Il Vangelo di Luca è forse quello che più consapevolmente intraprende il suo progetto; sicuramente è quello che più apertamente lo dichiara al lettore. Lo scopo del Vangelo è "scrivere un resoconto ordinato", perché ci si possa "rendere conto della solidità degli insegnamenti ricevuti". E mentre rileggiamo il prologo, viene spontanea una riflessione sul modo in cui Gesù si rivela a noi.
Certamente, si è rivelato in forma visibile, tanto che alcuni ne divengono "testimoni" (il termine greco è più preciso: "testimoni oculari", coloro che hanno visto di persona. Ma questa forma di rivelazione è per noi oggi inaccessibile: non possiamo più "vederlo", come lo hanno visto gli apostoli. Gesù oggi si fa presente in forma indiretta, appunto attraverso la "testimonianza" di coloro che hanno visto, e divengono "ministri della parola". La parola sostituisce l'esperienza diretta di Gesù che parla, che opera miracoli, che muore e che risorge. Ma anche questa realtà è per noi oggi inaccessibile: non possiamo ascoltare la viva voce di chi è vissuto con Gesù. Tuttavia le loro parole sono state scritte: Luca asserisce che "molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi". Potremmo chiederci quanti fossero questi "molti". Gli studiosi discutono di quanti "vangeli" o fonti similari esistessero agli inizi del cristianesimo. Qualcuno cerca di ritrovare o ricostruire i primissimi documenti, che dovrebbero essere addirittura precedenti ai quattro vangeli. La ricerca è difficile, e non ha dato i risultati sperati. Non sappiamo quali ricerche abbia fatto Luca, né quali documenti avesse per mano: in mano a noi resta solo il suo Vangelo.
Gesù si rivela dunque a noi attraverso un libro. E qui il dubbio ci assale: non è troppo poco? Certamente, il libro da solo non basta: il libro viene letto nella Chiesa, nella comunità di coloro che si dicono discepoli di Gesù, e viene spiegato da preti e vescovi che si dicono eredi della testimonianza degli apostoli. Ma anche qui sorge un dubbio: non è troppo poco?
E d'altra parte, la testimonianza non si limita a trasmettere un libro, una serie di dogmi, a spiegare una serie di buoni comportamenti: ma dice che quel Gesù è vivo, è presente nella sua Chiesa, si lascia incontrare da coloro che lo cercano. La vita dei santi mostra come può essere l'uomo trasformato dall'incontro con Gesù. Vediamo dunque una serie di passaggi, che da Gesù arriva fino a noi (la sua vita, i testimoni, il libro, la Chiesa) e una serie di passaggi che da noi arriva a Gesù (la Chiesa, il libro, la testimonianza e l'esperienza della sua persona). Quello che ci viene chiesto è fidarci di questa catena di trasmissione. E sorge a volte il dubbio: non è troppo poco? troppo difficile la nostra fede?
Luca conosce bene questa difficoltà: era la difficoltà anche dei suoi lettori, che non avevano conosciuto Gesù di persona, ma attraverso un insegnamento. Anche per noi si ripropone il problema: non abbiamo visto Gesù, ma ci è stato insegnato. L'unica differenza è il tempo che separa l'ascoltatore dall'evento: tra la Risurrezione e Teofilo passa qualche decennio; per noi sono secoli. Per questo l'evangelista pone come primo episodio rilevante del ministero di Gesù la predicazione nella sinagoga di Nazareth. Gesù è presentato come maestro, come annunciatore, come profeta. In questo Vangelo Gesù è colui che apre il libro e lo commenta, anzi, colui che lo adempie: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udita con i vostri orecchi". Gesù fa capire - indirettamente - ai suoi compaesani che è lui il consacrato, colui che annuncia il lieto messaggio ai poveri, che proclama la libertà ai prigionieri, la liberazione agli oppressi... E anche per i nazaretani si ripropone il problema: non è troppo poco?
Come si può credere in costui? Non c'è differenza - quanto a difficoltà di credere - tra noi uomini del duemila, e i Nazaretani, che parlavano faccia a faccia con Gesù. E la sfida a noi lanciata dal Vangelo di Luca, che leggeremo in quest'anno giubilare della Diocesi, sarà proprio quella di "consoilidare" la nostra fede, renderci conto che quello di cui disponiamo, e che sembra troppo poco, è sufficiente per credere, per guidare la nostra vita, per spenderla e donarla totalmente.
giovedì 21 gennaio 2010
venerdì 15 gennaio 2010
17 gennaio 2010 - II Domenica del Tempo Ordinario
In ogni tempo e in ogni luogo la celebrazione delle nozze è fonte di gioia. Gioia, per coloro che pubblicamente chiedono la benedizione di Dio sul loro amore; gioia, per i parenti e per gli amici che vedono realizzarsi i sogni dei loro congiunti; ma gioia anche per i semplici conoscenti, che avvertono tutto il fascino di una nuova famiglia che con tante speranze prende il suo avvio. Per questo, in tale occasione, ognuno si sente sollecitato a prestare la massima cura a che non accadano imprevisti e che nulla possa disturbare la gioia di quel giorno tanto atteso e finalmente giunto. Chi di noi, infatti, non conosce quanti preparativi, quante attenzioni, quante premure richieda la celebrazione di un matrimonio? Molte ansie, molte premure e accorgimenti sorgono perché la gioia delle nozze sia davvero unica e speciale.
Proprio a un tale tipo di gioia vera, autentica e unica legata alla celebrazione dell'amore sponsale ci invita a pensare il vangelo di oggi: una gioia per poco minacciata dal fatto che il vino si era esaurito e che invece grazie all'attenzione di Maria viene salvata. È Maria infatti che sollecita Gesù a compiere il primo miracolo - a trasformare l'acqua in vino - scongiurando così un infelice epilogo della festa nuziale, cui loro insieme ai discepoli erano stati invitati.
Siamo a Cana, durante una celebrazione di nozze e la presenza provvidenziale di Maria e di Gesù scongiura, come già accennato, una precoce e penosa conclusione della festa e della gioia. Maria chiede con forza, infatti, a Gesù di porre rimedio all'imprevista mancanza del vino. In tal modo, sottolinea l'evangelista, Gesù "diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestando la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui".
