giovedì 29 febbraio 2024

03 Marzo 2024 – III DOMENICA DI QUARESIMA


Gv 2, 13-25 
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

 Siamo in prossimità della Pasqua, la festa ebraica per eccellenza, in occasione della quale tutti gli israeliti si recano in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. È quindi, soprattutto in quei giorni che, in quel luogo, c’è un’eccezionale affluenza di persone, e di conseguenza, anche una maggior concentrazione di attività commerciali. Il pio ebreo, come pure i commercianti, sanno bene che per tale occasione la legge prescrive di presentarsi davanti a Dio, grande e onnipotente, offrendogli in sacrificio animali, oggetti preziosi, denaro, in segno di amore e di gratitudine.
La grande confusione di persone, animali, venditori, banchi, merce, che regna fuori e dentro il tempio, è quindi normale, ovvia. Come ovvia è anche la presenza dei “cambiavalute”: gli Ebrei che vengono da lontano, disponendo di monete romane con le raffigurazioni pagane dell’imperatore o degli dei, devono necessariamente cambiarle con le monete ebraiche, perché solo con queste è possibile versare alle autorità del Tempio la tassa di ingresso in denaro. Uno stratagemma che assicura ai grandi sacerdoti e ai dirigenti un incasso enorme e continuativo di denaro, trasformando addirittura il tempio in una specie di banca, quindi nel posto più sicuro in cui conservare i cospicui proventi di questo “sacro” commercio, tanto da far pensare che nel tempio, non si adora più Jahweh, il Dio di Israele, ma il Dio denaro, Mammona, il Dio ricchezza.
Gesù, dunque, giunto anch’egli a Gerusalemme, sale al Tempio e improvvisamente si trova di fronte al baccano di questa enorme folla di pellegrini e venditori, impegnati i primi a contrattare la merce, i secondi a richiamare urlando la loro attenzione: pertanto non all’ingresso del Tempio di Dio, ma nel bel mezzo di un mercato affollato.
Di fronte a ciò cosa fa Gesù? Si prepara una “frusta di cordicelle”, e con quella inizia a percuotere quanti stazionano alle porte del tempio, compresi dirigenti e autorità, e incalzandoli, rovescia i banchi con la loro mercanzia, cacciandoli tutti via!
Un vangelo singolare, molto forte quello di oggi: anche perché, leggendo attentamente tra le righe, possiamo cogliere, nel comportamento di Gesù, un significato ben più profondo del voler solo “ripulire” l’area del Tempio da gente indegna: possiamo infatti vedere in prospettiva l’eliminazione, la distruzione finale del tempio di Gerusalemme, peraltro apertamente confermata con le parole: “Non resterà qui pietra su pietra che non sia diroccata” (Mc 13,2). In altre parole Gesù annulla non solo “quel tipo” di tempio, con la sua ritualità, con la mentalità che lo anima, ma introduce una nuova concezione di “tempio”, un tempio più stabile e prezioso di quello in pietra, un tempio nuovo costituito dalla sua persona che, di fronte al tentativo dei giudei di distruggerlo, lui garantiva “in tre giorni lo farò risorgere”: e Giovanni si premura di precisare: “Egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,19-21).
Con questo tempio indistruttibile, anche il modo di rapportarsi con Dio viene completamente rinnovato, sostituito; Gesù infatti introduce una nuova immagine di Dio, un Dio fino ad allora sconosciuto a tutti: un Dio che non gradisce, né tantomeno pretende dall’uomo, “offerte” e sacrifici “cruenti”, materiali; un Dio che, cosa fino ad allora impensabile e improponibile, diventa lui stesso “offerta e sacrificio” per l’uomo: da quel momento infatti, non è più l’uomo che si priva del pane, che se lo toglie di bocca per poter compiere il suo sacrificio a Dio, ma è Dio stesso che si fa “pane”, e diventa “nutrimento” per l’uomo.
Di conseguenza, il Dio di Gesù mette la parola fine anche al tempo delle imposizioni divine, della paura, del rapporto “servile” con un Dio Padrone, caratterizzato da una intransigente severità e regolamentato da rigide prescrizioni di legge: Dio non vuole più essere “servito” in questo modo: al contrario sarà Lui stesso, per primo, a servire e ad amare l’uomo.
