Dio è nato: accessibile, incontrabile, diverso, immensamente diverso dalla brutta immagine che ne abbiamo, questo Dio totalmente altro diventa bambino, neonato. Stanco di essere incompreso e non cercato, Dio diventa uomo perché l'uomo diventi come Dio. Lui è nato, e io?
Sì, per carità, vivo, respiro, cresco. Come fanno gli arbusti. Ma sono nato? Nato alla verità, nato alla visione diversa delle cose, al sorriso di Dio che quest'anno sono invitato a scoprire, nato all'amore?
Esiste un modo concreto di nascere: diventare discepoli del Maestro Gesù. Rinascere nel sacramento del Battesimo, segno di conversione e di vita nuova, traboccante presenza che ci viene innestata, presenza di Dio che ci abita. Tutto ciò è accaduto il lontano giorno del nostro Battesimo in cui siamo stati creati discepoli, rinati a vita nuova.
Lo so, avete ragione: non ve ne siete accorti. Forse perché – ahimé – quel gesto è divenuto doverosa prassi, moderno rito di iniziazione, abitudine; il mio e il vostro battesimo resta sepolto nei fragili ricordi dell'infanzia. Ma è accaduto, comunque, e forse possiamo riscoprirlo, rispolverarlo, farlo scatenare in noi.
Riscoprire il proprio battesimo significa riappropriarci del cammino di discepolato, passare da una visione della fede stanca e rassegnata, ad una avventura entusiasmante che può – davvero! – cambiare la nostra vita. Vi propongo, allora, di rinascere a due atteggiamenti che derivano dal battesimo.
Giovanni dice che Gesù battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Fuoco, amici, fuoco. Gesù è fuoco, la sua parola ci divora, ci inquieta, ci converte. Fuoco, amici, non tiepidezza. Come siamo frastornati quando ci innamoriamo, così accade – e di più e meglio - quando incontriamo la verità dello sguardo di Cristo. Fuoco che illumina, riscalda, consuma, incendia. Fuoco, non tiepida adesione ad un progetto intellettuale. Se non bruciate dentro al pensiero del Maestro, dobbiamo compiere ancora un bel cammino.
Il secondo atteggiamento di rinascita parte dalla frase espressa dal Padre nei riguardi del figlio in preghiera: "Tu sei il mio figlio bene-amato, in te mi sono compiaciuto"
Tutti noi veniamo educati a meritarci di essere amati, a compiere delle cose che ci rendono meritevoli dell'affetto altrui; sin da piccoli siamo educati ad essere buoni alunni, buoni figli, buoni fidanzati, buoni sposi, buoni genitori, bravo parroco... il mondo premia le persone che riescono, capaci e – dentro di noi – s'insinua l'idea che Dio mi ama, certo, ma a certe condizioni. Tutta la nostra vita è l'elemosina di un apprezzamento, di un riconoscimento.
Anzi, se una persona mi contraddice, mi accusa, reagisco ma in fondo penso che abbia ragione, dico: "devi arrenderti all'evidenza, tu non vali". La reazione spontanea – lontani da Dio – è allora di difesa e aggressività o di eccessiva superficialità, mi omologo, do il massimo, passo la mia vita ad inseguire l'idea di me che gli altri mi restituiscono. Invece Dio mi dice che io sono amato bene, dall'inizio, prima di agire: Dio non mi ama perché buono ma – amandomi – mi rende buono. Dio si compiace di me perché vede il capolavoro che sono, l'opera d'arte che posso diventare, la dignità di cui egli mi ha rivestito. Allora, ma solo allora, potrò guardare al percorso da fare per diventare opera d'arte, alle fatiche che mi frenano, alle fragilità che devo superare. Il cristianesimo è tutto qui, Dio mi ama per ciò che sono, Dio mi svela in profondità ciò che sono: bene-amato. È difficile amare "bene", l'amore è grandioso e ambiguo, può costruire e distruggere, non si tratta di adorare qualcuno, ma di amarlo "bene", renderlo autonomo, adulto, vero, consapevole. Così Dio fa con me.
Questa consapevolezza, del fuoco che illumina e dello scoprirmi bene-amato, è possibile solo attraverso la preghiera; una preghiera quotidiana, autentica, fatta di silenzio e di ascolto della parola del Maestro Gesù così come ci insegna il Rabbì, assorto nella preghiera dopo il suo battesimo.
Coraggio, fratelli, amici, è tempo di rinascere.
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