I miracoli servono, quindi, la fede: sono cioè segni davvero straordinari che accompagnano la predicazione della lieta novella e sono finalizzati a suscitare in coloro che ne beneficiano o che vi assistono la fede in Gesù. Nel miracolo compiuto a Cana, non è certamente difficile leggere un atto di vera accondiscendenza da parte di Gesù verso gli sposi, che sarà subito interpretato come segno inequivocabile della benedizione che sull'amore umano scende dal cuore di Dio. L'amore umano tra l'uomo e la donna è quindi una buona strada per vivere il vangelo, cioè per incamminarsi sul percorso della santità.
Bisogna però riconoscere che il miracolo di Cana non riguarda solo coloro che tra di noi sono sposati. Ogni uomo e ogni donna è chiamato a incontrare il Signore come Sposo della sua esistenza. La connotazione sponsale dell'esistenza cristiana dovrebbe sempre di più entrare nella coscienza credente comune, e con essa anche il tema della gioia. Il cristianesimo è, in verità, un'esperienza di incontro gioioso con il Signore, di quella gioia che brilla sul volto degli sposi nel giorno in cui celebrano il dono del loro reciproco amore.
Spesso però può sembrare che il Cristianesimo evochi ben altro che la gioia nella testa e nei cuori dei nostri contemporanei. Altro che gioia! La Chiesa – e in molti purtroppo la pensano così - vuole tarpare le ali ai nostri desideri, vuole spezzare le gambe alla nostra ricerca di felicità e di gioia. Per questo in tanti si mantengono a distanza di sicurezza dalla Chiesa, dalle sue celebrazioni e da coloro che la rappresentano. Quanta tristezza provoca in noi constatare tutto ciò, dopo duemila anni di annuncio della lieta novella. Proprio a Cana, siamo invece invitati a scoprire che Gesù non si presenta a noi come un padrone che viene a chiedere conto del nostro operato né come un comandante che ci impone di seguire ciecamente gli ordini ricevuti. Si manifesta come Sposo dell'umanità: come colui che risponde alle attese e alle promesse di gioia che abitano nel cuore di ognuno di noi.
E allora non possiamo non chiederci se davvero, almeno noi che ci professiamo suoi discepoli, conosciamo il Signore sotto questa luce, se almeno noi gli stiamo rispondendo sulla lunghezza d'onda di quell'amore sponsale che egli dichiara per ogni uomo, se insomma ci siamo accorti che da lui siamo cercati e invitati a fargli spazio nell'intimo del nostro cuore.
E per nostra fortuna non siamo lasciati da soli in questo cammino.
Abbiamo con noi il dono della Sacra Scrittura. Le giare di pietra ricolme di quell'acqua che Gesù trasforma miracolosamente in vino sono segno dell’antica e nuova rivelazione: l'acqua buona dell'Antico Testamento in Gesù viene compiuta, trasformata (non sostituita!), nel vino della Nuova Alleanza. C'è, dunque, da aspettarsi che solo da un costante incontro con la parola di Dio il nostro cuore possa convertirsi decisamente al riconoscimento della verità profonda del nostro essere cristiani. Meditando con attenzione sulle pagine sante che in molti modi ci rendono presente la passione divina per l'uomo, potremo sempre di più innamorarci del Signore Gesù, nostro sposo e andargli incontro con le lampade accese della nostra fede gioiosa, divenendo così suoi convincenti testimoni dinanzi agli uomini e alle donne del nostro tempo.
Proprio a un tale tipo di gioia vera, autentica e unica legata alla celebrazione dell'amore sponsale ci invita a pensare il vangelo di oggi: una gioia per poco minacciata dal fatto che il vino si era esaurito e che invece grazie all'attenzione di Maria viene salvata. È Maria infatti che sollecita Gesù a compiere il primo miracolo - a trasformare l'acqua in vino - scongiurando così un infelice epilogo della festa nuziale, cui loro insieme ai discepoli erano stati invitati.
Siamo a Cana, durante una celebrazione di nozze e la presenza provvidenziale di Maria e di Gesù scongiura, come già accennato, una precoce e penosa conclusione della festa e della gioia. Maria chiede con forza, infatti, a Gesù di porre rimedio all'imprevista mancanza del vino. In tal modo, sottolinea l'evangelista, Gesù "diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestando la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui".
I miracoli servono, quindi, la fede: sono cioè segni davvero straordinari che accompagnano la predicazione della lieta novella e sono finalizzati a suscitare in coloro che ne beneficiano o che vi assistono la fede in Gesù. Nel miracolo compiuto a Cana, non è certamente difficile leggere un atto di vera accondiscendenza da parte di Gesù verso gli sposi, che sarà subito interpretato come segno inequivocabile della benedizione che sull'amore umano scende dal cuore di Dio. L'amore umano tra l'uomo e la donna è quindi una buona strada per vivere il vangelo, cioè per incamminarsi sul percorso della santità.
Bisogna però riconoscere che il miracolo di Cana non riguarda solo coloro che tra di noi sono sposati. Ogni uomo e ogni donna è chiamato a incontrare il Signore come Sposo della sua esistenza. La connotazione sponsale dell'esistenza cristiana dovrebbe sempre di più entrare nella coscienza credente comune, e con essa anche il tema della gioia. Il cristianesimo è, in verità, un'esperienza di incontro gioioso con il Signore, di quella gioia che brilla sul volto degli sposi nel giorno in cui celebrano il dono del loro reciproco amore.
Spesso però può sembrare che il Cristianesimo evochi ben altro che la gioia nella testa e nei cuori dei nostri contemporanei. Altro che gioia! La Chiesa – e in molti purtroppo la pensano così - vuole tarpare le ali ai nostri desideri, vuole spezzare le gambe alla nostra ricerca di felicità e di gioia. Per questo in tanti si mantengono a distanza di sicurezza dalla Chiesa, dalle sue celebrazioni e da coloro che la rappresentano. Quanta tristezza provoca in noi constatare tutto ciò, dopo duemila anni di annuncio della lieta novella. Proprio a Cana, siamo invece invitati a scoprire che Gesù non si presenta a noi come un padrone che viene a chiedere conto del nostro operato né come un comandante che ci impone di seguire ciecamente gli ordini ricevuti. Si manifesta come Sposo dell'umanità: come colui che risponde alle attese e alle promesse di gioia che abitano nel cuore di ognuno di noi.
