, promesse o lusinghe, punizioni o mezzi coercitivi, per costringere qualcuno ad amarci; non possiamo esigere dagli altri un sentimento che non hanno, che non sentono, che non provano. O lo fanno spontaneamente, perché loro ci considerano meritevoli di amore, oppure ci dobbiamo arrendere, dobbiamo accettare la situazione, non possiamo farci nulla. Una cosa che ci disturba parecchio. Chi infatti non entra in crisi di fronte ad un rifiuto di amore, di amicizia, nel sentirsi dire un “no” esplicito? Tutti abbiamo avuto sicuramente qualche esperienza del genere. E tutti ci siamo rimasti male, abbiamo dovuto accettare a malincuore di essere rifiutati.
Ma non lamentiamoci per questo, fratelli; non sentiamoci i più incompresi, i più sfortunati, i più disgraziati del mondo! Non facciamo le vittime! Non cerchiamo di imporci opprimendo la libertà altrui, quando invece per noi la pretendiamo intoccabile e assoluta. Non possiamo pretendere sempre il “si”, negando l’eventualità di un “no”. Entrambi sono radicati nella libertà altrui e godono di un pari diritto. Per cui se vogliamo essere amati, se vogliamo che qualcuno ci dica sempre “si”, dobbiamo meritarcelo con la nostra vita, con i nostri comportamenti verso gli altri. E anche in tal caso non possiamo pretendere nulla, perché l’amore è un dono. Un dono puramente gratuito.
Gesù in realtà non “escogita” un nuovo comandamento, il comandamento dell’amore; semmai spiega per bene quanto che era già prescritto nel Levitico: «Non ti vendicherai e non conserverai rancore contro i figli del tuo popolo, ama il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19,18). E nel Deuteronomio: «Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,5). Parole che ogni ebreo già conosceva, dovendole recitare puntualmente mattino e sera. Gesù quindi non si inventa nulla, dice semplicemente: “Fate attenzione perché ora vi spiego per bene una cosa: chi ama Dio, ama anche l’uomo. E chi ama veramente l’uomo, non può non amare Dio”. Tutto qui, poche parole ma importanti: l’amore è uno, e uno solo: “Chi ama Dio ama l’uomo, e chi ama l’uomo ama Dio”. Sembra un gioco di parole: in realtà esprimono due concetti legati tra loro indissolubilmente. E con la sua vita, con le sue parole, con i suoi gesti, nel vissuto reale, Gesù ce ne ha confermato tutto il valore e la portata.
Noi però non siamo ancora riusciti a capirlo fino in fondo. Nei lunghi anni di vita della Chiesa, abbiamo sempre distinto i due amori, Dio e il prossimo; li abbiamo sempre separati, convinti che l’amore a Dio fosse più importante, valesse molto di più dell’amore per il prossimo. Monaci, preti, vescovi, suore: quelli sì che amano come si deve, in maniera giusta: quelli sì che amano Dio! Per loro esiste solo Lui; tutto il resto, prossimo compreso, non può competere con Lui. Unica scelta vincente, pensiamo. Mentre l'amore per i propri fratelli, l’amore umano, l’amore per le persone, è un sentimento più basso, meno meritorio; certo è un amore che noi diamo, è un sentimento che riteniamo inevitabile nella vita, ma che rimane pur sempre un sentimento tollerato, che deve essere purificato, sublimato.
Gesù, invece, dice no: non ci sono diverse categorie di amore, l’amore è uno solo, identico: se noi amiamo veramente Dio, lo dimostriamo da come ci comportiamo con gli altri, da come amiamo il prossimo. Possiamo anche essere preti, frati, suore, ma se siamo nei confronti del prossimo dei manipolatori, dei falsi, noi non amiamo Dio. Possiamo raccontare tutte le più belle storie del mondo, ma se trattiamo male gli altri, se li mortifichiamo, se li calpestiamo, se li possediamo, noi non amiamo assolutamente Dio, non c’è scampo. Siamo degli imbroglioni. Madre Teresa amava ripetere: “Non riesco a capire come tu faccia a vedere Dio in un pezzettino di pane, e non nel volto di un tuo fratello…”.
«Ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente…»
Ecco, fratelli, il punto è proprio questo: dobbiamo amare senza “se” e senza “ma”. Dobbiamo identificarci nell’amore, dobbiamo distribuirlo a piene mani.
Del resto non dobbiamo andare troppo lontano per trovarlo, non c’è bisogno di fare grandi ricerche: l’amore è in noi. Siamo noi il segno tangibile dell’amore di Dio; siamo noi l’immagine dell’Amore per definizione; l’amore non è “altro” da noi, lo portiamo dentro, è Dio che vive in noi da sempre. Noi siamo fatti per essere amati e per amare. Per essere amati da Lui e amare Lui, e per amare i nostri fratelli.
L’amore non è da “raggiungere” ma semplicemente da “liberare” dal nostro cuore, dalla nostra anima, dalla nostra mente. Dovrebbe essere semplice e naturale. Ma non è proprio così. Se non lo facciamo, non è perché ci manca l’amore, ma perché siamo impediti, siamo condizionati: non disponiamo cioè di quella libertà assoluta, di quella serenità priva di rigurgiti di “rispetto umano”, che ci permettono di spalancare in maniera ottimale il cuore, l’anima, la mente.
Abbiamo paura. Le nostre esperienze negative ci portano a chiuderci a riccio.