Già anticamente per bocca dei profeti, Dio aveva espresso la sua contrarietà per come venivano compiuti i sacrifici in suo onore: “Sono sazio dei vostri olocausti di montoni e del grasso di pingui vitelli; smettete di portare offerte inutili” (Is 1,11-13); e decretava: “Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio e non gli olocausti” (Os 6,6).
Gesù poi, nel suo vangelo, è ancora più diretto: se la prende con l’esteriorità e l’esibizionismo delle elemosine, con la legge puntigliosa del sabato, con le riunioni in suo nome fatte senza convinzione, con le liturgie vuote e vanesie. Dio insomma non sopporta queste cose, non le gradisce, non vuole più offerte materiali: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9,13; 12,7).
Del resto, che senso avrebbe mantenere la ritualità dell’antico tempio, un manufatto in pietra destinato a scomparire, quando Cristo stesso si è fatto tempio, unico e autentico santuario di Dio? “È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (Gv 4,23-24).
Sono parole chiare, determinanti, con cui Gesù stabilisce in via definitiva l’unico modo con cui adorare Dio. Dio è Spirito, è presente ovunque: per pregarlo, lodarlo, entrare in comunione con Lui, è sufficiente che il nostro “spirito”, la nostra anima, comunichi, interagisca con Lui, non importa dove ci troviamo. Per entrare in contatto personale con Dio non serve un luogo esclusivo, un tempio unico e grandioso, impreziosito da capolavori artistici.
Il Vangelo di oggi ci porta dunque a fare qualche considerazione proprio sul comportamento dei cristiani in quegli “spazi liturgici”, destinati fin dai primi secoli della Chiesa a raccogliere le moltitudini dei fedeli per le celebrazioni comunitarie, le liturgie sacramentali. Spazi che col tempo diventeranno nel mondo delle vere e proprie meraviglie architettoniche, orgogliose dimostrazioni della religiosità del nuovo popolo di Dio.
Certo, le Chiese possono essere anche di rara bellezza, le liturgie e i canti possono estasiarci per la loro maestosa solennità, ma se in esse non partecipiamo attivamente e consapevolmente, se alla nostra voce non uniamo anche il nostro spirito, la nostra anima (“mens nostra concordet voci nostrae”, raccomandava san Benedetto ai suoi monaci!), in una parola, se non entriamo in sintonia con Dio, se la nostra partecipazione non è per nulla “actuosa”, se non condividiamo quella “agàpe”, cioè quell’amore profondo e vitale per Lui e per i fratelli, il nostro sacrificio, la nostra liturgia, la nostra preghiera, la nostra lode a Dio, rimarranno sempre un culto puramente esteriore, inanimato, sterile.
Osservando infatti la scarsa affluenza domenicale nelle nostre chiese cattoliche, molti pastori giustamente si chiedono se i cristiani di oggi sentono ancora il bisogno di frequentarle, di presentare a Dio un degno sacrificio di lode. Giusta preoccupazione: ma sarebbe forse ancor più utile chiedersi: “Ma quelli che frequentano regolarmente le nostre liturgie, le nostre messe, percepiscono realmente la concreta presenza di Dio? Quando escono dalla chiesa, provano veramente in cuor loro la pace della “sua” benedizione, la serenità del “suo” perdono, la forza della “sua” misericordia? Si sentono veramente rinfrancati, toccati, guariti, conquistati dall’amore di Dio? Escono insomma seriamente consapevoli di dover trasmettere ai fratelli una testimonianza più credibile della loro fede, della loro carità, dell’amore a quel Dio, con cui hanno appena concluso un “pretiosum et admirabile convivium” assumendo Cristo, vero Dio e uomo perfetto, sotto le specie di un po' di pane?”
In questa quaresima di conversione armiamoci allora di ramazza, facciamo piazza pulita di tutte quelle icone squallide che deturpano il “tempio” della nostra anima. Ripuliamolo a fondo, questo nostro tempio così imbrattato: “cacciamo fuori”, come ha fatto Gesù, tutto ciò che schiavizza il nostro cuore, restituendogli la sacralità, la grandezza, la bellezza che merita, per poter rivivere con maggior partecipazione e dignità interiore, il nostro “culto” sacrificale per eccellenza, la nostra “Eucaristia”, la nostra Pasqua settimanale. Perché solo così potremo tornare a vivere “liberi e immacolati” nell’amore gratuito e incondizionato di Dio nostro Padre.
Amen.

  

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