E allora non possiamo non chiederci se davvero, almeno noi che ci professiamo suoi discepoli, conosciamo il Signore sotto questa luce, se almeno noi gli stiamo rispondendo sulla lunghezza d'onda di quell'amore sponsale che egli dichiara per ogni uomo, se insomma ci siamo accorti che da lui siamo cercati e invitati a fargli spazio nell'intimo del nostro cuore.
E per nostra fortuna non siamo lasciati da soli in questo cammino.
Abbiamo con noi il dono della Sacra Scrittura. Le giare di pietra ricolme di quell'acqua che Gesù trasforma miracolosamente in vino sono segno dell’antica e nuova rivelazione: l'acqua buona dell'Antico Testamento in Gesù viene compiuta, trasformata (non sostituita!), nel vino della Nuova Alleanza. C'è, dunque, da aspettarsi che solo da un costante incontro con la parola di Dio il nostro cuore possa convertirsi decisamente al riconoscimento della verità profonda del nostro essere cristiani. Meditando con attenzione sulle pagine sante che in molti modi ci rendono presente la passione divina per l'uomo, potremo sempre di più innamorarci del Signore Gesù, nostro sposo e andargli incontro con le lampade accese della nostra fede gioiosa, divenendo così suoi convincenti testimoni dinanzi agli uomini e alle donne del nostro tempo.
lunedì 4 gennaio 2010
10 Gennaio 2010 - Battesimo del Signore
Dio è nato: accessibile, incontrabile, diverso, immensamente diverso dalla brutta immagine che ne abbiamo, questo Dio totalmente altro diventa bambino, neonato. Stanco di essere incompreso e non cercato, Dio diventa uomo perché l'uomo diventi come Dio. Lui è nato, e io?
Sì, per carità, vivo, respiro, cresco. Come fanno gli arbusti. Ma sono nato? Nato alla verità, nato alla visione diversa delle cose, al sorriso di Dio che quest'anno sono invitato a scoprire, nato all'amore?
Esiste un modo concreto di nascere: diventare discepoli del Maestro Gesù. Rinascere nel sacramento del Battesimo, segno di conversione e di vita nuova, traboccante presenza che ci viene innestata, presenza di Dio che ci abita. Tutto ciò è accaduto il lontano giorno del nostro Battesimo in cui siamo stati creati discepoli, rinati a vita nuova.
Lo so, avete ragione: non ve ne siete accorti. Forse perché – ahimé – quel gesto è divenuto doverosa prassi, moderno rito di iniziazione, abitudine; il mio e il vostro battesimo resta sepolto nei fragili ricordi dell'infanzia. Ma è accaduto, comunque, e forse possiamo riscoprirlo, rispolverarlo, farlo scatenare in noi.
Riscoprire il proprio battesimo significa riappropriarci del cammino di discepolato, passare da una visione della fede stanca e rassegnata, ad una avventura entusiasmante che può – davvero! – cambiare la nostra vita. Vi propongo, allora, di rinascere a due atteggiamenti che derivano dal battesimo.
Giovanni dice che Gesù battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Fuoco, amici, fuoco. Gesù è fuoco, la sua parola ci divora, ci inquieta, ci converte. Fuoco, amici, non tiepidezza. Come siamo frastornati quando ci innamoriamo, così accade – e di più e meglio - quando incontriamo la verità dello sguardo di Cristo. Fuoco che illumina, riscalda, consuma, incendia. Fuoco, non tiepida adesione ad un progetto intellettuale. Se non bruciate dentro al pensiero del Maestro, dobbiamo compiere ancora un bel cammino.
Il secondo atteggiamento di rinascita parte dalla frase espressa dal Padre nei riguardi del figlio in preghiera: "Tu sei il mio figlio bene-amato, in te mi sono compiaciuto"
Tutti noi veniamo educati a meritarci di essere amati, a compiere delle cose che ci rendono meritevoli dell'affetto altrui; sin da piccoli siamo educati ad essere buoni alunni, buoni figli, buoni fidanzati, buoni sposi, buoni genitori, bravo parroco... il mondo premia le persone che riescono, capaci e – dentro di noi – s'insinua l'idea che Dio mi ama, certo, ma a certe condizioni. Tutta la nostra vita è l'elemosina di un apprezzamento, di un riconoscimento.
Anzi, se una persona mi contraddice, mi accusa, reagisco ma in fondo penso che abbia ragione, dico: "devi arrenderti all'evidenza, tu non vali". La reazione spontanea – lontani da Dio – è allora di difesa e aggressività o di eccessiva superficialità, mi omologo, do il massimo, passo la mia vita ad inseguire l'idea di me che gli altri mi restituiscono. Invece Dio mi dice che io sono amato bene, dall'inizio, prima di agire: Dio non mi ama perché buono ma – amandomi – mi rende buono. Dio si compiace di me perché vede il capolavoro che sono, l'opera d'arte che posso diventare, la dignità di cui egli mi ha rivestito. Allora, ma solo allora, potrò guardare al percorso da fare per diventare opera d'arte, alle fatiche che mi frenano, alle fragilità che devo superare. Il cristianesimo è tutto qui, Dio mi ama per ciò che sono, Dio mi svela in profondità ciò che sono: bene-amato. È difficile amare "bene", l'amore è grandioso e ambiguo, può costruire e distruggere, non si tratta di adorare qualcuno, ma di amarlo "bene", renderlo autonomo, adulto, vero, consapevole. Così Dio fa con me.
Questa consapevolezza, del fuoco che illumina e dello scoprirmi bene-amato, è possibile solo attraverso la preghiera; una preghiera quotidiana, autentica, fatta di silenzio e di ascolto della parola del Maestro Gesù così come ci insegna il Rabbì, assorto nella preghiera dopo il suo battesimo.
Coraggio, fratelli, amici, è tempo di rinascere.
Sì, per carità, vivo, respiro, cresco. Come fanno gli arbusti. Ma sono nato? Nato alla verità, nato alla visione diversa delle cose, al sorriso di Dio che quest'anno sono invitato a scoprire, nato all'amore?
Esiste un modo concreto di nascere: diventare discepoli del Maestro Gesù. Rinascere nel sacramento del Battesimo, segno di conversione e di vita nuova, traboccante presenza che ci viene innestata, presenza di Dio che ci abita. Tutto ciò è accaduto il lontano giorno del nostro Battesimo in cui siamo stati creati discepoli, rinati a vita nuova.