Ricordate? Quando eravamo piccoli, noi amavamo la mamma senza calcoli, senza ritegno, senza vergogna: noi l’amavamo in assoluto, per noi c’era solo lei; per noi la mamma era Dio. L’amore che nutrivamo per lei era amore autentico, totale, generoso, fiducioso, spontaneo, senza calcoli. Poi, purtroppo, con la crescita, attraverso le esperienze della vita, abbiamo imparato che l’amore porta inevitabilmente anche delle sofferenze; abbiamo capito che aprendoci amorosamente all’altro, rischiamo di essere dominati, manipolati, gestiti nostro malgrado; e se lo facciamo comunque, abbassando le nostre difese, quasi sempre finiamo con l’essere derisi e umiliati. Allora abbiamo deciso di lasciar perdere. Non lo abbiamo più fatto e ci siamo rinchiusi. Dentro. Da allora siamo cauti, amiamo solo idealmente, con il pensiero, con la fantasia, con le intenzioni, ma non con il cuore: perché il nostro cuore è chiuso, sordo ad ogni richiamo, prigioniero di troppi ricordi dolorosi, di troppe ferite, di sofferenze.
Ma, fratelli miei, questo non è amare: l’amore di testa, di fantasia, non esiste. Amare è adeguarsi al quel Dio creatore che sta in noi, nel nostro cuore. È quel sentimento divino che nasce dal cuore e in uno slancio vitale ci coinvolge in pieno: il nostro essere, le nostre emozioni, la nostra vita. In maniera totale, concreta e reale.
L’amore a distanza, l’amore mentale, l’amore sognato, esiste solo nei fumetti: è manipolazione, è surrogato. L’amore invece o c’è, e allora lo “senti”, oppure non c’è. Non si può “produrre” meccanicamente, prescindendo da Dio, dal cuore, dall’anima. Quindi amare Dio e il prossimo, significa amarli per davvero, amarli in maniera integra, libera, indivisa, generosa, concreta. È amarli con tutto il nostro essere, con i piedi per terra, pienamente coinvolti nel vivere quotidiano.
Ci siamo mai chiesto se amiamo Dio? Certo che lo amiamo, abbiamo risposto! Ma come? Beh, è naturale che lo amiamo così, col cuore, in quanto amando la vita, ci sentiamo attratti da Lui che è la Vita, pensiamo a Lui con “riconoscenza” per questo dono meraviglioso che ci ha dato e che continua a darci tutti i sacrosanti giorni. Si, fratelli, tutto questo è bello, rassicurante. Ma la “riconoscenza” non è amore. Con la “riconoscenza” noi non lo amiamo ancora come dovremmo, con tutto “noi stessi”: ossia dal profondo, in maniera viscerale, passionale, senza calcoli. Dobbiamo amarlo aderendo completamente a Lui, alla sua volontà, perdendoci in Lui, in tutto e per tutto. Altrimenti ci risiamo, fratelli: il nostro è un amore “mentale”, superficiale, un amore che si ferma alla “convenienza”, un amore “dovuto”, perché così fan tutti i bravi cristiani; un amore che non ci appassiona. Lo amiamo, ma con timore, con paura, con ritrosia, con una piccola parte di noi, perché – ci diciamo - è la vita che ci ha reso diffidenti.
Strano comportamento il nostro, vero? Non ci manca nulla, abbiamo dentro di noi l’Amore, ma non sappiamo tirarlo fuori, non sappiamo amare, non siamo liberi di amare. Siamo dei pusillanimi. Lasciamo che il nostro amore muoia, soffocato da mille incrostazioni.
A questo punto arriviamo a pensare che la felicità e l’amore, dipendano da circostanze a noi estranee, da altri, da situazioni contingenti, dal raggiungimento di questo o quell’obiettivo. Ma amare, fratelli, non significa abbandonarsi passivamente ad un’altra persona o nel cercare “altro”; significa invece reagire, entrare dentro di noi, cercare Lui, con un coinvolgimento di tutte le nostre emozioni: anche quelle più dolorose, come paura, abbandono, dolore, perdita, rabbia, tradimento. Amare significa far esplodere all’esterno tutta la nostra vita interiore, liberare tutta la passione e la forza che portiamo dentro. Amare significa essere spalancati al potere dello Spirito e alla Forza della Vita, inspirarli a pieni polmoni, e riversarli sugli altri, in un flusso carismatico continuo.
Fratelli, non lasciamo spegnere il nostro amore. Non permettiamo che altri spezzino le nostre ali. Dio ci ha fatti per librarci in alto, in cielo, e non per ruzzolare per terra. Se abbiamo perso la fiducia in Lui, se siamo stati feriti, se siamo diventati cinici, risentiti, offesi, scuotiamoci! Le ali le abbiamo ancora: sono solo ferite, sono solo spezzate…
Il medico ci attende. Ci vuole tanta fede, lo so; ma Gesù ci dice: ama e, se sbagli, pazienza. Egli in ogni caso non gradisce persone tiepide, non ama gli uomini “di poca fede”; vuole gente entusiasta come Paolo, preferisce chi sbaglia per eccesso, che per difetto. Se dunque riusciamo a credere nuovamente nell’Amore, se arriviamo a guarire le nostre ferite, se possiamo spalancare di nuovo le nostre ali, allora, fratelli miei, torniamo a volare. Torniamo cioè ad amare Dio e il prossimo con tutta la forza della nostra vita, con tutta l’intensità possibile: “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente”. Abbandoniamoci completamente a quell’Amore che vibra e pulsa in noi: perché in tale abbandono viviamo momenti di pura condivisione divina.
Amiamo Dio e il prossimo come Gesù ci ha insegnato. Così facendo la nostra vita sarà luce abbagliante per tutti. Tutto il resto: piani pastorali, strutture, carismi, ministeri, celebrazioni liturgiche, Chiesa... tutto passerà in secondo ordine; tutto, paradossalmente, diventerà accessorio, diventerà “dopo”.
L’unica cosa essenziale è l'amore: amare e lasciarsi amare. Subito. Qui e ora. Amen.