Lo so, avete ragione: non ve ne siete accorti. Forse perché – ahimé – quel gesto è divenuto doverosa prassi, moderno rito di iniziazione, abitudine; il mio e il vostro battesimo resta sepolto nei fragili ricordi dell'infanzia. Ma è accaduto, comunque, e forse possiamo riscoprirlo, rispolverarlo, farlo scatenare in noi.
Riscoprire il proprio battesimo significa riappropriarci del cammino di discepolato, passare da una visione della fede stanca e rassegnata, ad una avventura entusiasmante che può – davvero! – cambiare la nostra vita. Vi propongo, allora, di rinascere a due atteggiamenti che derivano dal battesimo.
Giovanni dice che Gesù battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Fuoco, amici, fuoco. Gesù è fuoco, la sua parola ci divora, ci inquieta, ci converte. Fuoco, amici, non tiepidezza. Come siamo frastornati quando ci innamoriamo, così accade – e di più e meglio - quando incontriamo la verità dello sguardo di Cristo. Fuoco che illumina, riscalda, consuma, incendia. Fuoco, non tiepida adesione ad un progetto intellettuale. Se non bruciate dentro al pensiero del Maestro, dobbiamo compiere ancora un bel cammino.
Il secondo atteggiamento di rinascita parte dalla frase espressa dal Padre nei riguardi del figlio in preghiera: "Tu sei il mio figlio bene-amato, in te mi sono compiaciuto"
Tutti noi veniamo educati a meritarci di essere amati, a compiere delle cose che ci rendono meritevoli dell'affetto altrui; sin da piccoli siamo educati ad essere buoni alunni, buoni figli, buoni fidanzati, buoni sposi, buoni genitori, bravo parroco... il mondo premia le persone che riescono, capaci e – dentro di noi – s'insinua l'idea che Dio mi ama, certo, ma a certe condizioni. Tutta la nostra vita è l'elemosina di un apprezzamento, di un riconoscimento.
Anzi, se una persona mi contraddice, mi accusa, reagisco ma in fondo penso che abbia ragione, dico: "devi arrenderti all'evidenza, tu non vali". La reazione spontanea – lontani da Dio – è allora di difesa e aggressività o di eccessiva superficialità, mi omologo, do il massimo, passo la mia vita ad inseguire l'idea di me che gli altri mi restituiscono. Invece Dio mi dice che io sono amato bene, dall'inizio, prima di agire: Dio non mi ama perché buono ma – amandomi – mi rende buono. Dio si compiace di me perché vede il capolavoro che sono, l'opera d'arte che posso diventare, la dignità di cui egli mi ha rivestito. Allora, ma solo allora, potrò guardare al percorso da fare per diventare opera d'arte, alle fatiche che mi frenano, alle fragilità che devo superare. Il cristianesimo è tutto qui, Dio mi ama per ciò che sono, Dio mi svela in profondità ciò che sono: bene-amato. È difficile amare "bene", l'amore è grandioso e ambiguo, può costruire e distruggere, non si tratta di adorare qualcuno, ma di amarlo "bene", renderlo autonomo, adulto, vero, consapevole. Così Dio fa con me.
Questa consapevolezza, del fuoco che illumina e dello scoprirmi bene-amato, è possibile solo attraverso la preghiera; una preghiera quotidiana, autentica, fatta di silenzio e di ascolto della parola del Maestro Gesù così come ci insegna il Rabbì, assorto nella preghiera dopo il suo battesimo.
Coraggio, fratelli, amici, è tempo di rinascere.
6 Gennaio 2010 - Epifania del Signore
Il passo del vangelo dell'Epifania è quello notissimo dei magi, i misteriosi sapienti che dal lontano oriente si recano in visita al neonato bambino Gesù, lo cercano invano presso il re Erode e, una volta trovatolo, gli offrono ricchi quanto simbolici doni: un episodio che si presta a fascinose rappresentazioni e a interrogativi senza fine (da dove venivano? chi e quanti erano? come si chiamavano? perché hanno portato in dono proprio oro, incenso e mirra? a guidarli fu una stella o una cometa? e semmai, quale? eccetera).
Tante domande, che non avranno mai risposta certa e servono soltanto a distogliere l'attenzione dall'autentico significato della festa. Diciamo subito, allora, che quella di oggi non è "la festa dei re magi": l'episodio serve soltanto a esemplificare il significato del termine Epifania, cioè "manifestazione"; dopo aver celebrato con il Natale il fatto della nascita di Gesù, la festa di oggi invita a riflettere sul perché. Perché il Figlio di Dio si è fatto uomo? Non per restare nascosto, non per ragioni sue private, ma appunto per manifestarsi, per farsi conoscere, e sin dalla nascita: ancor prima dei magi sono invitati a visitarlo i pastori di Betlemme.
I pastori e i magi: vale a dire, gli ebrei e i non ebrei, i poveri e i ricchi, i socialmente irrilevanti e i dotti ricevuti a corte; insomma tutti, perché per tutti il Figlio di Dio si è incarnato, e tutti invita a conoscerlo e riconoscerlo e così fruire dell'opera che è venuto a compiere. Allo scopo, non solo la nascita ma l'intera vita terrena di Gesù è la sua epifania: qui sta la ragione prima dei suoi insegnamenti, delle sue tante guarigioni fisiche e spirituali, e infine della sua risurrezione.
Dio si fa uomo per mettersi al nostro livello, per rivolgersi a noi con parole e comportamenti da noi comprensibili. Per dirla con le parole stesse della Bibbia, "Molte volte e in molti modi Dio aveva parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti, e infine ha parlato a noi per mezzo del Figlio": questi è l'apice della rivelazione di Dio, la sua piena epifania, la parola ultima dopo la quale non ce ne saranno di nuove, almeno sino a quando gli uomini giungeranno a Lui e potranno contemplarlo "faccia a faccia".
Si capisce allora l'importanza della festa di oggi. Essa richiama l'attenzione sull'indicibile magnanimità di Dio: l'Eterno, l'Infinito, l'Onnipotente, il Creatore e Signore dell'universo, Lui che non ha bisogno di niente e di nessuno, ha voluto entrare in contatto con le povere misere indegne creature quali noi siamo. Lo ha fatto per il nostro bene, come espressione del suo amore senza limiti; ma se l'ha fatto, significa anche un'altra cosa: che ci ha voluto in grado di dialogare con Lui. Ecco perché ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza: l'ha dotato, unica tra tutte le creature terrene, di intelligenza e di libertà, anzitutto proprio perché possa dialogare con Lui.
Con la propria intelligenza l'uomo sa lanciarsi in meravigliose avventure: esplora l'universo, inventa macchine e medicine, dà forma a bellezza e poesia. Ma può trovare avventura più esaltante del ricercare Colui che l'intelligenza gliel'ha data? E, meraviglia delle meraviglie, tale suprema avventura non è riservata a pochi temerari o mentalmente superdotati: Dio appaga chiunque lo ricerchi. Si può andar per mare su una barchetta come su un transatlantico; secondo il mezzo, si potrà giungere in America o sull'isolotto di fronte alla costa: in ogni caso, comune sarà l'ebbrezza del navigare. L'importante è decidersi a partire.
Tante domande, che non avranno mai risposta certa e servono soltanto a distogliere l'attenzione dall'autentico significato della festa. Diciamo subito, allora, che quella di oggi non è "la festa dei re magi": l'episodio serve soltanto a esemplificare il significato del termine Epifania, cioè "manifestazione"; dopo aver celebrato con il Natale il fatto della nascita di Gesù, la festa di oggi invita a riflettere sul perché. Perché il Figlio di Dio si è fatto uomo? Non per restare nascosto, non per ragioni sue private, ma appunto per manifestarsi, per farsi conoscere, e sin dalla nascita: ancor prima dei magi sono invitati a visitarlo i pastori di Betlemme.
I pastori e i magi: vale a dire, gli ebrei e i non ebrei, i poveri e i ricchi, i socialmente irrilevanti e i dotti ricevuti a corte; insomma tutti, perché per tutti il Figlio di Dio si è incarnato, e tutti invita a conoscerlo e riconoscerlo e così fruire dell'opera che è venuto a compiere. Allo scopo, non solo la nascita ma l'intera vita terrena di Gesù è la sua epifania: qui sta la ragione prima dei suoi insegnamenti, delle sue tante guarigioni fisiche e spirituali, e infine della sua risurrezione.
Dio si fa uomo per mettersi al nostro livello, per rivolgersi a noi con parole e comportamenti da noi comprensibili. Per dirla con le parole stesse della Bibbia, "Molte volte e in molti modi Dio aveva parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti, e infine ha parlato a noi per mezzo del Figlio": questi è l'apice della rivelazione di Dio, la sua piena epifania, la parola ultima dopo la quale non ce ne saranno di nuove, almeno sino a quando gli uomini giungeranno a Lui e potranno contemplarlo "faccia a faccia".
Si capisce allora l'importanza della festa di oggi. Essa richiama l'attenzione sull'indicibile magnanimità di Dio: l'Eterno, l'Infinito, l'Onnipotente, il Creatore e Signore dell'universo, Lui che non ha bisogno di niente e di nessuno, ha voluto entrare in contatto con le povere misere indegne creature quali noi siamo. Lo ha fatto per il nostro bene, come espressione del suo amore senza limiti; ma se l'ha fatto, significa anche un'altra cosa: che ci ha voluto in grado di dialogare con Lui. Ecco perché ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza: l'ha dotato, unica tra tutte le creature terrene, di intelligenza e di libertà, anzitutto proprio perché possa dialogare con Lui.
Con la propria intelligenza l'uomo sa lanciarsi in meravigliose avventure: esplora l'universo, inventa macchine e medicine, dà forma a bellezza e poesia. Ma può trovare avventura più esaltante del ricercare Colui che l'intelligenza gliel'ha data? E, meraviglia delle meraviglie, tale suprema avventura non è riservata a pochi temerari o mentalmente superdotati: Dio appaga chiunque lo ricerchi. Si può andar per mare su una barchetta come su un transatlantico; secondo il mezzo, si potrà giungere in America o sull'isolotto di fronte alla costa: in ogni caso, comune sarà l'ebbrezza del navigare. L'importante è decidersi a partire.
martedì 22 dicembre 2009
1 Gennaio 2010 - Maria Ss. Madre di Dio
Dio è Amore. Da questo amore ha origine e sussistenza il mondo, il tempo, la storia, la vita dell'universo... tutto viene da Dio, tutto è sostenuto da Lui, tutto è orientato verso Dio. Di Cristo Figlio di Dio giustamente si dice: "Ieri, oggi e sempre: Egli è il Salvatore". Ogni tempo trova in Cristo e nell'amore di Dio luce e significato pieno. La liturgia ci aiuta a venerare e a celebrare Maria Ss. Madre di Dio. È lei che ha accolto e generato nel tempo e nella storia il Figlio di Dio, è lei che ci ha portato il Salvatore. Lei ha dato tutta la sua opera e la sua collaborazione alla missione di Gesù Salvatore.
Mentre iniziamo un nuovo anno non affidiamoci agli oroscopi o alla magia per cercare soccorso o luce; affidiamoci a Dio e cerchiamo soccorso e luce in Dio e soltanto in Lui.
Sulla soglia di un nuovo anno e di un tempo così significativo facciamoci dono di una benedizione, cioè di una parola che parta dal cuore e diventi preghiera e carità per chi ci vive accanto.
Il vangelo ci indica la strada della benedizione: è la strada di Betlemme. Infatti Dio è tra noi, è con noi; Dio ci è venuto incontro, è dentro la nostra storia. Ora siamo noi che dobbiamo muovere i passi verso di Lui: siamo noi che dobbiamo aprirci, affinché la Luce entri e illumini la nostra vita.
Maria Ss. è la donna che ha ascoltato la voce di Dio, lo ha accolto, ha obbedito alla sua volontà; è stata attenta a cogliere tutti i segni di Dio per rinnovare ogni giorno il suo "sì".
Maria ha saputo sempre cantare il suo Magnificat, il suo ringraziamento. "Maria nella stalla di Betlemme, con in braccio il bambino Gesù, è l'immagine della gioia, è il massimo della gioia. Infatti quando c'è Dio, si può vivere anche in un tugurio ed essere contenti; quando c'è Dio si può essere poveri e ammalati, ma pieni di gioia.
Maria è la donna della fede, accanto a Gesù piccolo e bisognoso di tutto, accanto a lui nella vita di Nazareth, sul Calvario e nella gioia della resurrezione.
In questo giorno la Chiesa invoca anche la benedizione e la pace sul mondo intero, perché il tempo e la storia siano secondo il progetto di Dio che vuole gli uomini tutti fratelli, perché suoi figli.
Molti sono i problemi, i drammi, le ingiustizie e le guerre del nostro tempo. Per questo occorre pregare e impegnarci, conoscere le situazioni dei popoli e portare nella nostra storia così piena di conflitti la luce della parola e dell'amore di Dio e l'insegnamento del magistero della Chiesa.
Per questo vi auguro la pace. Augurare la Pace è augurare l’incontro con Dio. Tutti gli uomini, come te e come me, possano conoscere Dio non solo nelle Liturgie della Chiese o nelle preghiere di Sinagoghe e Moschee, ma lo possano conoscere anche nell’incontro con l’altro, nell’ascolto reciproco, nell’aiuto nelle difficoltà, nel perdono dopo lo scontro, nell’amore che possiamo darci sempre e in ogni occasione.
Sia Pace in te… Sia Dio in te!
Sia Pace nel mondo… Sia Dio in ogni uomo.
Mentre iniziamo un nuovo anno non affidiamoci agli oroscopi o alla magia per cercare soccorso o luce; affidiamoci a Dio e cerchiamo soccorso e luce in Dio e soltanto in Lui.
Sulla soglia di un nuovo anno e di un tempo così significativo facciamoci dono di una benedizione, cioè di una parola che parta dal cuore e diventi preghiera e carità per chi ci vive accanto.
Il vangelo ci indica la strada della benedizione: è la strada di Betlemme. Infatti Dio è tra noi, è con noi; Dio ci è venuto incontro, è dentro la nostra storia. Ora siamo noi che dobbiamo muovere i passi verso di Lui: siamo noi che dobbiamo aprirci, affinché la Luce entri e illumini la nostra vita.
Maria Ss. è la donna che ha ascoltato la voce di Dio, lo ha accolto, ha obbedito alla sua volontà; è stata attenta a cogliere tutti i segni di Dio per rinnovare ogni giorno il suo "sì".
Maria ha saputo sempre cantare il suo Magnificat, il suo ringraziamento. "Maria nella stalla di Betlemme, con in braccio il bambino Gesù, è l'immagine della gioia, è il massimo della gioia. Infatti quando c'è Dio, si può vivere anche in un tugurio ed essere contenti; quando c'è Dio si può essere poveri e ammalati, ma pieni di gioia.
Maria è la donna della fede, accanto a Gesù piccolo e bisognoso di tutto, accanto a lui nella vita di Nazareth, sul Calvario e nella gioia della resurrezione.
In questo giorno la Chiesa invoca anche la benedizione e la pace sul mondo intero, perché il tempo e la storia siano secondo il progetto di Dio che vuole gli uomini tutti fratelli, perché suoi figli.
Molti sono i problemi, i drammi, le ingiustizie e le guerre del nostro tempo. Per questo occorre pregare e impegnarci, conoscere le situazioni dei popoli e portare nella nostra storia così piena di conflitti la luce della parola e dell'amore di Dio e l'insegnamento del magistero della Chiesa.
Per questo vi auguro la pace. Augurare la Pace è augurare l’incontro con Dio. Tutti gli uomini, come te e come me, possano conoscere Dio non solo nelle Liturgie della Chiese o nelle preghiere di Sinagoghe e Moschee, ma lo possano conoscere anche nell’incontro con l’altro, nell’ascolto reciproco, nell’aiuto nelle difficoltà, nel perdono dopo lo scontro, nell’amore che possiamo darci sempre e in ogni occasione.
Sia Pace in te… Sia Dio in te!
Sia Pace nel mondo… Sia Dio in ogni uomo.
27 Dicembre 2009 - Santa Famiglia
Sacra Famiglia, modello delle famiglie. Resto sempre un po' in imbarazzo a parlare di "modello" quando parlo della Santa Famiglia; ben poco rassomiglia alle nostre famiglie: un bambino che è la presenza di Dio, un padre e una madre coinvolti in un Mistero inaudito, senza confini. Possono davvero dirci qualcosa? Credo proprio di sì. Non solo: credo che in questi tempi dobbiamo avere il coraggio di parlare di più e meglio della famiglia, delle nostre famiglie. La famiglia è in crisi, ci dicono i sociologi. Ma senza scomodarli, ci rendiamo conto che qualcosa non funziona nella nostra società: sempre di più sono le coppie che si sfasciano, che non credono più nella possibilità di un rapporto duraturo. Lasciate perdere un attimo la morale e parliamo da uomini, con sincerità. Il fatto che la famiglia sia in crisi, o, meglio, che la coppia lo sia, è anzitutto un problema umano. Quanta sofferenza e disillusione vedo negli occhi di chi cerca una certezza affettiva! Dobbiamo concludere anche noi che è impossibile amarsi? Che è finito il tempo dell'illusione? Non è un problema da poco: se veramente è impossibile parlare di progetto, di fedeltà, di continuità, allora la famiglia è morta. Eppure questa festa, fratelli, ci ricorda il sogno che Dio ha sulla coppia. Amarsi è possibile; restare fedeli è possibile; crescere in un progetto è possibile. Di più: Dio ci ha piantato nel cuore, quando ci ha creati, questa nostalgia per la comunione. Non siamo stati creati a immagine e somiglianza del Dio che è Comunione Trinitaria? Giuseppe e Maria, allora, nel loro amore pieno di tenerezza e di fatica, ci dicono che Dio ha scelto di nascere in una famiglia, di soggiacere alle dinamiche familiari, di vivere le fatiche del rapporto di coppia.
Questo disegno divino si avvera quando l’uomo e la donna si uniscono intimamente nell’amore per il servizio della vita, partecipando così al potere creatore di Dio e all’amore redentivo di Cristo.
Questo disegno di Dio chiama ogni giorno gli sposi, la famiglia, a vivere la “novità” dell’amore, attraverso la conversione del cuore e la santità della vita, segnata dalla sofferenza della croce e dalla speranza della risurrezione.
La risposta al progetto di Dio impegna la famiglia a svolgere i compiti che le sono propri nel mondo di oggi: l’educazione alla libertà, ad un forte senso morale, alla fede e agli autentici valori umani e cristiani. Ad essa è affidato anzitutto il compito della evangelizzazione e della catechesi; e nell’ambito della più ampia comunità sociale essa testimonia i valori evangelici, promuove la giustizia sociale, aiuta i poveri e gli oppressi.
La famiglia cristiana potrà attuare questo se sarà perseverante nella preghiera comune e, in modo particolare, nella Liturgia che sono fonti di grazia.
Questo disegno divino si avvera quando l’uomo e la donna si uniscono intimamente nell’amore per il servizio della vita, partecipando così al potere creatore di Dio e all’amore redentivo di Cristo.
Questo disegno di Dio chiama ogni giorno gli sposi, la famiglia, a vivere la “novità” dell’amore, attraverso la conversione del cuore e la santità della vita, segnata dalla sofferenza della croce e dalla speranza della risurrezione.
La risposta al progetto di Dio impegna la famiglia a svolgere i compiti che le sono propri nel mondo di oggi: l’educazione alla libertà, ad un forte senso morale, alla fede e agli autentici valori umani e cristiani. Ad essa è affidato anzitutto il compito della evangelizzazione e della catechesi; e nell’ambito della più ampia comunità sociale essa testimonia i valori evangelici, promuove la giustizia sociale, aiuta i poveri e gli oppressi.
La famiglia cristiana potrà attuare questo se sarà perseverante nella preghiera comune e, in modo particolare, nella Liturgia che sono fonti di grazia.
25 Dicembre 2009 - NATALE DEL SIGNORE
Ecco Dio. Miagola, pigola, vagisce con una flebile voce, come fanno i cuccioli d'uomo appena nati. Gli occhi socchiusi, le minuscole mani serrate a pugno, appoggia il viso grinzoso all'acerbo seno della madre. Per un istante spalanca gli occhi, come ad essere rassicurato, poi ripiomba nel sonno.
La madre, inesperta, attinge il dito mignolo in una tazza di coccio e glielo appoggia sulle piccola labbra che si dischiudono e si bagnano del latte di capra.
Maria gli aggiusta la coperta di lana che protegge il corpo nudo del neonato dal freddo del deserto che lambisce le case di Betlemme. Sorride, pensando a quando, poche ore prima, la levatrice lo aveva rudemente pulito dalla placenta e dal sangue, incurante delle urla di protesta del piccolo.
Sorride, Maria, e guarda Giuseppe, seduto sulla paglia, esausto dal lungo viaggio e dalle emozioni delle ultime ore.
Anch'io taccio, in un angolo della stalla, senza fare rumore, sospeso fra la commozione e la stanchezza. Ecco Dio, dunque.
Siamo tutti spiazzati, ancora. Ecco Dio. Ecco com'è veramente. Che ha a che vedere, questo neonato, con l'idea che siamo fatti di Lui? Che c'entra? Guardo lungamente, ora anche Maria appoggia il capo alla parete di pietra, cercando un improbabile sonno. Ecco Dio: enorme inerme, possente fragile, debole per scelta. Suscita tenerezza, viene voglia di prenderlo in mano di accarezzarlo.
Maria ha creduto nelle parole del principe degli angeli, ha messo la sua vita nelle mani di Dio. E ora è lì, con il mistero dell'Universo che stringe a sé. Frastornata e meditabonda, con il suo cuore, immenso cuore di discepola, altalenante fra il gioire dell'essere diventata madre e lo stupirsi nel tenere Dio appeso al suo collo. Prima fra i folli di Dio, prima fra i credenti, prima fra le donne, benedette figlie di Eva che di Dio condividono il generare.
Giuseppe siede stanco. Anche lui ha detto sì, ma il suo è stato sofferto, faticoso, strappato.
I suoi sogni ora sono il sogno di Dio, non ha più futuro, né spazio, né ambizione, né comprensibile orgoglio di padre. Il Padre lo ha reso padre, lui, ora dovrà accudire Dio e la sua madre, proteggerli e lasciarli crescere, loro così abitati dal Mistero, lui così consapevole che la vita non si misura dai risultati ma dalla fedeltà agli eventi.
Sulle colline intorno a Betlemme, i pastori, i bastardi di Dio, i perdenti, gli zingari, gli arraffatori, gli uomini senza dignità, senza futuro, senza speranza, bestemmiano in cuor loro la sorte, ricacciando il dolore che sale a soffocare la gola e a riempire gli occhi di lacrime. Fine di un giorno uguale come i precedenti, uguale come i futuri, senza scampo, senza tregua, senza luce. E un angelo appare loro. Per voi…dice. Una mangiatoia... dice.
E vanno. E trovano Dio che abita una mangiatoia, come se fosse un trono, e capiscono che anche una mangiatoia che odora di sterco di pecora può diventare il trono del Dio degli sconfitti.
A est, lontano, un gruppo di curiosi accampati discutono, alzando il prezzo della scommessa: chi sostiene che il segno nel cielo indica la nascita di un re, altri dicono che, invece, prospetta una catastrofe, altri ancora che non significa nulla. E scherzano e ridono, mentre i servi portano la carne cotta al fuoco. Andranno a dormire presto, domani ripartiranno verso la Giudea. Sazi di denaro, sazi di cultura, sazi di beni. Ma ancora curiosi, ancora si interrogano e cercano.
A Gerusalemme i Sommi Sacerdoti commentano la giornata, pianificano il futuro del nuovo, splendido tempio. Alla fine si congedano, pregano, invocano al venuta del Messia. Qualcuno sorride: ci mancherebbe la venuta del Messia, ora.
Erode caccia la concubina dal suo letto, stenta a prendere sonno. Si affaccia sulla terrazza del palazzo che domina la sua città. No, la folla non lo ama, nonostante tutto, pazienza: se non sarà ricordato per la sua gloria, sarà ricordato per il suo odio.
E Noi? Ecco Dio, mi ripeto nella penombra della chiesa. Dio non si è ancora stancato di noi, se chiede di nascere. Prego, ora, affidando tutti, e tutti non riescono a stare nella mia povera preghiera. Penso a chi soffre, questa notte, perché nessun angelo gli ha ancora detto che Dio nasce proprio per lui. Prego per i tanti, migliaia, che ho incontrato in questo anno così doloroso e intenso, e a come Dio sia stupefacente nel disegnare nuove strade per chi si affida a Lui. Penso alla nostra Italia così litigiosa, così affaticata e delusa, che non ha più speranza, che pensa di essere davvero mediocre come appare, e chiedo al Signore un regalo: di ricordarci da dove proveniamo e verso chi andiamo, tutti.
Vedo il bambino, nella penombra della chiesa. E mi dico in che cavolo di guaio mi sono messo, seguendo un Dio che, invece di risolvermi i problemi, me ne crea a bizzeffe. Vorrei stringerlo fra le mie braccia, riempirlo di baci questo Dio, dire che lo amo, proprio perché così imprevedibile, perché così misteriosamente incontrabile e banale.
Apro un libretto di canti del banco e trovo un'immaginetta: contiene una preghiera di uno dei più feroci atei del secolo scorso, maestro del dubbio e della noia: Sartre.
«Maria guarda Gesù e pensa: questo Dio è mio figlio.
È Dio. E mi assomiglia.
Un Dio bambino che si può prendere fra le braccia, e coprire di baci.
Un Dio caldo, che sorride e respira.
Un Dio che si può toccare e che respira, un Dio che si può toccare e ride.
È in uno di questi momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore.»
Buon Natale, cercatori di Dio. Lasciatevi trovare!.
La madre, inesperta, attinge il dito mignolo in una tazza di coccio e glielo appoggia sulle piccola labbra che si dischiudono e si bagnano del latte di capra.
Maria gli aggiusta la coperta di lana che protegge il corpo nudo del neonato dal freddo del deserto che lambisce le case di Betlemme. Sorride, pensando a quando, poche ore prima, la levatrice lo aveva rudemente pulito dalla placenta e dal sangue, incurante delle urla di protesta del piccolo.
Sorride, Maria, e guarda Giuseppe, seduto sulla paglia, esausto dal lungo viaggio e dalle emozioni delle ultime ore.
Anch'io taccio, in un angolo della stalla, senza fare rumore, sospeso fra la commozione e la stanchezza. Ecco Dio, dunque.
Siamo tutti spiazzati, ancora. Ecco Dio. Ecco com'è veramente. Che ha a che vedere, questo neonato, con l'idea che siamo fatti di Lui? Che c'entra? Guardo lungamente, ora anche Maria appoggia il capo alla parete di pietra, cercando un improbabile sonno. Ecco Dio: enorme inerme, possente fragile, debole per scelta. Suscita tenerezza, viene voglia di prenderlo in mano di accarezzarlo.
Maria ha creduto nelle parole del principe degli angeli, ha messo la sua vita nelle mani di Dio. E ora è lì, con il mistero dell'Universo che stringe a sé. Frastornata e meditabonda, con il suo cuore, immenso cuore di discepola, altalenante fra il gioire dell'essere diventata madre e lo stupirsi nel tenere Dio appeso al suo collo. Prima fra i folli di Dio, prima fra i credenti, prima fra le donne, benedette figlie di Eva che di Dio condividono il generare.
Giuseppe siede stanco. Anche lui ha detto sì, ma il suo è stato sofferto, faticoso, strappato.
I suoi sogni ora sono il sogno di Dio, non ha più futuro, né spazio, né ambizione, né comprensibile orgoglio di padre. Il Padre lo ha reso padre, lui, ora dovrà accudire Dio e la sua madre, proteggerli e lasciarli crescere, loro così abitati dal Mistero, lui così consapevole che la vita non si misura dai risultati ma dalla fedeltà agli eventi.
Sulle colline intorno a Betlemme, i pastori, i bastardi di Dio, i perdenti, gli zingari, gli arraffatori, gli uomini senza dignità, senza futuro, senza speranza, bestemmiano in cuor loro la sorte, ricacciando il dolore che sale a soffocare la gola e a riempire gli occhi di lacrime. Fine di un giorno uguale come i precedenti, uguale come i futuri, senza scampo, senza tregua, senza luce. E un angelo appare loro. Per voi…dice. Una mangiatoia... dice.
E vanno. E trovano Dio che abita una mangiatoia, come se fosse un trono, e capiscono che anche una mangiatoia che odora di sterco di pecora può diventare il trono del Dio degli sconfitti.
A est, lontano, un gruppo di curiosi accampati discutono, alzando il prezzo della scommessa: chi sostiene che il segno nel cielo indica la nascita di un re, altri dicono che, invece, prospetta una catastrofe, altri ancora che non significa nulla. E scherzano e ridono, mentre i servi portano la carne cotta al fuoco. Andranno a dormire presto, domani ripartiranno verso la Giudea. Sazi di denaro, sazi di cultura, sazi di beni. Ma ancora curiosi, ancora si interrogano e cercano.
A Gerusalemme i Sommi Sacerdoti commentano la giornata, pianificano il futuro del nuovo, splendido tempio. Alla fine si congedano, pregano, invocano al venuta del Messia. Qualcuno sorride: ci mancherebbe la venuta del Messia, ora.
Erode caccia la concubina dal suo letto, stenta a prendere sonno. Si affaccia sulla terrazza del palazzo che domina la sua città. No, la folla non lo ama, nonostante tutto, pazienza: se non sarà ricordato per la sua gloria, sarà ricordato per il suo odio.
E Noi? Ecco Dio, mi ripeto nella penombra della chiesa. Dio non si è ancora stancato di noi, se chiede di nascere. Prego, ora, affidando tutti, e tutti non riescono a stare nella mia povera preghiera. Penso a chi soffre, questa notte, perché nessun angelo gli ha ancora detto che Dio nasce proprio per lui. Prego per i tanti, migliaia, che ho incontrato in questo anno così doloroso e intenso, e a come Dio sia stupefacente nel disegnare nuove strade per chi si affida a Lui. Penso alla nostra Italia così litigiosa, così affaticata e delusa, che non ha più speranza, che pensa di essere davvero mediocre come appare, e chiedo al Signore un regalo: di ricordarci da dove proveniamo e verso chi andiamo, tutti.
Vedo il bambino, nella penombra della chiesa. E mi dico in che cavolo di guaio mi sono messo, seguendo un Dio che, invece di risolvermi i problemi, me ne crea a bizzeffe. Vorrei stringerlo fra le mie braccia, riempirlo di baci questo Dio, dire che lo amo, proprio perché così imprevedibile, perché così misteriosamente incontrabile e banale.
Apro un libretto di canti del banco e trovo un'immaginetta: contiene una preghiera di uno dei più feroci atei del secolo scorso, maestro del dubbio e della noia: Sartre.
«Maria guarda Gesù e pensa: questo Dio è mio figlio.
È Dio. E mi assomiglia.
Un Dio bambino che si può prendere fra le braccia, e coprire di baci.
Un Dio caldo, che sorride e respira.
Un Dio che si può toccare e che respira, un Dio che si può toccare e ride.
È in uno di questi momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore.»
Buon Natale, cercatori di Dio. Lasciatevi trovare!.
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